DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
1-PENISOLA DEI FAMOSI
Se Cesarone Geronzi fosse un uomo generoso con gli altri oltre che con se stesso, oggi dovrebbe fare un omaggio a Gad Lerner e a Franchino Bernabè per il modo sapiente con cui hanno confezionato la trasmissione di ieri sera dell'"Infedele".
Al giornalista potrebbe mandare una scatola di cioccolatini piemontesi con un biglietto di complimenti perché ha saputo costruire il copione della trasmissione secondo lo schema più adatto a evitare scivolate e accuse feroci contro l'ex-banchiere, autore insieme a Massimo Mucchetti, del libro-intervista "Confiteor" frutto di 100 ore di colloqui e di 27 incontri.
A Bernabè, il capo di Telecom che cerca disperatamente di vendere "La7", Geronzi dovrebbe dopo tanti anni di silenzio e di polemiche a distanza, rivolgere un sentito ringraziamento per avergli consentito di rompere il silenzio e di riproporre davanti alle telecamere la sua versione e la sua confessione accompagnata da un'assoluzione decisamente priva di pentimento.
Ad aiutarlo in questa impresa ci ha pensato ieri sera per ben due ore non solo Gad Lerner, ma anche il panel degli ospiti presenti in studio insieme all'altro autore del libro, Mucchetti. La scelta di questi personaggi è stata saggia e calibrata a tavolino perché invece di avere di fronte i "complottisti" che lo hanno mandato a casa dalle Generali, gli hanno fatto corona l'ex-commissario della Consob Salvatore Bragantini, lo storico e sociologo Marco Revelli e Roberto Perotti, il 51enne economista bocconiano che con la sua faccia stropicciata e un orrendo pullover verde (in netto contrasto con il gessato a righe di Geronzi), voleva forse testimoniare l'esistenza di un mondo povero che ha subito la finanza alla Geronzi come "feroce dimostrazione di un Paese malato".
In studio c'era anche Angelo De Mattia, l'ex-uomo ombra di Antonio Fazio, che sembrava messo lì per fare da spalla a Geronzi come faceva l'attore Carlo Campanini negli sketch di Walter Chiari nella televisione degli anni '50.
Chi ha avuto il coraggio e la forza fisica di arrivare fino alla fine della trasmissione sarà andato a letto con l'idea di aver assistito a uno spettacolo di danza piuttosto che a un serrato confronto sulla vita del banchiere e i segreti del potere. In effetti più che un confronto di alto livello l'"Infedele" è sembrato una stupenda lezione di danza classica con un corpo di ballo incapace di dare alla trasmissione il carattere di quel saggio finale degli allievi che nel lessico artistico si chiama "passo di addio".
L'étoile Geronzi, un uomo che ha ballato per tutta la vita tra i poteri forti e quelli marci, ha potuto saltellare sul proscenio esibendo il repertorio del suo virtuosismo senza che le gambe e le mani lo tradissero. Eppure non si può dire che Gad Lerner e il professore bocconiano Perotti non ci abbiano provato. Dopo mezzora di graziosi esercizi alla sbarra (...quella delle scuole di danza, non delle aule giudiziarie) in cui c'è stato spazio anche per sapere che la signora Giuliana Geronzi ha votato per Renzi mentre il marito si è astenuto, il buon Gad ha provato a infilare la prima domanda pungente.
à stato quando ha chiesto al mancato penitente per quale ragione nel suo libro abbia elogiato il capo dell'Eni Paoletto Scaroni fino al punto di prefigurargli un improbabile ruolo di ministro degli Esteri dentro un Monti-bis. La risposta è stata una riconferma di stima nei confronti di entrambi (Monti e Scaroni) accompagnata da un'affermazione perentoria: "i tecnici devono fare il loro mestiere".
A questo punto il giornalista e conduttore avrebbe potuto ribaltare le parole di Geronzi chiedendogli semplicemente: "se devono fare il loro mestiere perché allora un uomo come Scaroni dovrebbe fare il ministro degli esteri?".
