CHI SALTA NEL 2012? - DECAPITATI GERONZI, LIGRESTI, PROFUMO, BISIGNANI E GUARGUAGLINI, OGGI NAGEL IN MEDIOBANCA, PERISSINOTTO ALLE GENERALI, BERNABÉ IN TELECOM E GHIZZONI IN UNICREDIT APPAIONO TUTTI SALDI IN SELLA. MA LA CRISI STA TIRANDO IL COLLO A BANCHE E FONDAZIONI - SI POSSONO IMMAGINARE UN CALTAGIRONE, MA ANCHE UNA FONDAZIONE CRT FELICI CON IL TITOLO GENERALI A 12 EURO? PER QUANTO TEMPO ANCORA UNICREDIT FARÀ DA PUNTELLO A NAGEL ORA CHE NON C'È PIÙ UN GERONZI E IL CAPITALE, SCARSEGGIA PER TUTTI?...

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Massimo Mucchetti per "CorrierEconomia" del "Corriere della Sera"

Se non fosse un po' troppo retorico dirlo, il 2011 verrà ricordato come l'anno della caduta degli dei dell'alta finanza italiana: Cesare Geronzi è stato costretto alle dimissioni dalle Generali, Salvatore Ligresti sta perdendo la presa su Fonsai, Luigi Bisignani ha patteggiato una pena e, soprattutto, si è trovato scoperto nelle sue relazioni pericolose e Pier Francesco Guarguaglini è stato estromesso da Finmeccanica; su un fronte distinto ma non distante, Silvio Berlusconi ha dovuto lasciare palazzo Chigi.

Diverso il caso di Corrado Passera, promosso ministro dello Sviluppo economico, ma anche in Intesa Sanpaolo c'è stata una rottura di continuità. È difficile ritrovare un anno così ricco di rivolgimenti nella geografia del potere. E il 2012? L'anno prossimo si annuncia, con il ritorno del Paese alla recessione, come un banco di prova assai insidioso per quanti hanno resistito al loro posto di comando o si sono presi la rivincita.

Il 2011, in verità, si era aperto sotto ben altre stelle, con un Geronzi che, da presidente delle Generali, cercava di emarginare Mediobanca per completare la conquista della finanza del Nord che lui, romano, aveva iniziato nell'aprile 2003 con la cacciata di Vincenzo Maranghi dalla banca d'investimento milanese. Sembra un secolo fa, ed era ieri. A ben vedere, le deleghe e i poteri diretti di spesa che la compagnia triestina riservava al presidente erano poca cosa. Ma la rete delle sue relazioni appariva tentacolare.

Era Geronzi a intermediare la finanza con la politica grazie al filo diretto con palazzo Chigi. Berlusconi non aveva dimenticato il pronto soccorso ricevuto nel 1994 con l'operazione Mediolanum. Gianni Letta condivideva le frequentazioni vaticane dell'amico Cesare. Fuori sacco, ma sempre pronto alla bisogna nel pilotare indiscrezioni, dicerie e percorsi professionali, il comune amico Luigi Bisignani.

Nella sua intervista al Corriere, Geronzi allude preoccupato al peso della massoneria (e tace su quello dell'Opus Dei), ma certo con qualche fratello, viste le tessere P2 dell'ex premier e del gran faccendiere, qualche confidenza l'aveva anche lui. In Mediobanca, il banchiere di Marino poteva contare sulla colleganza con Vincent Bolloré, il leader dei soci francesi, portato anche alla vicepresidenza di Generali, non meno che sulla ventennale solidarietà politica e d'affari con Salvatore Ligresti e sul collaudato rapporto con Marco Tronchetti Provera, che ne aveva difeso il ricco emolumento dalle garbate riserve di Carlo Pesenti. Più lasche, ma non certo ostili, erano le relazioni con Unicredit e Intesa Sanpaolo.

STORIA
Da Alessandro Profumo il banchiere romano aveva avuto la presidenza di Mediobanca in cambio della cessione di Capitalia a Unicredit e, dopo qualche frizione sul management maranghiano di piazzetta Cuccia, aveva infine riallacciato i rapporti. Profumo aveva preso il posto di Mediobanca, Geronzi aveva iniziato a criticare le fondazioni bancarie, lui che pure aveva diretto l'Ente Cariroma e la Banca di Roma assieme, nei mesi in cui queste andavano maturando l'idea di rompere con Profumo.

