MALEDETTA EUROPA - L'UNIONE EUROPEA STA PORTANDO AL FALLIMENTO DI UNO DEI POCHI GIOIELLI ITALIANI DELLA FINANZA: A RISCHIO CHIUSURA IL CREDIOP DESTINATA A FINANZIARE LE GRANDI OPERE PUBBLICHE E GLI ENTI LOCALI

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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"

 

DEXIA DEXIA

Il fiscal compact, l’euro, l’austerity, la burocrazia, le norme che danneggiano le imprese. I motivi per avercela con l’Unione europea sono tanti. Da martedì ce n’è uno in più. Sì, perché a Bruxelles hanno di fatto deciso che un gioiello della finanza tricolore va buttato nel cestino della spazzatura e i sindacati italiani hanno preso atto che per 177 lavoratori non c’è futuro.

 

Stiamo parlando del «vecchio» Crediop, istituto bancario fondato nel lontano 1919 con l’obiettivo di finanziare gli enti locali e la realizzazione delle grandi opere pubbliche. Un player che funzionava talmente bene da scatenare (siamo nel 1997) l’appetito del colosso franco-belga Dexia. Che prima entra nel capitale del Crediop col 40% e poi sale fino al 70% nel 2001. Funziona tutto liscio finché Dexia collassa, all’inizio della tempesta finanziaria, nel 2008. 

 

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Da quel momento, il gigante della finanza finisce nella rete dell’Unione europea. E per la controllata italiana che aveva - e ha tuttora - i conti in ordine iniziano i dolori. L’Ue impone a Dexia di vendere il Crediop, ma solo nel 2012 dal quartier generale parte il via libera alla dismissione. Troppo tardi. Perché i governi francese e belga, pressati dalla Commissione Ue che frattanto aveva bloccato l’operatività di Dexia, dichiarano la messa in liquidazione della banca italiana (formalizzata nel corso di quest’anno), che tuttavia, dati al 31 dicembre 2013, ha un patrimonio di 1,4 miliardi di euro e asset creditizi gestiti di ottima qualità, tant’è che in uno dei ranking di Mediobanca è al decimo posto.

 

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A pagare il conto sarebbe soprattutto il cosiddetto «sistema Italia» al quale verrebbe a mancare un operatore importante per sostenere infrastrutture e autonomie territoriali. Nelle ultime settimane si è parlato anche di un coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti: ci sarebbe financo un dossier in Banca d’Italia e al Tesoro, ma sembra impantanato. Preoccupati, ovviamente, i sindacati.

 

Ai quali martedì scorso, come accennato, è stato servito un boccone amarissimo dal top management italiano: procedura di licenziamento collettivo per un terzo dei lavoratori (60 su 177). E questo sarebbe solo l’antipasto, perché nel 2017 potrebbe arrivare una seconda ondata di licenziamenti.

 

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Sembra, peraltro, che ci sia poco da trattare. Il rischio è che la capogruppo voglia proseguire a dissanguare l’asset italiano, spolpando il patrimonio il più possibile per ripianare gli enormi buchi nei conti (in Francia e Belgio). Un giochetto che Dexia sta mascherando dietro le espressioni «run off» e «risoluzione ordinata». Un pasticcio che sta costringendo i lavoratori, per tutelarsi, a chiedere la messa in liquidazione diretta del Crediop. Le organizzazioni sindacali si muovono compatte, dalla Fabi a Dircredito. Finora non sono bastate né le proteste in piazza né alcune iniziative parlamentari, come quella di Titti Di Salvo (deputata del gruppo misto) che ha presentato una interrogazione al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

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C’è poi un altro aspetto, non meno rilevante. Socie del Crediop sono anche tre banche della Penisola: Biper, Banco Popolare e Bpm. In tutto hanno il 30% della controllata italiana di Dexia e la loro quota corre il rischio di essere danneggiata, insieme con i diritti dei lavoratori e con gli investimenti nelle grandi opere pubbliche, dall’incomprensibile, folle linea dura di Bruxelles.