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harvard il commencement speech di mark zuckerberg
G.sar. per il Corriere della Sera
L' agenda di Mark Zuckerberg deve essere già piena di appunti. In una sola giornata ha ricevuto l' invito di Damian Collins, presidente della Commissione Media del Parlamento britannico e quello di Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo. Tutti e due chiedono al fondatore del social più diffuso di «spiegare» in un' audizione la vicenda dei 51 milioni di profili sottratti da Cambridge Analytica e messi al servizio prima della Brexit e poi della campagna elettorale di Donald Trump.
Nello stesso tempo, si muove la magistratura americana. I procuratori generali del Massachusetts e di New York ieri hanno inviato una lettera a Facebook per chiedere «come siano stati gestiti i profili personali raccolti da Cambridge Analytica».
Ancora in Gran Bretagna la commissione sull' informazione aprirà un' inchiesta autonoma e in Italia, la Agcom, l' autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ha fatto sapere di aver chiesto a Facebook «informazioni» sulla gestione dei dati sensibili «per finalità di comunicazione politica da parte di altri soggetti». L' assedio è globale. Arrivano sollecitazioni persino dal Kenya, dal partito di opposizione al presidente Uhuru Kenyatta.
Per il momento l' unico risultato concreto è la sospensione immediata di Alexandr Nix, amministratore delegato di Cambridge Analytica, sospettato di aver pagato anche tangenti e procurato prostitute per favorire i suoi clienti. Ma l' epicentro della crisi è proprio Facebook, il suo modello organizzativo, la sua credibilità. Anche ieri il titolo è slittato a Wall Street, perdendo circa il 3,6% dopo il 6,8% dell' altro giorno. «Siamo indignati, siamo stati ingannati», è l' unico commento che arriva da Facebook.
Alex Stamos, responsabile per la sicurezza dei dati, ha smentito le indiscrezioni del New York Times con un tweet: «Nonostante le voci, io rimango pienamente impegnato nel mio lavoro a Facebook». I media, comunque, insistono: si dimetterà entro agosto. Lo stesso Stamos, però, riconosce che le sue «funzioni» sono cambiate all' interno dell' azienda e che, da almeno due anni, le sue sollecitazioni a prestare più attenzione alle manovre di disturbo dei russi non sono state accolte dal vertice.
E per «vertice» si intendono due figure: il fondatore e a.d.
Mark Zuckerberg e Sheryl Sandberg, la direttrice generale. Si può immaginare Facebook senza Zuckerberg? Chiaramente no. Ma tutti gli altri, ora, sono in discussione, compresa Sandberg. Il New York Times scrive che l' azienda sta sondando l' opinione pubblica sulla manager per testare il danno di immagine.
Stamos, arrivato nel 2015 da Yahoo, fin dal 2016 aveva messo in guardia il vertice aziendale. Si è scontrato prima con l' ufficio legale e poi, direttamente, con Sandberg.
Il Guardian aggiunge le dichiarazioni di un ex manager Facebook, Sandy Parakilas, 38 anni. Tra il 2011 e il 2012 aveva avvisato: «Tutti i dati resi disponibili agli sviluppatori non sono più controllati». Nessuno lo prese sul serio.
Nel 2016 si aggiungono i sospetti sugli hacker russi. Ma è lo stesso Zuckerberg a liquidare la questione, come «una piccola sciocchezza». E ora eccoci qui con la «piccola sciocchezza» che sta facendo crollare le quotazioni finanziarie e la credibilità di Facebook. Il 30 e il 31 ottobre 2017, in due audizioni al Congresso, Colin Stretch, general counsel di Facebook, rivelò che circa 126 milioni di americani avevano letto post con contenuti violenti. «Siamo determinati a fare tutto ciò che possiamo per far fronte a questa minaccia», commentò Stretch. Oggi sappiamo che i dirigenti di Facebook erano più divisi che «determinati».
LE RIVELAZIONI DELLA TALPA
Spunta un nome pesante nello scandalo che sta facendo tremare l'impero digitale di Facebook. Il programma per la raccolta di dati sul social network fu avviato dalla Cambridge Analytica sotto la supervisione di Steve Bannon, l'ex stratega di Donald Trump. Lo ha detto al Washington Post Chris Wylie, la 'talpa' che ha rivelato lo scandalo dei dati personali degli utenti dei social utilizzati per scopi politici. Bannon avrebbe voluto testare su milioni di profili facebook l'efficacia dei messaggi populisti lanciati durante la campagna elettorale di Trump.
"L'intera società indignata, siamo stati ingannati", fa sapere la società, negando responsabilità dirette e promettendo indagini accurate e soluzioni sempre più efficaci a tutela della privacy. Intanto Londra, Washington, Bruxelles e l'italiana Agcom chiedono a Zuckerberg spiegazioni su quanto accaduto.
Il ruolo di Steve Bannon La rivelazione arriva dalla "talpa" di tutta l'inchiesta, intervistato dal Washington Post. Il programma per la raccolta di dati su Facebook fu avviato dalla Cambridge Analytica nientemeno che sotto la supervisione di Steve Bannon, l'ex stratega di Donald Trump. Per Chris Wylie - la gola profonda che ha innescato lo scandalo - Bannon, tre anni prima dell suo incarico alla Casa Bianca, cominciò a lavorare a un ambizioso programma: costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l'efficacia di molti di quei messaggi populisti che furono poi alla base della campagna elettorale di Trump.
bannonMARK ZUCKERBERG ANGELA MERKEL
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