1- ANCHE SE PER NATURA NON TRADISCE EMOZIONI, IL NEO-PRESIDENTE DELLA BCE AVRÀ PROVATO BRIVIDI PROFONDI DI INCAZZATURA. TUTTA COLPA DI GUIDO ROSSI CHE SUL “CORRIERE” CHIAMA IN CAUSA IN MANIERA ABBASTANZA CLAMOROSA I TRASCORSI DI DRAGHI A GOLDMAN SACHS, DOVE SUPERMARIO È STATO VICEPRESIDENTE PER TRE ANNI 2- ROSSI RICORDA CHE GOLDMAN È RIUSCITA A ORGANIZZARE GLI STRUMENTI “PER NASCONDERE IL DEBITO PUBBLICO GRECO”, E COME NON BASTASSE AGGIUNGE: “OSSERVO CHE DRAGHI FIRMAVA PAPER SUI DERIVATI CON MERTON, IL NOBEL CHE ERA GIÀ FAMOSO PER AVER CO-FONDATO CAPITAL MANAGEMENT, L’HEDGE FUND FALLITO NEL ‘98” 3- CAFONAL DI PIZZI AL CONVEGNO DELL’ABI, STARRING IL GRANDE VECCHIO DELLA FINANZA, ABRAMO-BAZOLI CHE DAVANTI A NAPOLITANO E IGNAZIO VISCO, HA SILURATO L’EBA (EUROPEAN BANKING AUTHORITY), CHE HA OSATO CHIEDERE ALLE PRIME CINQUE BANCHE ITALIANE ALTRI 15 MILIARDI PER IRROBUSTIRE LA PROPRIA DOTE PATRIMONIALE (LE AUTORITÀ BANCARIE EUROPEE SANNO CHE BANCA INTESA HA IN PANCIA 58,1 MILIARDI DI EURO IN BTP, MENTRE UNICREDIT NE REGISTRA 48, E MONTEPASCHI NE HA 32)

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Foto di Umberto Pizzi al convegno dell'Abi

Luigino Abete è davvero uno strano personaggio. Quando ti aspetti di vederlo con la fronte imperlata di sudore, nemmeno una gocciolina gli scende sul viso e questo pare che gli succeda quando è particolarmente nervoso e stressato. Così è apparso ad esempio ieri sera nel salotto di Giovanni Floris, il buon samaritano di "Ballarò" che si sta costruendo le credenziali per un ruolo importante nella televisione del dopo Berlusconi.

Con un impeto sorprendente e con il colletto fuori dalla giacca Abete ha cercato di trasmettere agli ospiti in studio e agli italiani la gravità dell'apocalisse che tra venerdì e ieri si è abbattuta sui mercati. A farne le spese è stata una signora bolognese di 46 anni con il naso "mutilato" che si chiama Anna Maria Bernini, l'avvocato che il Presidente Patonza ha miracolato a luglio piazzandola sulla poltrona di ministro delle Politiche Europee.

Di fronte agli interventi stentorei della querula signora Luigino si è accalorato fino al punto di perdere la calma e di lasciarsi andare a un linguaggio trasteverino che tradiva un'eccitazione fuori misura, molto lontano dalla calma olimpica con cui l'economista Giacomo Vaciago bacchettava il governo.

Poi la vis polemica del presidente di BNL si è scaricata su Maurizio Lupi, che ha avuto l'ardire di chiedergli dove fosse quando il debito pubblico cresceva; qui Luigino ha perso definitivamente le staffe e ha accusato il vicepresidente della Camera (fresco autore di un libro che non passerà alla storia) di "andare fuori di testa", e ha tirato fuori dalla tasca il telefonino per dimostrare che la sua ira contro il governo è l'ira dei cittadini e degli imprenditori che lo martellano con messaggini di consenso.

Il siparietto di ieri sera è la conferma dell'agitazione che attraversa il mondo delle imprese e delle banche. Ormai è chiaro che dopo il crollo di questi giorni gli uomini della finanza si sentono come pecore tosate che devono mettersi alle spalle una volta per tutte le stagioni dei bilanci favolosi e degli stipendi da capogiro.

I bonus sono diventati malus, l'emergenza è diventata la normalità. Arrivati a questo punto i banchieri dormono sonni agitati, soffrono di cefalee acute e capiscono che il problema non può essere risolto da un governo moribondo dove il ministro dell'Economia (dileggiato da Giuliano Ferrara come "demagogo e doppiogiochista") se ne va con il suo protettore Bossi alla festa della zucca vicino a Piacenza, il ministro dello Sviluppo parte e ritorna precipitosamente dall'India, mentre l'ineffabile Brunetta se ne rimane in Cina a guidare una delegazione di "Innovatori Italiani".

Anche gli uomini della finanza che come Draghi guidano le grandi istituzioni e i principali istituti di credito italiani, hanno capito che non basta pagare la "tassa Berlusconi" per uscire dalla crisi e allontanare il rischio che il sistema venga colonizzato da mani straniere.

