
DAGOREPORT - LA CERTIFICAZIONE DELL'ENNESIMO FALLIMENTO DI DONALD TRUMP SARÀ LA FOTO DI XI JINPING…
1- COME MAI BERNABE', DOPO ANNI DI DIFESA OSTINATA, HA DECISO SULLO SCORPORO DELLA RETE?
Gli uscieri di TelecomItalia sono profondamente laici perché dopo aver assistito negli ultimi dieci anni a vicende clamorose hanno perso la fede e non credono alla resurrezione.
L'unico momento in cui sono stati visti fare il segno della croce è stato quando Colaninno se ne è andato perché in quel momento avevano la percezione che l'imprenditore mantovano avrebbe lasciato in eredità una valanga di problemi.
Oggi però hanno riscoperto all'improvviso il valore della conversione che non interpretano in senso religioso, ma secondo una logica strettamente industriale. A portarli su questa strada è l'inattesa e clamorosa presa di posizione che Franchino Bernabè annuncia sul "Sole 24 Ore" con una lunga intervista in cui si dichiara improvvisamente disponibile allo scorporo della rete, uno dei tabù sui quali ha sempre avuto una posizione estremamente rigida.
Sono almeno tre anni che Franchino nega di avere in agenda lo scorporo dell'infrastruttura che rappresenta la spina dorsale delle telecomunicazioni e il gioiello più prezioso del patrimonio aziendale. Bisogna risalire all'ottobre 2009 per trovare le prime tracce di una difesa ostinata della rete contro l'allora viceministro delle Comunicazioni, Paolo Romani, il politico vicino all'Opus Dei, che in quell'epoca sosteneva la necessità di affrontare lo scorporo pur mantenendone l'italianità .
Scendendo nel tempo si arriva all'aprile 2010 quando Franchino in una lettera inviata a "Repubblica" manifestò senza mezzi termini la sua totale contrarietà allo scorporo della rete Telecom e pronunciò queste parole: "TelecomItalia è la rete e senza la rete non c'è TelecomItalia". Per rendere più chiaro il suo pensiero aggiunse che l'ipotesi di un possibile scorporo era "quantomeno fantasiosa, irrealizzabile e contro il buonsenso".
Con queste parole rispondeva a un'affermazione del giornalista Massimo Giannini che aveva definito Bernabè "agguerrito e isolato, a difendere quella specie di fortezza Bastiani che è ormai diventata la povera Telecom".
Con l'intervista di oggi il mito della fortezza (mutuato dal celebre romanzo di Buzzati) sembra sgretolarsi e Franchino non esclude la possibilità di un distacco societario che serva a migliorare il contesto anche attraverso la creazione di una holding pubblico-privata che si faccia carico della rete.
In questa ipotesi spunta fuori per l'ennesima volta il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, quella specie di fantasma opulento che viene chiamato in causa quando si ipotizzano interventi pubblici dentro aziende in difficoltà . Secondo Bernabè lo scorporo non è ancora un progetto, ma uno dei tanti studi che Telecom ha fatto per individuare le soluzioni per accrescere il valore dell'azienda.
Per gli uscieri di Telecom la cautela del manager di Vipiteno è semplicemente formale, e non riesce a spiegare la ragione profonda della svolta.
Al di là dei ragionamenti e delle giustificazioni di tipo industriale, secondo le quali lo sviluppo delle reti di nuova generazione non può essere gestito dalla sola Telecom, il vero motivo che ha indotto Franchino a cambiare la sua road map va forse cercato nel tentativo di ridurre il fardello dei 30,4 miliardi di debiti che compromettono lo sviluppo di una strategia aggressiva.
Quando a fine febbraio ha presentato i risultati 2011 Franchino ha ribadito con forza che la priorità è il debito, e per rendere più chiaro il suo pensiero ha aggiunto che solo attraverso la riduzione dell'indebitamento l'azienda potrà "riposizionarsi su un profilo di crescita".
A questo punto viene da pensare che dietro la conversione improvvisa sul tema caldo dello scorporo, che ha visto consumarsi polemiche infinite con il governo e gli altri competitor italiani, un ruolo determinante l'abbiano avuto i soci di Telco (la scatola che controlla Telecom) che hanno dovuto iscrivere nei loro bilanci pesanti minusvalenze. Già nell'anno precedente Telefonica, Generali, Intesa e Mediobanca avevano subito un autentico salasso con una svalutazione di 2,6 miliardi delle loro partecipazioni dentro Telecom.
