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Francesco Spini per “la Stampa”
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In casa Monte dei Paschi si prepara un aumento di capitale ancor più pesante delle attese. Secondo le indiscrezioni della vigilia, alla riunione di oggi il consiglio di amministrazione della banca senese dovrebbe mettere in campo un’operazione per raccogliere fino a un massimo di 2,5 miliardi di euro. L’operazione andrà dunque oltre i 2,111 miliardi di deficit di capitale risultato dagli ultimi stress test messi in campo dalla Bce, proprio in vista della vigilanza unica che, da ieri, Francoforte ha assunto sulle principali 120 banche europee, 13 delle quali sono italiane.
Il Monte, in vista dell’esame di Francoforte (di cui è tra vigilati diretti), probabilmente non vuole limitarsi con il suo «capital plan» a coprire solo lo «shortfall» ma, insieme con operazioni accessorie come la vendita di asset (il credito al consumo di Consum.it, per esempio), di crediti dubbi (per cui c’è in campo Davide Serra con la sua Algebris) e dei freshes, voglia presentarsi con un piano complessivo di rafforzamento, prima di pensare a probabili nozze.
L’intenzione sarebbe quella di vendere tutta la fetta residua dei cosiddetti «Monti bond» (dei 4 miliardi iniziali sono rimasti 1,1 miliardi di aiuti di Stato) e dunque anche la tranche da 350 milioni che la banca aveva già preventivato di vendere entro il 2017, dunque oltre l’orizzonte preso in considerazione dagli stress test.
Nel frattempo sarebbe sostanzialmente pronto anche il consorzio di garanzia. Ubs ne sarebbe il global coordinator, mentre Mediobanca, Citi e Goldman Sachs sarebbero co-global coordinator. Con loro ci dovrebbero essere Barclays, Morgan Stanley, Bofa-Merril Lynch, SocGen, con Deutsche Bank in forse. Alla vigilia della riunione di oggi, il titolo della banca guidata dal presidente Alessandro Profumo e dall’ad Fabrizio Viola ha registrato un +5,3% in controtendenza rispetto al mercato, chiudendo a 0,65 euro, tra scambi molto intensi: è passato di mano il 4,6% del capitale.
Tra i grandi soci proseguono le valutazioni in attesa dell’aumento. La Fondazione Mps, che ha il 2,5% della banca, ha nominato un advisor, il Credito Fondiario, per compiere l’analisi sul piano della banca. Il presidente Marcello Clarich non si sbilancia: «In questo momento - ha dichiarato - non so rispondere» alla domanda sulla partecipazione dell’Ente alla prossima ricapitalizzazione. Possibile che alla fine si muoverà in blocco con gli altri pattisti (in tutto un 9%), i sudamericani Btg Pactual e Fintech, che non si vorrebbero diluire.
Ma questo è appena il primo tempo di un processo che molto probabilmente porterà a un matrimonio bancario. Ieri il Santander (tra i principali indiziati sposi, come il Bnp Paribas) si è ufficialmente tirato indietro assicurando di «non aver guardato al dossier Mps» e di non aver avuto «alcun contatto» con Rocca Salimbeni. Gli spagnoli non guardano all’Italia per espandersi, semmai al Portogallo.
A giudizio di un banchiere come Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, un’eventuale offerta estera non dovrebbe essere un problema per una banca tricolore: «Non debbono più esistere steccati di questo genere». Ma gli esponenti del Pd senese e toscano restano contrari a nozze tanto con una banca straniera, quanto con un’italiana più grande. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, reduce da una riunione, lunedì, con esponenti delle istituzioni senesi (targati Pd) tranquillizza, dicendo che «a breve verranno prese delle decisioni che io spero siano positive».
Quanto al fatto che il governo se ne occupi, Lotti la vede così: «Quando il partito si occupava troppo della banca era sbagliato, e l’abbiamo detto. Non occuparsi per niente del terzo istituto del Paese è allo stesso modo sbagliato». Quella del Monte è tra le prime prove a cui è chiamata la nuova supervisione bancaria a livello europeo, da ieri avviata dalla Bce. A Francoforte giurano che «migliorerà e rafforzerà la stabilità finanziaria, assicurando un equo terreno di gioco per tutti».
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