Da predatori le banche sono diventate prede che si potrebbero acquistare con una manciata di soldi se le faglie del terremoto non avessero incrinato l'economia degli altri paesi. Basta vedere a quali livelli miserandi è arrivata la capitalizzazione delle prime banche italiane con l'Unicredit sotto i 15 miliardi, Intesa poco sopra i 17, per non parlare poi di MontePaschi che ieri segnava 3,3 miliardi, e la Banca Popolare di Milano con 700 milioni.

Le autorità bancarie europee e le merchant bank come Goldman Sachs sanno che IntesaSanPaolo ha in pancia 58,1 miliardi di euro in BTP, mentre piazza Cordusio ne registra 48, e MontePaschi (dove ieri il titolo valeva quasi 30 centesimi) ne ha 32.

Il vitello d'oro sta per diventare un ricordo e lo sa bene Mario Draghi che ieri deve aver vissuto la sua prima giornata alla BCE all'insegna di un'immensa preoccupazione.

Anche se per natura non tradisce emozioni, il neo-presidente della BCE avrà provato brividi profondi sui quali a distanza di 24 ore si sarà probabilmente aggiunta una buona dose di incazzatura.

La ragione va cercata nell'intervista rilasciata al "Corriere della Sera" da Guido Rossi, l'avvocato 80enne dalla cravatta "comunista" che sul giornale di De Bortoli chiama in causa in maniera abbastanza clamorosa i trascorsi di Draghi a Goldman Sachs, la banca americana dove superMario è stato vicepresidente per tre anni.

L'arzillo vecchietto non risparmia fialette di acido e riprendendo un paio di articoli del "New York Times" e di "Le Monde" sull'esperienza londinese di Draghi, ricorda che Goldman Sachs è riuscita a organizzare gli strumenti "per nascondere il debito pubblico Greco", e come non bastasse aggiunge: "osservo che Draghi firmava paper sui derivati con Robert Merton, il Nobel che era già famoso per aver co-fondato il Long Term Capital Management, l'hedge fund fallito nel ‘98".

Per Guido Rossi "gira ancora la cultura di prima, che negava in radice il problema della disuguaglianza", e le sue parole suonano come un messaggio poco augurale che si aggiunge ai commenti nervosi di queste ore. D'altra parte come si potrebbe non definire eccitata e nervosa la requisitoria pronunciata venerdì scorso all'ABI da quell'altro Grande Vecchio della finanza, Abramo-Bazoli.

Nella sala di Palazzo Altieri dove è stato presentato un libro su "Le banche e l'Italia", nessuno si aspettava che il banchiere bresciano alzasse l'ascia di guerra in difesa delle banche. E quando il Presidente Napolitano, poco dopo le 12, ha disceso lo scalone di Palazzo Altieri accompagnato dall'ex boccoluto e neo-rasato presidente dell'ABI, Giuseppe Mussari, tutti hanno visto che le parole di Bazoli avevano lasciato il segno.

Gli strali dell'amico di Prodi, che ha definito stupidaggini e follia i giudizi di Berlusconi sull'euro, sono andati soprattutto nei confronti di chi ha osato mettere il dito sulla necessità che le prime cinque banche italiane si foraggino di nuovi capitali. I banchieri presenti in sala, primi fra tutti Mussari e Guzzetti, hanno capito al volo che il siluro di Abramo-Bazoli aveva un indirizzo preciso: la Torre 42 di Old Broad Street, il palazzo della City dove si trova l'EBA (European Banking Authority), l'organismo che ha osato chiedere alle prime cinque banche italiane altri 15 miliardi per irrobustire la propria dote patrimoniale.

Poco importa se al vertice dell'EBA sia un italiano di 49 anni, nativo di La Spezia, come Andrea Enria, l'intelligente ex-dirigente di Bankitalia che dal gennaio scorso guida questo organismo al quale sono attribuiti compiti di vigilanza sulle banche europee. Per il presidente di Intesa quella dell'EBA è una richiesta assurda, un urlo di guerra da respingere se non si vuole tornare "a un sistema bancario pubblico che ci riporterebbe indietro di 30 anni". Il riferimento del Grande Vecchio bresciano è all'epoca dell'Iri quando le tre banche di interesse nazionale (Comit, Credito Italiano e Banco di Roma) furono privatizzate in modo maldestro.

Forse Bazoli avrebbe fatto bene a spostare le lancette dell'orologio più indietro, al 1934, quando le tre BIN furono nazionalizzate da quell'Iri, nato un anno prima, che poi ha dovuto vedersela qualche decennio dopo con le privatizzazioni pilotate dall'amico Prodi.

Oggi si discute sulla solidità delle prime cinque banche italiane e c'è chi ventila l'intervento della Cassa Depositi e Prestiti paventando i rischi di un tracollo. I vari (che sarà rimasto sorpreso dalla vigorosa difesa del sistema pronunciata dal suo presidente) negano che la Grecia sia vicina e che si avvicini il fantasma delle banche inglesi e irlandesi.

Nessuno di loro crede ormai più alle parole di Thomas Jefferson quando diceva: "le banche sono più pericolose degli eserciti", ma anche ammesso che sappiano quello che oggi sono e che nascondono nei loro bilanci, non sanno che cosa domani potranno essere.

I nervi sono a fior di pelle, ma l'autocritica sugli errori commessi non è ancora venuta alla luce.

 

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