COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…
Federico Rampini per “la Repubblica”
La banca centrale più potente del mondo è impotente. Le mosse disperate della Federal Reserve per arginare il panico sui mercati sono andate a vuoto. L'economia globale sta franando. È in arrivo una recessione violenta. Un "buco nero" monetario risucchia verso il rischio del default molte aziende e di conseguenza il sistema bancario è sottoposto a uno stress inaudito. Perfino la crisi del 2008-2009 rischia di non essere un paragone adeguato per capire quello che sta accadendo.
La cooperazione internazionale è per lo più fasulla, una messinscena con poca sostanza. L'economia mondiale è allo sbando senza una cabina di regìa che possa salvarla, per adesso. La domenica sera era stata segnata da un attivismo senza precedenti della Fed: tassi ridotti a zero, 700 miliardi di dollari di acquisti di titoli, con una velocità eccezionale la banca centrale aveva risfoderato tutto l'arsenale già usato nel 2008, dal credito gratis al "quantitative easing" che inonda l'economia di liquidità. Più importante ancora è la terza misura annunciata domenica sera, un accordo di swap con cinque banche centrali inclusa la Bce, che serve a fornire dollari a tutto il resto del mondo.
Infatti il dollaro resta la moneta di gran lunga prevalente nelle transazioni internazionali, e nei momenti di crisi tende a scarseggiare subito. Solo chi ha il potere sovrano di stamparlo, la Fed, può trasformarsi nel prestatore di ultima istanza per il mondo intero. È essenziale che le altre banche centrali possano attingere alla "fonte" dei dollari, per prevenire penurie di liquidità potenzialmente drammatiche. Dunque la Fed ha usato tutte le armi a sua disposizione, con energia e tempismo.
Perciò colpisce ancor più la totale assenza di risultati. Alla riapertura di lunedì mattina i mercati hanno fatto come se la Fed non esistesse. Le contrattazioni azionarie a Wall Street sono state più volte interrotte per eccesso di ribasso, le perdite cumulative ormai hanno raggiunto il 25% dai massimi di febbraio. Molto più delle azioni preoccupa quel che sta succedendo sui mercati dei bond, le cui dimensioni sono di gran lunga superiori. A più riprese ci sono stati segnali allarmanti: a tratti i buoni del Tesoro perdevano valore come la azioni, invece di rivalutarsi come accade di solito quando i capitali cercano rifugio in titoli sicuri e liquidi.
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Perfino l'oro ha perso quota. Tutte le regole sono saltate e questo vuol dire una cosa sola: c'è il timore di bancarotte a catena, per cui molti si liberano di ogni categoria di titoli e perfino dell'oro, per accumulare cash in vista di una fase in cui mancherà anche quello. Siamo alla vigilia di una grande paura come quella del settembre 2008 quando intere categorie di titoli divennero carta straccia? Quando ogni banca esitava a far credito alla banca accanto, per timore che fosse "la prossima Lehman Brothers"? È ancora presto per puntare su scenari così estremi, però tira una brutta aria su certi bond aziendali. Settori come l'energia hanno montagne di debiti, e le banche ora temono insolvenze, crediti incagliati, sofferenze irrecuperabili.
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La finanza è arrivata a questo appuntamento - un vero cigno nero, statisticamente "quasi" impossibile - un po' meglio preparata che nel 2008, con una solidità patrimoniale superiore. Però è l'economia reale quella che fa più paura. Nel 2008 non fu necessario imporre una semi-paralisi economica a interi settori come trasporti e turismo, spettacoli e tempo libero: una lista che si sta allungando di ora in ora. Le compagnie aeree stanno già presentando il conto: vorrebbero 50 miliardi dal governo federale per evitare i crac, i libri in tribunale, i licenziamenti in massa. E ci sono molti altri settori nelle stesse condizioni. La Goldman Sachs ipotizza che il Pil americano possa cadere del 5% in un trimestre.
La produzione industriale cinese segna meno 13%. È profondo rosso, e di fronte a questo scenario il segretario al Tesoro Steve Mnuchin chiede al Congresso gli stessi poteri d'emergenza che furono usati da GeorGe Bush e Barack Obama per la nazionalizzazione provvisoria di banche e case automobilistiche nel 2008-2009. Circolano stime di almeno 500 miliardi di aiuti, se Washington vuole mettere in campo una manovra anti-recessiva di qualche sostanza. Potrebbero non bastare: Obama finì per spenderne il triplo.
Se le banche centrali sono vicine ad aver esaurito le loro munizioni, tocca ai governi entrare in azione. Le politiche di bilancio hanno margini di manovra, in una fase in cui indebitarsi costa quasi zero. Ridurre subito le tasse, erogare aiuti in cash alle aziende e ai lavoratori colpiti, si può e si deve fare. Un coordinamento mondiale di questi interventi potrebbe restituire fiducia a tutti: non se ne vedono le tracce. Il summit virtuale del G7 che si è tenuto ieri in videoconferenza ha emesso un comunicato generico, insignificante, senza decisioni concrete. Ognuno per sé, è una ricetta sicura per aggravare il disastro.
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