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Eni ha deciso che Saipem è un asset non più strategico per le sue attività, sempre più concentrate sugli idrocarburi. Ma prima di tagliare il cordone ombelicale con la società ingegneristica che controlla al 43%, è necessario che la controllata rifinanzi i 4,2 miliardi di euro di passività, di cui ben 4,1 miliardi sono debiti che erogati dalla stessa Eni.
Così, in attesa di una possibile cessione di Saipem, il colosso italiano avrebbe dato mandato a Lazard per ristrutturare il debito. Tuttavia mentre la banca d’affari guidata in Italia da Marco Samaja stava prendendo i primi contatti con la società per cominciare le operazioni, sembra che un’altra banca d’affari internazionale avrebbe fatto pressioni per affiancare Lazard nel ruolo di consulente della società.
Nulla di male né di strano, in un momento in cui tutte le merchant bank sono a caccia di commissioni, e il dossier Saipem sta suscitando moltissimi appetiti. A bussare alla porta di Eni e Saipem, però, sarebbe stata anche Rothschild, la boutique finanziaria che da un paio di mesi ha ingaggiato come suo vice presidente Paolo Scaroni, ex ad dell’Eni e per nove anni guida incontrastata del Cane a sei zampe.
Proprio Scaroni, durante gli ultimi mesi della sua gestione, aveva più volte lasciato capire che Saipem era un asset da valorizzare, tanto che verso la fine del suo mandato il manager aveva incaricato informalmente Goldman Sachs di occuparsi del dossier ed esplorare tutte le soluzioni, tra cui trovare potenziali acquirenti.
Nella nuova gestione di Claudio Descalzi, Goldman sarebbe invece rimasta fuori dai giochi, nonostante la merchant bank Usa avesse già portato avanti parte del lavoro, intavolando diversi contatti a livello internazionale. Chissà se ora il neo ad di Eni avrà voglia di affidare alla banca per cui lavora il suo ex capo Scaroni il compito di sbrigare una matassa intricata, tra le implicazioni geopolitiche, i cascami dell’inchiesta giudiziaria italoalgerina e il rilancio di una redditività dal 2013 appannata.
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