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Fabrizio Massaro per il "Corriere della Sera"
Poco più di un mese fa, il 26 luglio, veniva effettuato uno dei bonifici bancari più pesanti della storia giudiziaria italiana: 564,2 milioni passavano dalla Finivest di Silvio Berlusconi alla Cir di Carlo De Benedetti, in seguito alla sentenza civile di appello che condannava il gruppo della famiglia del presidente del Consiglio a risarcire la holding dell'Ingegnere, suo nemico storico.
Il bonifico è la conclusione della causa per danni relativa alla corruzione del giudice Vittorio Metta, uno dei tre magistrati che nel 1991 decisero per l'annullamento dell'arbitrato che aveva assegnato la Mondadori a De Benedetti, facendo di fatto finire la casa editrice di Segrate nell'impero berlusconiano.
Dopo vent'anni dunque De Benedetti, che da due anni è solo presidente onorario dei suoi gruppi, si ritrova con un autentico tesoro dentro la Cir, la cassaforte di L'Espresso, Sorgenia, Kos, Sogefi, quotata e controllata al 45% dalla Cofide (a sua volta in mano per il 52% all'accomandita Carlo De Benedetti & figli).
E con il figlio Rodolfo, amministratore delegato della holding, si è trovato a gestirlo nel pieno della tempesta finanziaria più violenta dai tempi di Lehman Brothers. Sembra tuttavia che il primo mese sia stato superato senza danni. I bruschi alti e bassi della Borsa insomma non hanno intaccato quel capitale aggiuntivo, pari a circa il 47% degli 1,2 miliardi attuale capitalizzazione della Cir, poiché esso è stato collocato dai De Benedetti in investimenti ultra-sicuri.
Nonostante il silenzio ufficiale sulle modalità di gestione dei 564,2 milioni, che pure farebbero gola a qualsiasi banca specialmente in un periodo di liquidità poco circolante, le indicazioni raccolte presso varie fonti finanziarie suggeriscono che il maxi-assegno sia stato impiegato in prodotti di base a rendimento sicuro, come fondi di liquidità , pronti contro termine e altre operazioni simili, di fatto senza rischi.
La gestione sarebbe stata affidata a diversi intermediari sia italiani sia esteri, a cominciare dalle grandi banche, che pare hanno offerto interessi piuttosto consistenti. Non dovrebbe essere invece della partita Banca Intermobiliare, dal cui capitale De Benedetti è uscito dopo che l'istituto torinese è passato dall'orbita della famiglia Segre, suoi commercialisti di fiducia, a quella di Veneto Banca.
Paradossalmente l'eccessiva prudenza non è stata una scelta lungimirante di fronte alla crisi in arrivo quanto piuttosto una necessità imposta dalla legge: Fininvest ha infatti preannunciato ricorso per Cassazione, che durerà altri 18-24 mesi, e se la sentenza venisse annullata Cir potrebbe trovarsi costretta a restituire tutta o parte della somma a Berlusconi, maggiorata dell'interesse legale dell'1,5%. Per questo motivo i 546,2 milioni devono essere investiti in prodotti che garantiscano quel rendimento minimo, almeno fino alla sentenza definitiva (circostanza che fa sì che la liquidità non incida per ora sul bilancio).
Ma naturalmente Cir punta a ottenere di più. Sembra infatti che la gestione del capitale stia sostanzialmente seguendo la strategia adottata per la tesoreria Cir: a fine giugno i 382 milioni di liquidità lorda (104 milioni netti se si considera il bond da rimborsare nel 2024) erano investiti solo per 10 milioni in titoli di Stato, mentre il resto era diviso tra «corporate bond di elevata qualità », come ha detto Rodolfo De Benedetti, per 154 milioni, cash e depositi bancari per 107 milioni, hedge funds per 77 milioni, e azioni e fondi per 34 milioni.
Non è noto quanto tutto ciò frutti, ma si può avere un'idea guardando agli hedge funds, che hanno reso in media ogni anno il 7,6%, mentre nei primi sei mesi del 2011 sono andati in negativo dello 0,3%. Finora De Benedetti ha escluso sia extradividendi a favore di Cir sia operazioni straordinarie. L'Ingegnere può accontentarsi di vedere la sua holding resistere in Borsa: se nell'ultimo mese ha perso il 6,30%, la crescita di Cir su un anno è dell'11,91%.
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