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1) LA BOMBA DEI FINANZIAMENTI DEL MONTE SUI CONTI DELLO STATO
Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Sui conti pubblici italiani è in arrivo, da Siena, una bomba da 28 miliardi di euro. Stiamo parlando dei crediti deteriorati del Monte dei paschi. Quella montagna di cosiddette «sofferenze» doveva finire in pancia al fondo Altante e invece potrebbe restare lì dov’è, andando a incrementare il salasso per lo Stato. Se si sommano i 6,6 miliardi già previsti per la cosiddetta ricapitalizzazione preventiva, il costo finale della nazionalizzazione di Mps potrebbe dunque andare ben oltre quota 30 miliardi. Una botta che si tradurrebbe in una inevitabile stangata fiscale sui contribuenti.
La strada è tracciata. E a farlo è stato l’amministratore delegato di IntesaSanpaolo. Carlo Messina, ieri, ha di fatto allontanato definitivamente Atlante dal Monte dei paschi. Di che si parla? Atlante è il fondo creato un anno fa per cercare di risolvere i guasti del sistema bancario italiano. L’obiettivo è stato raggiunto solo in minima parte. Il veicolo finanziario presieduto da Alessandro Penati finora ha evitato il crac delle due banche venete (PopVicenza e Veneto Banca), ma poi si è impantanato. Messina, adesso, pare intenzionato a pensionarlo: «Penso che Atlante era indispensabile nel momento in cui non c’era l’intervento del decreto salva banche. Oggi, francamente, cerchiamo prima di capire i contorni di questo intervento pubblico. Poi vedremo».
A cosa faceva riferimento il capo di Ca’ de Sass? All’ipotesi, discussa nei mesi scorsi, di far gestire appunto ad Atlante i prestiti non rimborsati di Mps. Il fondo - di cui Intesa è uno dei principali «azionisti» insieme con Unicredit oltre che con Cassa depositi e prestiti - avrebbe dovuto giocare in tandem col Credito fondiario (Fonspa). Il progetto era scritto: la ex banca del Partito democratico avrebbe dovuto cedere a una cifra attorno ai 9-10 miliardi l’intero pacchetto di sofferenze dal valore nominale di 28 miliardi.
Da dove nascono? La spazzatura del Monte ha una origine precisa. Le cifre di oggi, infatti, erano ben diverse prima dell’acquisizione di Antonveneta e della successiva crisi del gruppo: i crediti deteriorati netti valevano 3,9 miliardi nel 2007, 7,3 a fine 2008 (dopo l’incorporazione di banca Antonveneta), 10,2 nel 2009, 11,3 nel 2010, 13,4 nel 2011, 17,3 nel 2012, 20,9 nel 2013, 23,1 nel 2014 e 24,2 nel 2015.
Di là dalla ricostruzione storica, il tandem Atlante-Fonspa era pronto a rilevare l’intero pacchetto di non performing loan di Mps. Il Tesoro, che all’epoca non era ancora stato chiamato in causa per la nazionalizzazione, sarebbe intervenuto con un ruolo marginale: avrebbe dovuto fornire a una fetta di quelle sofferenze la garanzia statale (Gacs) che avrebbe dato alle sofferenze cartolarizzate la giacca di titolo di Stato, rendendole più sicure per Fonspa. Tuttavia, quell’operazione è saltata e, fallito l’aumento di capitale di Mps, Atlante è finito nel congelatore.
Il risultato, come accennato, è l’incremento esponenziale dei rischi per lo Stato. Non solo ci saranno i soldi da investire a garanzia delle emissioni obbligazionarie e quelli da impiegare per il rafforzamento patrimoniale (in totale, come accennato, ben 6,6 miliardi), ma adesso bisogna fare i conti anche le enormi incertezze legate alle perdite su crediti. Se la Banca centrale europea - che dovrà vagliare il nuovo piano industriale di Mps - insisterà con lo smaltimento in tempi rapidi delle partite incagliate, saranno dolori per le finanze pubbliche: la differenza tra il valore nominale e il prezzo di vendita dei crediti deteriorati ad alto rischio (ovvero non coperti da alcun tipo di garanzia) si traduce in una perdita secca da riportare in bilancio.
E da questo punto di vista, le premesse non lasciano ben sperare. Il capo della vigilanza della Bce, la francese Danièle Nouy, finora non è mai stata tenera e ha tenuto testa anche di fronte alle perplessità e alle rimostranze della Banca d’Italia. Il destino dei conti pubblici del nostro Paese, insomma, è in mano a una francese votata al rigore che lavora a Francoforte. In Germania.
2) DOSSIER NOMINE TRA MPS E CASSA DEPOSITI, PRONTA LA STAFFETTA
F.D.D. per "Libero Quotidiano"
Pier Carlo Padoan ha un problema e ha la soluzione (quasi) a portata di mano. Il ministro dell’Economia deve sostituire Marco Morelli alla guida del Monte dei paschi di Siena. L’attuale amministratore delegato di Mps era stato chiamato a settembre (con modalità poco chiare) a gestire l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro e di fatto è stato bocciato dal mercato che si è rifiutato di mettere sul piatto tutti quei soldi. Di qui l’ingresso (imminente) del Tesoro col 70% delle quote di Mps.
FABIO GALLIA CLAUDIO COSTAMAGNA
Va da sé che serve un ricambio ed ecco che nasce l’idea della staffetta con la Cassa depositi e prestiti, stando a quanto si sussurra a via Venti Settembre. Morelli potrebbe trovare casa a Roma proprio alla spa di via Goito. E dalla Cdp uscirebbe l’attuale ad, Fabio Gallia, con biglietto per Siena: il trasferimento a Rocca Salimbeni potrebbe assecondare la sua voglia di tornare a fare il banker, dopo poco più di un anno dall’addio a Bnl. Sotto l’ombrello pubblico, Mps dovrebbe avere un tetto agli stipendi dei manager a 500mila euro (lo stabiliscono le regole europee), ma per Gallia non sarebbe un problema, anzi.
Qualche ostacolo, invece, Padoan potrebbe incontrarlo nel far scendere Morelli dal Monte: in ballo c’è una liquidazione da 2- 3 milioni, una cifra assai difficile da giustificare con una banca che di fatto è pubblica. E qualche polemica, una volta staccato il super assegno per la buonuscita, sorgerebbe pure portando Morelli in Cdp. Il negoziato è partito.
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