DAGOREPORT - QUANDO LA MELONI DICE "NON SONO RICATTABILE", DICE UNA CAZZATA: LA SCARCERAZIONE DEL…
1. POPOLARI, RENZI NON SI FIDA DEL SUO CLAN
Gian Maria De Francesco per “il Giornale”
davide serra matteo renzi maria elena boschi
«Se qualcuno, chiunque sia o comunque si chiami, ha utilizzato informazioni riservate, io stesso chiederò un'indagine rigorosa alla Consob e ad altri, così che pagherà fino all'ultimo centesimo e all'ultimo giorno».
Matteo Renzi è un vero artista della comunicazione. Come un istrione, martedì scorso a Porta a porta, ha recitato la parte dell'indignato dinanzi ai sospetti di insider trading sui titoli delle banche popolari quotate prima e dopo l'annuncio del decreto del governo che obbliga le maggiori a trasformarsi da cooperative in spa.
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Eppure Renzi ha commesso un errore. Avrebbe potuto affermare di non essere a conoscenza di irregolarità e di aver voluto intervenire esclusivamente per superare «un modello di banca molto legato a interessi territoriali perché una parte di banche locali ha combinato pasticci». Il premier, invece, ha aggiunto qualche parola di troppo, quasi a voler mettere le mani avanti, quasi vi fosse il rischio che qualcuno del suo «giglio magico» possa essere beccato con le mani nella marmellata. Basta dare un'occhiata alle quotazioni di Piazza Affari per vedere che non si sta parlando di bruscolini.
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Ieri la Popolare dell'Emilia Romagna ha guadagnato oltre il 4%, il Banco Popolare il 3, la Popolare di Milano l'1,7 e Banca Etruria più dell'8. Se si guardano le performance dell'ultimo mese, l'istituto modenese ha incrementato il proprio valore del 22% circa, il Banco di un quarto, la popolare meneghina del 35% e l'omologa aretina del 47,5 per cento. Non fa specie, perciò, che ieri Forza Italia e M5S abbiano chiesto al ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, di non partecipare alla conferenza dei capigruppo per incardinare la discussione del decreto in virtù del suo potenziale conflitto di interesse: il padre è vicepresidente di Banca Etruria.
C'è un'altra considerazione da aggiungere: perché Renzi ha fatto riferimento a «un'indagine rigorosa della Consob» quando sono ormai due settimane che la commissione guidata da Giuseppe Vegas sta vagliando gli acquisti sui titoli delle popolari? Rispondere a queste domande è un po' più complicato, ma basta risalire alle recenti dichiarazioni della responsabile divisione Mercati della Consob, Maria Antonietta Scopelliti, per svelare l'arcano.
I tempi dell'investigazione, ha detto, sono «nell'ordine di grandezza di almeno sei mesi e più» perché sono coinvolti «intermediari italiani ed esteri» e quando «c'è di mezzo la cooperazione internazionale» le procedure non sono mai brevi in quanto «c'è la necessità di arrivare ai beneficiari finali delle operazioni». Insomma, il premier, oggi, può dire qualsiasi cosa senza tema di essere smentito nel breve. Nel lungo termine, molti avranno dimenticato già la vicenda, probabilmente.
Ma quando si parla di intermediari esteri il pensiero non può non correre al creatore del Fondo Algebris nonché renziano della prima ora, Davide Serra. Dinanzi alle provocazioni di Sel ieri, il manager ha risposto per le rime su Twitter. «Dal marzo 2014 ha una posizione importante, inferiore al 2%, in una banca popolare italiana (in aumento di capitale)», ha scritto. Gli indizi portano al Banco Popolare che l'anno scorso effettuò un aumento di capitale per rafforzare il proprio patrimonio.
L'ingresso in sede di aumento dovrebbe dissolvere i sospetti circa la presunta consapevolezza degli intenti renziani da parte di Serra in quanto «Algebris ha investito sin dalla sua nascita, nel 2006, nel settore bancario italiano». Non tutti i fedelissimi del premier potrebbero, però, aver fatto lo stesso sapendo in anticipo che rendere le popolari contendibili avrebbe scatenato gli acquisti.
