DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Fausta Chiesa per il “Corriere della sera”
Chairman and CEO Bernard Arnault on LVMH
Le prime 15 aziende della moda italiana fatturano meno del gruppo francese Christian Dior, holding del colosso Lvmh: 30 miliardi per il made in Italy e 35 miliardi per il leader mondiale del lusso, che nei suoi ricavi mette anche le vendite provenienti da brand quali Fendi, Loro Piana, Emilio Pucci e Bulgari. Ma il confronto Italia-Francia, come emerso dai dati presentati ieri da R&S Mediobanca nel focus sulla moda, non è così sbilanciato come sembrerebbe. Tra le Top 15 di una classifica mista basata sui fatturati del 2015, il made in Italy piazza nove aziende, mentre i francesi soltanto sei.
Dopo il gruppo guidato da Bernard Arnauld, segue Kering con 11 miliardi, ma è destinata a essere superata da Essilor-Luxottica quando sarà realizzata la fusione che darà vita a un gruppo da quasi 16 miliardi di giro d' affari. Il gruppo di gran lunga più grande tra gli italiani è Luxottica (8,8 miliardi, ma appunto in fase di fusione con Essilor), seguita a grande distanza da Prada (3,5 miliardi di fatturato 2015), Armani (2,6), Calzedonia (2) e Otb (1,5 miliardi).
Il brand che nel periodo 2011-2015 ha registrato l' incremento più sostenuto dei ricavi è Valentino (+102%), seguito da Moncler (+71,5%), Calzedonia (+55,8%), Armani (+46,9%), Ferragamo (+44,8%), Luxottica (+42%), Prada (+38,8%). Continua invece la flessione di Benetton, che con un calo del 25,8% è l' unica delle prime 15 aziende italiane del settore ad archiviare il quinquennio con il segno meno.
In una partita, l'Italia batterebbe la Francia in quanto a liquidità e capitalizzazione, ma perderebbe in fatto di redditività. Analizzando i dati di bilancio si scopre che le italiane sono tante «Parmalat», cioè aziende che custodiscono un «tesoretto» di liquidità che - oltre ovviamente al brand - potrebbe fare gola. Parmalat fini nella mani della francese Lactalis.
Ora è possibile che i grandi gruppi della moda d' Oltralpe guardino con interesse a quelli italiani, più piccoli e ricchissimi di liquidità. I primi 15 marchi italiani che tra il 2011 e il 2015 hanno accresciuto del 26% il «tesoretto» della cassa a 5,5, miliardi. Del resto, gli utili prodotti dal sistema è stato pari a 13,74 miliardi di euro tra il 2011 e il 2015, con un picco toccato proprio nell' ultimo anno preso in considerazione (3,23 miliardi). Inoltre, sempre secondo il rapporto - presentato ieri nel primo giorno della settimana della moda milanese - i debiti dei grandi gruppi italiani ammontano al 21% del patrimonio.
Anche soltanto sul piano finanziario, sono prede particolarmente appetibili. E qualche nome potenzialmente molto interessante emerge. Il primo è Armani con liquidità molto superiore ai 600 milioni e un' incidenza della cassa sui debiti che si fa fatica a definire, visto che è oltre il 509mila per cento. Ma quasi tutti i «big» italiani mostrano parametri «da sogno»: Max Mara ha un' incidenza di liquidità sui debiti del 785%, seguita da Geox (452%) e Tod' s (260%), con Otb (l' universo Diesel fondato da Renzo Rosso) al 205% e D&G al 180 per cento.
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