DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
1. PERCHÉ NON HA MAI FUNZIONATO LA STAFFETTA GENERAZIONALE
Vincenzo Galasso (Università Bocconi) per ''Il Sole 24 Ore''
Anche le politiche del cambiamento possono avere un sapore antico. È il caso di Quota 100, la misura forse più controversa del Def, che dovrebbe consentire il superamento della legge Fornero. Nel difenderla, il ministro Salvini ha fatto spesso riferimento alla staffetta generazionale: Quota 100 consentirebbe il pensionamento di circa 400mila lavoratori anziani e quindi l' assunzione di 400mila giovani lavoratori. Il mercato del lavoro non è un po' come un autobus durante l' ora di punta? Per poter salire, chi è in attesa alla fermata (i giovani) deve aspettare che qualche passeggero (i lavoratori anziani) scenda. Sembra un' ovvietà. Eppure non funziona così.
Facciamo un salto indietro agli anni 70. Tutti i Paesi europei introdussero qualche misura di pensionamento anticipato, che spesso prevedeva una staffetta generazionale: il pensionamento di un lavoratore anziano in cambio dell' assunzione di un giovane. Questo schema di staffetta divenne estremamente popolare. La Spagna lo introdusse nel 1972, il Belgio nel 1976, il Regno Unito nel 1977, la Finlandia nel 1979, la Francia nel 1982, la Germania e l' Italia nel 1984.
In un periodo di grandi ristrutturazioni industriali, i prepensionamenti - con o senza staffetta, consentivano alle imprese di liberarsi di lavoratori anziani - spesso caratterizzati da salari elevati e bassa produttività, a costo zero e con il placet dei sindacati. Ma l' onere di finanziare queste nuove pensioni ricadde sui giovani, attraverso il pagamento di contributi previdenziali sempre crescenti e l' aumento del debito pubblico, che negli anni 80 toccò in Italia il momento di massima crescita. Eppure, allora come oggi, la narrativa della staffetta tra lavoratori giovani e anziani fu decisiva per far accettare i prepensionamenti - in Italia e in Europa.
Dagli anni 90, il trend si è invertito quasi ovunque. L' età di pensionamento ha preso ad aumentare, per stare al passo con l' incremento della speranza di vita. E la staffetta generazionale ha perso rilevanza - sia per motivi teorici che pratici. La staffetta può funzionare solo se giovani e anziani sono tra loro sostituibili nelle mansioni lavorative.
PENSIONATI IN FUGA DALL ITALIA
Ma spesso non è così, perché i lavoratori giovani tendono a essere più istruiti degli anziani e a svolgere mansioni diverse. Inoltre la rivoluzione digitale ha scavato un solco profondo tra le competenze delle diverse generazioni.
E infatti nei dati non c' è traccia di questa staffetta. Nei tanti Paesi che la introdussero negli anni 70, in realtà, l' occupazione giovanile non migliorò. Anzi, i tassi di occupazione dei giovani e degli anziani peggiorarono. Per migliorare, entrambe, solo con la ripresa della crescita economica.
Nel 2011, la riforma Fornero ha dato nuova linfa a questa discussione - oramai solo italiana. Diversi studiosi si sono chiesti se l' occupazione giovanile sia peggiorata dopo l' aumento dell' età di pensionamento introdotto dalla riforma Fornero.
I risultati sono contrastanti. Ma anche le stime più favorevoli alla staffetta non giustificano l' ottimismo del governo. Il tasso di sostituzione tra lavoratori anziani e giovani, anche in un periodo di grande crisi, sarebbe un misero uno a quattro. Da ridurre ulteriormente nei periodi di crescita, in cui la staffetta diventa ovviamente meno pertinente. Un po' poco per giustificare una spesa di 8 miliardi di euro - corrispondente a 80mila euro per ognuno dei 100mila nuovi giovani potenzialmente impiegati.
Le scelte di riforma pensionistica spettano al governo, come è stato rivendicato a chiare lettere. È dunque legittimo che, per tener fede alle promesse elettorali, si destinino 8 miliardi a 400mila lavoratori anziani. Ma evitando di prendere in giro i giovani.
2. «IL LAVORO USA CORRE GRAZIE AL RECUPERO DEGLI INATTIVI»
Marco Valsania per ''Il Sole 24 Ore''
Mickey Levy è un veterano delle diagnosi dell' economia americana, senior economist di Berenberg dopo 15 anni a Bank of America e da sempre esponente dello Shadow Open Market Committee, prestigioso comitato di ispirazione conservatrice che come un' ombra segue i vertici della Banca centrale.