2. «POPOLARI SPA? INCOSTITUZIONALE» CON L’AUTORIFORMA UN TETTO AL 5%
Federico De Rosa per il “Corriere della Sera”
Assopopolari gioca la carta dell’autoriforma per fermare o provare ad «ammorbidire», il decreto del governo che obbliga le prime dieci banche popolari a trasformarsi in società per azioni entro 18 mesi. Decreto su cui martedì il premier Matteo Renzi ha ventilato il ricorso al voto di fiducia, riducendo di molto i margini di manovra di chi puntava allo stop. E il consiglio dell’associazione delle popolari che si è riunito ieri, pur ribadendo «dubbi di legittimità costituzionale» sul decreto, ha deciso di cercare comunque un dialogo con Palazzo Chigi per arrivare a una riforma condivisa.
IL PRESIDENTE DELLA CONSOB GIUSEPPE VEGAS
Ma l’altolà del premier sul decreto ha riacceso in Borsa la speculazione sulle popolari e, come era successo nelle scorse settimane, la Popolare dell’Etruria è quella che ha brillato di più guadagnando oltre l’8%, seguita da Bper (+4%), Banco Popolare (+3%) e Bpm (+1,7%).
Il Banco Popolare ieri è stato anche lambito da una polemica che ha coinvolto il patron di Algebris, Davide Serra, ascoltato sostenitore di Renzi, e Sel che ha definito «inquietante» l’ipotesi che il finanziere possa aver «investito pesantemente sul comparto delle Banche Popolari italiane a partire da marzo 2014». Serra ha risposto bollando come «ridicole» e «prive di fondamento» le ipotesi di insider trading e ha spiegato però che Algebris «dal marzo 2014 ha una posizione importante, tuttavia inferiore al 2%, in una banca popolare italiana» e che la quota è stata acquisita in occasione di «un aumento di capitale». E l’unico ad aver ricapitalizzato a marzo è stato il Banco Popolare.
Il consiglio di Assopopolari ieri è tornato a riunirsi per ascoltare la relazione dei tre saggi Piergaetano Marchetti, Alberto Quadrio Curzio e Angelo Tantazzi, incaricati di studiare il processo di autoriforma. La riunione è stata interlocutoria. «Non abbiamo approvato niente, abbiamo discusso del nostro problema, che è un problema grande delle banche popolari e quindi merita approfondite discussioni» ha detto al termine dell’incontro il presidente del Creval, Giovanni De Censi.
Le proposte illustrate dei saggi vanno nella direzione di «una più significativa apertura al capitale nella formazione degli organi di governo della Popolare cooperativa» ha spiegato Assopopolari. La strada per modernizzare il sistema sembrerebbe essere quella della popolare «bilanciata», in cui gli investitori istituzionali esprimono un numero di consiglieri proporzionali alle azioni detenute, mentre il resto del soci continua a servirsi del voto capitario, oppure una spa «ibrida» che assegna una maggiore ponderazione al voto di capitale dei soci storici con piccole quote. Una soluzione simile a quella studiata in passato da Andrea Bonomi per la Bpm, ma bocciata dai soci. I saggi potrebbero aver introdotto altre specifiche al modello che Assopopolari intende contrapporre al disegno del governo.
LA SEDE DELLA BPM - BANCA POPOLARE DI MILANO - A PIAZZA MEDA A MILANO
Con Palazzo Chigi tuttavia l’associazione dei banchieri è «disponibile a un confronto, nella speranza di contribuire all’individuazione di una soluzione condivisa». I possibili correttivi «nella diversa prospettiva, non scevra di dubbi di legittimità costituzionale, di forzosa conversione in spa», vanno nella direzione di una «ponderazione del voto di capitale, con particolare favore per i soci con possesso azionario limitato/durevole» ha spiegato l’associazione. La «ponderazione» potrebbe passare per l’introduzione di un tetto al diritto di voto, si è parlato di una soglia vicina al 5%, e forse anche per il divieto ai patti di sindacato.