Con Giovanni Bazoli, invece, il rapporto era più piano, da potenza a potenza, senza scambi diretti, personali: una sorta di non belligeranza che poteva portare, di quando in quando, a decisioni comuni quali le nomine in Telecom Italia ed Rcs Media Group.

L'indebolimento del governo Berlusconi e la conflittualità aperta tra Letta e il ministro Giulio Tremonti, alimentata dalle inchieste giudiziarie che hanno coinvolto i loro sodali inducendo l'uno a sospettare che dietro ci fosse la manina dell'altro, hanno minato in radice la funzione di intermediario di potere - di power broker secondo il Financial Times - esercitata da Geronzi. Al dunque, quando a Trieste batteva l'ora della verità, Letta non è riuscito a proteggerlo e il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che pure aveva avuto parte nel favorirne il trasferimento da Mediobanca alle Generali, non ha più mosso un dito, guadagnandosi ora, da ex ministro, il risentimento del banchiere sconfitto.

Nel perdere la presidenza del Leone, Geronzi ha dovuto anche fronteggiare la chiusura negativa dei processi di primo grado per Cirio e Parmalat. Non diversamente, Profumo, alla fine del 2010, ha dovuto misurare come l'appoggio in extremis di Tremonti non fosse più sufficiente a evitare il redde rationem con gli azionisti.

È già stato detto che con la fuoriuscita di Geronzi, Profumo e di Berlusconi i maranghiani, tra i quali va annoverato il vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona, si sono presi la soddisfazione di defenestrare i defenestratori. Ma nel 2012, anche loro, i vincitori, avranno i loro grattacapi. D'altra parte, nella schiera oggi al comando figurano anche personaggi che non si possono ricondurre alla matrice maranghiana. Franco Bernabé ha tutt'altra storia, Federico Ghizzoni idem.

E lo stesso Giovanni Perissinotto è soprattutto un figlio delle Generali, pur essendo stato difeso dal management di piazzetta Cuccia quando, anni fa, Profumo avrebbe voluto impegnare Mediobanca, primo azionista della compagnia, a rinnovarne la gestione.

PREVISIONI
Oggi Alberto Nagel e Renato Pagliaro in Mediobanca, Perissinotto alle Generali, Bernabé in Telecom Italia e Ghizzoni appaiono tutti saldi in sella. Ma la crisi sta tirando il collo a tutti: alle banche come aziende di credito e come azioniste di altre imprese e alle fondazioni come azioniste delle banche. L'eclisse dei potenti di prima - e l'insediamento al vertice di Intesa Sanpaolo di un personaggio ancora da scoprire come Tommaso Cucchiani, che negli anni ha intessuto buone relazioni con Geronzi come con Guzzetti - toglie ogni alibi ai vincitori. E costringerà tutti a rifare i propri conti. E allora la palla potrebbe tornare agli azionisti, liquidi e meno liquidi.

Si possono immaginare un Francesco Gaetano Caltagirone, ma anche una fondazione Crt felici con il titolo Generali a 12 euro? Per quanto tempo ancora Unicredit farà da puntello a Nagel e Pagliaro ora che non c'è più un Geronzi da contrastare e il capitale, compreso quello immobilizzato in Mediobanca, scarseggia per tutti? Di tutto questo reticolo di potentati, Telecom è quello che, alla fine, sembra avere i conti migliori, grazie al Sud America.

E questo dato può addirittura far sorridere ove si considerino le mutevoli difficoltà che hanno comunque contrassegnato dal 2007 fino al 2011 il rapporto tra Bernabé e i suoi azionisti. La crisi che incombe consiglia a tutti i manager in comando di guardare in casa propria.

E così è probabile che i Perissinotto, i Ghizzoni, i Minucci, i Bernabé, i Nagel, i Pagliaro non staranno a farsi la guerra per un euro in più di dividendo. È da vedere come si posizionerà Cucchiani, anche se non sono probabili alzate di testa. Ma oltre a loro ci sono gli azionisti. E un governo dalle uscite imperscrutabili come quella che vieta le doppie cariche in società partecipate ma concorrenti.

 

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