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Federico Fubini per “la Repubblica”
La prima volta che la Federal Reserve riuscì a imporre la sua volontà a tutte le banche centrali dei singoli Stati americani fu quando tagliò i tassi nel ‘27, dopo 14 anni di vita. Quella decisione si rivelò disastrosa, perché gettò le basi del Grande Crash del 1929.
La storia può dunque suonare di buon auspicio per la Banca centrale europea che, dopo poco più di 14 anni di esistenza, si muove in senso opposto: la scelta di ieri è sì imposta a tutte le banche centrali, anche quelle del Sud Europa che mantengono evidenti riserve, però per la prima volta spinge verso il decentramento. Non favorisce una politica monetaria e un sistema finanziario europeo più integrati - si teme a Roma e in altre capitali – ma il suo opposto: la frammentazione e un potenziale segnale di sfiducia sulla tenuta del debito dei Paesi più fragili.
Chiunque abbia ragione, è stato un esito sofferto. Se c’è qualcuno che da settimane aveva indicato il senso di marcia che poi ha prevalso, questi è Klaas Knot. Governatore della Banca d’Olanda dal 2011, di soli 47 anni, Knot riunisce caratteristiche che lo hanno messo al centro di molti contatti degli ultimi tempi. È coetaneo e amico personale di Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, con il quale ha condiviso l’infornata ’97-’98 di giovani economisti entrati al Fondo monetario internazionale. Ma Knot parla anche un buon italiano, è spesso in vacanza nel Paese e in quelle occasioni passa in visita da Mario Draghi, il presidente della Bce.
L’olandese è schierato con Weidmann, contro gli interventi sui titoli di Stato. Ma da tempo indicava un possibile compromesso: la Bce può varare un piano di acquisti di bond governativi più ampio del previsto, a condizione però che il rischio di perdite per l’eventuale insolvenza dei Paesi più fragili restasse segregato entro le loro banche centrali nazionali. Quantità maggiori di euro sul mercato, in cambio di una serie di silos nazionali entro i quali riversare tutto quel debito: a ciascuno il suo.
Mercoledì dopo la cena del consiglio direttivo della Bce, si è andati avanti su questa base fino a tarda ora. Alla fine i sei componenti dell’esecutivo e i 15 governatori nazionali presenti si sono separati senza accordo. Quello è arrivato solo ieri in mattina, senza che restasse troppo tempo per mettere a punto certi piccoli (ma rilevanti) dettagli. Uno fra tutti: gli acquisti e i relativi rischi toccano quasi tutti alle banche centrali nazionali, eppure non è chiaro se e quanto queste ultime saranno libere di scegliersi i titoli da comprare.
Mario Draghi Ignazio Visco a Napoli
Certo la discussione non è stata semplice. Come sempre quando la decisione non dispiace troppo alla Bundesbank - che pure si è opposta – le fughe di notizie sono ridotte. Però le dichiarazioni degli ultimi giorni fanno capire che Ignazio Visco, il governatore della Banca d’Italia, a Francoforte deve aver espresso dubbi e timori sulla soluzione che poi è emersa.
Solo pochi giorni fa, al quotidiano tedesco Welt am Sonntag Visco si era sbilanciato con precisione contro l’idea di quei silos nazionali pieni di debito pubblico: «Sarebbe saggio mantenere le procedure di tutti i nostri interventi di politica monetaria – aveva detto -. Il rischio andrebbe condiviso in tutta l’area nel suo complesso». Anche il 10 gennaio, in un’altra intervista all’agenzia Market News, il governatore aveva illustrato la stessa convinzione: gli acquisti, aveva detto, «sono una misura di politica monetaria e il consiglio direttivo della Bce ha una politica unica per l’intera area-euro».
matteo renzi pier carlo padoan
Visco incassa una parziale vittoria, perché gli interventi sui titoli di Stato valgono in tutto oltre 900 miliardi, quasi il doppio del previsto. Ma per altri aspetti, il compromesso portato e difeso da Draghi va in senso opposto alle posizioni della Banca d’Italia. Il rischio di perdite sul debito dei vari Paesi messo in comune alla Bce è quasi nullo: in teoria è circa l’8% sul debito totale dei 19 Paesi coinvolti, ma non è più del 3% o 4% se si contano solo i titoli dei Paesi con rating più basso.
Tutto il teorico rischio di insolvenza è stato rinchiuso nei silos nazionali, non c’è condivisione di bilancio. Il messaggio è che si crede che quei default possano davvero avvenire. La Bundesbank è riuscita a segregare tutti i bond sovrani più vulnerabili entro le rispettive banche centrali. Il segnale ai mercati che persino la Bce non si fida del debito italiano è implicito ma potente, e Visco a Francoforte non può aver fatto a meno di sottolinearlo.
Passata l’euforia per l’ondata di liquidità in arrivo, gli investitori non possono non ripensare al fatto l’Eurotower preferisce tenersi a distanza dal debito di vari Paesi. Italia in testa. Al prossimo choc o alla prossima recessione, quel messaggio tornerà a risuonare. Forse era il solo modo rimasto a Draghi per liberare il suo bazooka da oltre mille miliardi. E alla fine neanche Visco ha votato contro. Ma, si fa notare, il consenso era così ampio che un vero e proprio voto non c’è stato.
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