Levy ha un semplice aggettivo per qualificare gli exploit di quello che è diventato il simbolo dell' espansione, il mercato del lavoro che flirta con la piena occupazione un mese sì e l' altro anche: «Robusto e in buona salute». Ma coltiva una risposta assai meno scontata e facile sul suo segreto e sulle prospettive ottimistiche, che giudica più uniche che rare: dati alla mano - spesso nascosti tra i grandi numeri - vede la spinta arrivare dal ritorno in gioco di americani, anzitutto uomini, nel pieno dell' età più produttiva e che erano rimasti emarginati.
Strascichi della crisi di dieci anni or sono e di successivi, meno notati malesseri. È un fenomeno che battezza come «inattesa elasticità» nell' offerta di lavoro.
Un' elasticità che promette ulteriori miracoli sotto forma dell' assorbimento di altri milioni di lavoratori.
Come fotografa il labor market statunitense?
C' è una significativa crescita negli occupati e un tasso di senza lavoro molto basso. Siamo reduci da un paio d' anni di aumenti negli impieghi superiori alle previsioni, a molti mesi di disoccupazione al di sotto dei tradizionali livelli di pieno impiego - ben mezzo punto percentuale al di sotto. Mentre i salari rimangono sotto controllo e i lavoratori nella "prime age", tra i 25 e i 54 anni, vedono aumentare il loro tasso di partecipazione alla forza lavoro molto più del previsto. Proprio quest' ultimo fattore mi convince che oggi l' offerta di lavoro sia molto più elastica di quanto immaginato. Ci sono cioè molti lavoratori in questa fascia che stanno tornando attivamente nella forza lavoro.
Può spiegare più in dettaglio il fenomeno?
Lo stesso ministero del Lavoro aveva previsto semmai generali declini nel tasso di partecipazione; invece si è stabilizzato, al 62,7%-63%, grazie proprio all' incremento nella "prime age" che rappresenta il 49% del totale rispetto al 58% di vent' anni fa. Il recupero avviene anzitutto tra gli uomini, dove abbiamo assistito a brusche inversioni del protratto trend di flessioni, associate a guadagni in professioni con qualifiche medie e a dominio maschile, dalle costruzioni al manifatturiero, dal minerario a energia e trasporti.
È dal 2016 che la crescita occupazionale è più rapida nei mestieri "maschili" almeno al 60 per cento. Il loro tasso di partecipazione è risalito all' 89,1% dal minimo dell' 88,2% nel 2014.
Da dove nasce questa sorpresa occupazionale? Nel 2008-2009 abbiamo avuto una profonda recessione e negli anni seguenti un drammatico declino del tasso di partecipazione alla forza lavoro. Ma non basta: nel 2015-2016 c' e' stata una caduta industriale, anche se meno notata: una recessione nella ripresa. Produzione industriale e spese di capitale sono scivolate.
A ciò si è sommato il crollo del petrolio. Quindi lo spazio per un recupero si è ampliato. Adesso si innestano inoltre svolte verso una regolamentazione più leggera e riforme delle tasse, anzitutto aziendali, che rafforzano fiducia del business e reddito disponibile. Credo che la disoccupazione, grazie a una simile miscela, si stabilizzerà attorno al 3,7%, già la soglia più bassa dal 1969.
E prevedo un continuo incremento della forza lavoro, anche se meno pronunciato. I nuovi posti dovrebbero aumentare ad un passo annuale almeno dell' 1% dall' 1,7% recente.
Quali implicazioni ha questa flessibilità occupazionale per l' economia?
Che il mercato del lavoro non appare davvero alle soglie della piena occupazione e che l' inflazione rimane contenuta, prove di resilienza dell' espansione. Il Pil dal 3% atteso quest' anno dovrebbe rallentare solo leggermente, al 2,5%-2,7% l' anno prossimo. Non vedo imminenti recessioni, mancano a mio avviso gravi squilibri. E la Fed sarà attenta a non provocarla. Nel più lungo periodo stimo la crescita potenziale attorno al 2,3%-2,4 per cento. Al momento, sostenuta da stimoli monetari e fiscali, un' economia in stadio avanzato di espansione è in grado di esibire tratti ben più giovanili, da metà ciclo.
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