Adesso il barile è stato raschiato fino in fondo e questi soci dal nobile pedigree devono fare i conti con i risultati critici delle loro società per cui non hanno più alcuna voglia di donare il sangue alla prima azienda italiana di telecomunicazioni.
In questa logica lo scorporo della rete, scacciato per tre anni da Bernabè come un diavolo paralizzante, diventa di colpo un passaggio ineluttabile senza il quale il fardello dei 30,4 miliardi di debiti non potrà mai essere alleggerito.
Per gli uscieri laici di Telecom non si tratta di una resurrezione in un clima pasquale, ma di una conversione che è stata suggerita a Franchino pena il rischio di chiudere la sua esperienza nel modo peggiore.
2- CON L'AIUTO DELLE SUORE DI SAN GIOVANNI BATTISTA, ABETE SI FA UNA CLINICA
Luigino Abete ha smesso di sudare, e questa volta per sempre. Lo strano fenomeno è stato affrontato e risolto a livello clinico con l'aiuto delle suore di San Giovanni Battista che gestiscono Villa Benedetta, una piccola clinica che si trova a Roma sulla Circonvallazione Cornelia ed è stata creata agli inizi degli anni '60.
Quando Luigino ha trovato con l'aiuto delle suorine la soluzione del suo problema, ha cominciato a pensare che nella tastiera dei suoi molteplici interessi anche una clinica avrebbe trovato un posto ideale. Ed è questa la ragione per cui ha cominciato a esaminare la possibilità di acquistare la piccola struttura insieme a un primario di medicina che si chiama Eliseo Pironti.
Costui è uno specialista in malattie dell'apparato digerente che dopo la laurea in medicina e chirurgia alla Sapienza di Roma ha collezionato esperienze nelle principali cliniche romane e all'Ospedale Policlinico Casilino. Il dialogo tra l'inquieto Luigino e il gastroenterologo romano è diventato sempre più fitto, e ha portato alla conclusione di mettere sul piatto un po' di quattrini per comprare Villa Benedetta.
A quanto pare le suore di San Giovanni Battista, che invece di seguire i programmi dell'emittente vaticana Sat 2000 hanno sempre privilegiato le apparizioni di Abete nel salottino del reverendo Floris, si sono lasciate ammaliare dall'offerta e hanno deciso di cedere la proprietà della clinica.
L'operazione sembra ormai perfezionata e il sudore è sparito.
3-
Negli ambienti milanesi ancora scioccati dallo scandalo dei "barbari" della Lega, si cerca di capire come è andata la riunione di stamane tra i componenti del Patto di sindacato di Rcs, la corazzata editoriale del "Corriere della Sera".
La curiosità è grande dopo le notizie dello scazzo furibondo che si è manifestato nella riunione di lunedì, un vero e proprio Vietnam dove sono saltate tutte le vecchie alleanze. Oltre alle polemiche suscitate dagli interventi irritanti di Dieguito Della Valle, lo scontro con Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca, ha rivelato fratture così profonde da far pensare all'impossibilità di chiudere entro venerdì la lista dei consiglieri che dovranno essere confermati dalla prossima assemblea.
Per evitare curiosità morbose l'incontro di oggi non si è svolto nella sede del "Corriere della Sera" in via Solferino, ma a Crescenzago ed è iniziato alle 8 per consentire a John Elkann di correre per le 11 a Torino dove era convocato il consiglio di amministrazione della Fiat.
A quanto si è appreso il giovane Elkann ha lasciato la riunione con l'aria del cane bastonato perché sembra ormai fallito il tentativo di creare le condizioni per una governance che consenta di piazzare il direttore della "Stampa" Mario Calabresi sulla poltrona di Flebuccio De Bortoli. Se questa operazione fosse andata in porto Yaki avrebbe potuto saldare i conti con il "Corriere della Sera" e con il suo direttore che nei mesi scorsi non hanno risparmiato articoli al vertiolo sulla Fiat a firma del giornalista-guru Massimo Mucchetti.
