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Giuliana Ferraino per il “Corriere della sera”
La Silicon Valley prova a innovare anche la governance. Snap, la società che controlla la app di condivisione di foto, messaggi istantanei e video chat temporanei Snapchat, giovedì ha depositato alla Sec la documentazione per un' offerta pubblica iniziale da 3 miliardi di dollari sul Nyse, che valorizzando la società 25 miliardi, ne farà la maggiore Ipo hi-tech dalla quotazione di Facebook.
Con una novità: sarà la prima società a vendere azioni al mercato senza alcun diritto di voto. La notizia ha fatto infuriare i grandi asset manager e fondi pensione, che hanno reagito immediatamente. Venerdì, il Council of Institutional Investors (Cii) ha inviato una lettera ai fondatori di Snapchat, Evan Spiegel (Ceo), e Robert Murphy (chief technology officer), e al presidente designato Michael Lynton, attualmente numero uno di Sony America, sottoscritta da 18 membri del Cii e altri investitori istituzionali, per chiedere alla start-up californiana di riconsiderare la struttura proposta, e andare sul mercato con una sola classe di azioni.
«Siamo preoccupati del progetto di Snap di quotarsi con una struttura che nega agli azionisti esterni qualsiasi voce nella società», si legge nella lettera pubblicata sul sito del Cii, che chiede «un incontro urgente per discuterne». Inoltre «le società prive di una responsabilità effettiva crescono per un certo periodo, ma altre crollano e si bruciano, o altre ancora perseguono una strategia sbagliata per troppo a lungo», avvertono i grandi investitori.
Ma c' è un altro rischio: la struttura non convenzionale proposta da Snap potrebbe fare scuola ed essere imitata altrove, temono i fondi, già impegnati a chiedere di contare di più nella governance delle società in cui investono.
La mossa, infatti, segue di appena una settimana l' iniziativa lanciata da un gruppo dei principali asset manager, inclusi il leader mondiale BlackRock e Vanguard Group, per sollecitare le società quotate a garantire «diritti di voto in proporzione all' investimento». Come dire: un' azione, un voto, chiedono i big, nel tentativo di conquistare maggiore controllo sul management.
«I fondi non dovrebbero comprare azioni comuni prive di voto», dice all' agenzia Reuters Charles Elson, docente alla University of Delaware ed esperto di corporate governance. Gli investitori che comprano azioni senza diritto di voto, sono completamente ostaggi del management»,valuta Elson.
Il prospetto depositato da Snap alla Sec prevede tre classi di titoli, che concentreranno i poteri di voto nelle mani dei due co-fondatori Spiegel e Murphy. Ciascuna delle loro azioni ha diritto a 10 voti sulle questioni di governance. Gli investitori attuali, come ad esempio le società di venture capital, avranno un voto per ogni azione; le azioni vendute al pubblico invece non avranno alcun diritto di voto. E' la prima volta che accade a Wall Street, mentre in passato era già successo che altri giganti hitech, compresi Google e Facebook, attribuissero ai fondatori poteri speciali.
Snap va oltre. I poteri di voto di uno dei fondatori si ridurrebbero solo nel caso in cui la quota fosse sostanzialmente ridotta, con la vendita di oltre il 70% delle azioni, o 9 mesi dopo la sua morte. Nel caso che entrambi i fondatori morissero, la società garentirebbe a ogni investitori gli stessi diritti di voto.
Questa struttura azionaria non convenzionale ha un costo: potrebbe impattare sul prezzo delle azioni, come viene riconosciuto anche nel prospetto informativo. Normalmente la valutazione di un titolo viene scontata del 30%, quando i fondatori mantengono il controllo, per proteggere gli investitori esterni, scrive Richard Windsor, analista di Edison Investment Research, in un report pubblicato venerdì, spiegando che un controllo stretto può essere giustificato in una società privata nelle fasi iniziali, ma non lo è nelle grandi società quotate, dove i problemi sono peggiorati perché i fondatori «tendono ad essere emotivamente legati alle loro aziende».
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