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1 - ALLARME CONTI RAI LOTTA ALL’EVASIONE TAGLI E SPOT PIÙ CARI
Aldo Fontanarosa per “la Repubblica”
Un pressing senza precedenti su bar, ristoranti, hotel, uffici pubblici perché paghino finalmente il canone della tv dopo anni di allegra evasione. Spot pubblicitari venduti a prezzi più alti archiviando per sempre la politica degli sconti facili. Una gestione attenta del debito, in particolare del prestito obbligazionario con scadenza 2020. E poi una stretta alla macchina produttiva sotto il segno di risparmio ed efficienza.
La Rai mette in campo un piano urgente per far quadrare i conti che, in questo 2017, non tornano più. È l’effetto del canone per le famiglie a 90 euro lordi (dieci in meno) e di entrate pubblicitarie attese a 680 milioni. Messo a punto dall’ad Campo Dall’Orto e dal direttore finanziario Raffaele Agrusti, nelle mani di un’importante banca d’affari, il piano segna un passaggio decisivo per l’azienda.
Al di là della siepe, se falliscono queste operazioni, non resta che una severa ristrutturazione industriale. Al di là della siepe ci sono un taglio importante del costo del lavoro e dei canali offerti (14 oggi), dei grandi eventi sportivi (come i Mondiali) e delle produzioni esterne di fiction, film e show.
L’evasione del canone delle famiglie, ora in bolletta, è arginata. Rai la stima al 6%, l’Agenzia delle Entrate è ancora più ottimista. Il problema è che l’imposta scende a 90 euro nel 2017 e intanto salgono le trattenute statali. Per questo la Rai ipotizza un incasso netto di 75,81 euro per ogni abbonato e ricavi totali ad appena 1.601 milioni quest’anno. Bisogna andare indietro al 2010 per ritrovare un importo così basso.
Ecco poi il canone speciale. È dovuto ad esempio da esercizi commerciali come i bar, è più doloroso nell’importo e andrebbe pagato alla vecchia maniera (anche con il bollettino). Andrebbe, appunto. Qui l’evasione è arrivata al 60%. E Viale Mazzini, che incassa la miseria di 90 milioni, va all’attacco. Ora che sono fuori dai giochi gli storici ispettori (un centinaio di “soldatini” spesso picchiati quando reclamavano il canone in giro per il Paese) entra in scena un pool di specialisti. Sono cinque società di riscossione crediti che la Rai ingaggia con l’obiettivo di recuperare 50 milioni entro tre anni.
Intanto la tv di Stato ha archiviato gli sconti sugli spot. Lo dice Nielsen, che calcola il prezzo medio netto per ogni secondo di pubblicità alla tv. A ottobre 2016 (è l’ultima stima) le tre reti principali (RaiUno, RaiDue e RaiTre) sono a 199,67 euro contro i 128,43 di Mediaset. La progressione per Viale Mazzini è dell’11,5% in un anno. Nel 2017, le entrate pubblicitarie sono ipotizzate a 680 milioni (cifra comunque inferiore ai 700 milioni del 2016, quando c’erano Europei e Olimpiadi).
Lungo questa strada in salita, la tv pubblica deve fare i conti anche con il declassamento. Il 12 dicembre l’agenzia Moody’s ha portato il rating della Rai da stabile a negativo, dopo la sconfitta del governo Renzi al referendum istituzionale e una nuova impennata del debito pubblico del Paese.
Una disdetta per Viale Mazzini che era pronta a mettere mano al suo prestito obbligazionario quotato (emesso nel 2015). Obiettivo della Rai era prolungare la scadenza del prestito dal 2020 al 2025 e strappare tassi di interesse ancora più vantaggiosi, grazie al sostegno al credito della Bce. Adesso i piani sul prestito obbligazionario sono archiviati per la controversa situazione economica dell’azienda.
In questo scenario critico, Viale Mazzini non nasconde i suoi sforzi e le sue difficoltà al ministero dell’Economia, dove è aperto un tavolo formale. Le richieste sono chiare. Aumentare la quota di canone da destinare alle casse della Rai. E scongiurare una perdita di pubblicità tra i 100 e i 120 milioni di euro, conseguenza di una interpretazione restrittiva della Legge Gasparri sui tetti di affollamento. Il precedente esecutivo l’ha infilata nella bozza di nuova Concessione che assegnerà il servizio pubblico tv a Viale Mazzini per i prossimi dieci anni.
2 - IL GOVERNO CONVOCA SKY SU ESUBERI E TRASFERIMENTI
Ora è ufficiale. Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda apre un tavolo sulla vertenza Sky che annuncia 200 esuberi, 300 trasferimenti da Roma a Milano e altri 10 da Cagliari a Milano (operazione da chiudere entro l’anno). Il ministro risponde così alla richiesta di un gruppo di deputati del Pd guidati da due “fedelissimi” del premier Paolo Gentiloni (Michele Anzaldi e Lorenza Bonaccorsi). Ma sul fronte politico Sky Italia fa il pieno di critiche anche da destra.
Dice Maurizio Gasparri (Forza Italia): «Una gestione che ha puntato più sull’immagine che sulla sostanza oggi scarica sui dipendenti la propria incapacità. Prima di chiudere sedi e licenziare o deportare dipendenti, dovrebbero lasciare il campo amministratori inadeguati». L’eurodeputato leghista Ciocca: «Da lombardo sarei contento se la sede di Milano di Sky venisse potenziata.
Da politico, però, dico che al primo posto c’è la vita delle persone, dei giornalisti e dei tecnici che rischiano di perdere il lavoro». Giuseppe Cangemi (Pdl), presidente della commissione Pluralismo della Regione Lazio, convocherà i top manager della pay-tv, allarmato per gli effetti del “trasloco” di Sky sull’economia della Capitale. Ieri infine assemblea tra i giornalisti dell’emittente, i tecnici e gli impiegati. In un documento congiunto, i dipendenti chiedono «quali siano i risparmi e gli investimenti dell’operazione prospettata e quale l’organizzazione del lavoro futura di tutta Sky».
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