«Abbiamo ascoltato la relazione — ha detto il presidente del consiglio di sorveglianza di Bpm, Piero Giarda — ci stiamo meditando». Il consiglio ha dato mandato al presidente, Ettore Caselli, di presentare la posizione delle popolari in Parlamento, dove verrà ascoltato in audizione giovedì prossimo. De Censi, auspica di trovare un forte sostegno: «È il Parlamento che fa le leggi e sono i parlamentari che devono difendere il sistema cooperativo».
3. SERRA E MARIA ELENA IMBARAZZATI SULLE POPOLARI
Marco Franchi per il “Fatto Quotidiano”
Effetto Serra alla Camera e su Twitter. L’affondo è arrivato in una nota del capogruppo di Sel in commissione Finanze alla Camera, Giovanni Paglia: “La notizia che il suo fondo Algebris abbia investito pesantemente sul comparto delle banche popolari italiane a partire da marzo 2014, ovvero dopo l’insediamento del governo Renzi, se confermata è davvero inquietante”.
Secondo Paglia “sono noti a tutti i legami fra il finanziere e l’attuale premier, così come l’influenza che il primo esercita sul secondo in materia finanziaria”. Paglia si chiede, quindi, “siamo davanti a una gigantesca operazione di insider trading, già di per sé censurabile, o addirittura al tentativo di sottrarre il controllo di alcune fra le principali banche italiane ai soci per trasferirlo in mani amiche?”.
Il riferimento è ai rumors che nei giorni scorsi avevano indicato Serra come uno dei soggetti più attivi negli acquisti di azioni delle popolari che stanno per essere riformate dall’amico Matteo Renzi. Serra risponde subito con una raffica di cinguettii. Quasi un comunicato stampa a rate, nel rispetto della legge dei 140 caratteri: “Algebris Investments, ha investito sin dalla sua nascita, nel 2006, nel settore bancario e assicurativo italiano incluse le Banche Popolari”, scrive Serra. Qualche secondo e aggiunge: “Dal marzo 2014 ha una posizione importante, inferiore al 2%, in una banca popolare italiana (in aumento di capitale)”.
Un indizio, nuovo, quest’ultimo che non passa inosservato: l’unica banca popolare quotata che ha avviato a marzo una ricapitalizzazione è il Banco Popolare. Ma il finanziere non svela l’indovinello. E rilancia: “Qualsiasi illazione portata avanti strumentalmente da qualsiasi gruppo politico o fazione è del tutto priva di fondamento”. Chiosa finale: “È per questo ridicola ogni informazione tendente a insinuare la conoscenza privilegiata di informazioni”. Lo stesso Renzi, d’altronde, s’era sbilanciato: “La Consob indaghi e se qualcuno ha fatto il furbo pagherà”.
Mentre Serra twittava, il ministro Maria Elena Boschi finiva in fuorigioco. I 5 Stelle, durante la capigruppo alla Camera, hanno chiesto infatti al ministro di lasciare la riunione nel momento in cui si discuteva la calendarizzazione del decreto sulle Popolari, come d’altronde fece nel Consiglio dei ministri del 20 gennaio al varo del provvedimento.
Nella documentazione patrimoniale depositata in Parlamento risulta, infatti, che la Boschi è proprietaria di un pacchetto di azioni della Pop Etruria, peraltro amministrata da suo padre Pierluigi. Il ministro, però, ieri è rimasto incollato alla sedia: “Questa mi sembra una provocazione”, ha replicato.
Intanto, sulla trasformazione obbligatoria in Spa delle Popolari ci sono dubbi di legittimità costituzionale. Lo sostiene la commissione di esperti indipendenti che ieri ha presentato al cda di Assopopolari le proprie proposte di autoriforma del settore.
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