Parecchia corda all'ipotesi di far saltare Flebuccio dalla sua poltrona è stata data da Paolino Mieli che insieme allo Scarparo marchigiano e a Luchino di Montezemolo ha vagheggiato il ritorno alla guida del primo quotidiano italiano. Anche lui uscirà sconfitto dalle decisioni dei "pattisti", primo fra tutti Abramo-Bazoli che ha minacciato addirittura di uscire dal patto di sindacato se Dieguito avesse riproposto la candidatura di Mieli e la fantomatica ipotesi di Luchino di Montezemolo alla presidenza del Gruppo.
Le ultime notizie parlano di un clima rasserenato dove le ambizioni di Della Valle sono state soffocate anche se si è intravista sullo sfondo una sorta di intesa con Tronchetti Provera.
In pratica la soluzione finale sembra orientata a un ribaltone totale del vertice. Lascerà la sua poltrona il 73enne notaio dalla cravatta rossa Piergaetano Marchetti, che nell'aprile 2005 fu scelto per la presidenza del Gruppo, e con tutta probabilità salterà anche l'amministratore delegato Antonello Perricone, il siciliano dal volto perennemente abbronzato sul quale vengono fatti ricadere i risultati disastrosi dell'ultimo esercizio.
A prendere il timone del Gruppo saranno con tutta probabilità il professore bocconiano Angelo Provasoli e Giorgio Valerio, il manager che è già stato direttore generale di Rcs Quotidiani. Se la partita finirà così si potrà dire senza timore di sbagliare che la danza scomposta di questi ultimi giorni è stata interrotta dal quartetto di cui fanno parte come protagonisti l'ascetico banchiere Bazoli, l'anziano ma immarcescibile presidente di Cariplo, Giuseppe Guzzetti, il patron delle cliniche Rotelli (che di Guzzetti è stato assistente alla sanità alla Regione Lombardia), e Flebuccio De Bortoli.
Su quest'ultimo bisogna fermarsi un attimo perché dietro il capello curato e le parole misurate si intravede un ruolo fondamentale. Per capirne di più occorre ricordare la cena che si è svolta la sera del 23 marzo nella casa milanese di Mario Monti. Intorno al desco terribilmente sobrio si sono ritrovati in quell'occasione il presidente del Senato Renato Schifani, la ministra delle lacrime Elsa Fornero e lo stesso Flebuccio.
Inutilmente si è cercato di trovare la ragione per cui accanto a tre personaggi primari delle istituzioni, quella sera fosse presente anche il direttore del "Corriere", e vano è stato il tentativo del reverendo Fabio Fazio di chiedere a Flebuccio una spiegazione durante l'ultima puntata di "Che tempo che fa".
A Dagospia, che nella sua infinita miseria continua a considerare il "Corriere della Sera" uno degli ultimi poteri forti di questo paese, risulta che poco dopo le 23 la Fornero e Schifani se ne sono andati lasciando a Monti e De Bortoli il compito di consumare un goccio di brandy. Ed è qui, nell'intimità e nel silenzio dell'abitazione milanese di SuperMario che è nata la candidatura per la presidenza di Rcs di Angelo Provasoli, l'accademico classe 1942 che dal 2004 al 2008 è stato rettore della Bocconi, la madre di tutti i sapientoni.
Se questa ipotesi che corre a Milano è veritiera, allora si può dire che da tutto il bailamme e l'agitazione di questi giorni l'unico che porta a casa un vero risultato è l'algido premier di Palazzo Chigi che per 25 anni ha collaborato con i suoi scritti al giornale di De Bortoli. Oggi SuperMario può contare su un presidente della casa editrice e su un direttore del primo quotidiano italiano stretti da un patto che va oltre il vecchio sodalizio di sentimenti e di stima.
Un patto politico che servirà a SuperMario per costruire il suo futuro.
4- NEW YORK NEW YORK, IL VIALE DELLA PROROGA
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che a New York dalle parti di Park Avenue è stato visto un italiano con l'aria radiosa mentre saltellava sulle punte.
à Riccardo Viale, il professore che a maggio 2010 è stato nominato direttore dell'Istituto italiano di cultura a New York. A renderlo felice è la notizia che il suo mandato è stato eccezionalmente prorogato per altri due anni".
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