Il controcanto non c'è stato e ad evitare approfondimenti imbarazzanti è arrivata la prima pausa pubblicitaria.
Una risposta timida ma eloquente e' arrivata molto più tardi quando il "povero" professor Perotti è tornato sull'argomento spiegando che lo Scaroni di cui si parlava è stato lo stesso personaggio al quale le Generali hanno affidato il compito di presiedere il Comitato per le retribuzioni che ha liquidato Geronzi da Trieste con oltre 3 milioni di stipendio per soli 11 mesi di lavoro.
Poi è stata la volta di Salvatore Bragantini che alla vigilia della trasmissione molti pensavano tirasse fuori i pungiglioni rispetto al miele degli altri interlocutori. Ma anche il suo grido d'allarme sull'invadenza del Vaticano nella politica italiana che ha provocato la caduta del governo Prodi è scivolato rapidamente nella testa di Gad Lerner che si era gia' riservato di tornare sul Vaticano "che non conta nulla" (parole di Geronzi) soltanto alla fine della trasmissione.
Così Geronzi ha potuto proseguire la sua lezione di danza con la bravura del re Sole, quel Luigi XIV che partecipò ai balletti fino a quando il fisico non glielo impedì. E se non ci fosse stato il solito Perotti con la faccia sgualcita la trasmissione avrebbe potuto andare via liscia per approfondire il tema più caro all'ex-banchiere, quello sul significato delle parole "banchiere di sistema". Purtroppo ancora una volta il bocconiano sgualcito è entrato a gamba tesa e si è messo a parlare di Antonio Fazio come simbolo di una finanza di relazioni che ha fornicato con la politica. E qui c'è stato (esattamente alle 22,01) il primo e più clamoroso scatto nervoso di Geronzi che con una piroetta memorabile ha dichiarato: "io con la politica non ho mai avuto a che fare!".
A questo punto migliaia di spettatori si sono destati dal torpore, hanno svegliato le mogli e i bambini, e qualcuno è corso nella biblioteca di casa per trovare il libro di Elias Canetti dove c'è scritto: "la verità non ha dignità ". Altri hanno ripensato alla folla dei personaggi che nell'arco degli ultimi trent'anni hanno avuto la fortuna e il privilegio di frequentare l'ex-banchiere di Marino. L'elenco è sterminato e comprende uomini come Ciarrapico, Gianni Letta, il Cavaliere di Arcore (salvato con i soldi di Geronzi), Fassino, e soprattutto D'Alema, un uomo al quale - ha detto Geronzi - "ho sempre confidato i passaggi più delicati".
Ma per evitare che queste frequentazioni e contraddizioni fossero ricordate da Gad e dai suoi ospiti, il ragioniere di Marino si è buttato a capofitto nella difesa del suo operato come banchiere che ha salvato cinque banche dell'Iri dimostrando in questo modo che la trasversalità è l'attributo più adatto per essere un "banchiere di sistema".
A dire il vero questo è stato l'unico momento della trasmissione in cui si è percepito sul suo volto carnoso e roseo il segno dello sdegno e un certo tremolio, ma è stato un attimo fugace perché in soccorso è arrivata lesta come una lepre la "spalla" De Mattia che oggi lavora con Geronzi nella Fondazione delle Generali, e ha una testa capace di spiegare anche ai più ignoranti che uomini come quello seduto nello studio televisivo e Antonio Fazio sono stati veri banchieri di sistema. à stata quindi del tutto inutile la breve interruzione di Bragantini, che dopo aver insistito sull'ignoranza dei banchieri nei confronti delle imprese, ha esclamato "questa è una confessione senza peccati e con l'assoluzione assicurata!". Un commento scontato in un contesto organizzato.
Se il torpore e la compiacenza non avessero prevalso tra gli ospiti di Gad Lerner, qualcuno avrebbe potuto obiettare che in Italia la vita di un banchiere di sistema è strettamente legata alla sopravvivenza del sistema stesso. Quando, come è accaduto con il crollo dell'amico Berlusconi e di Gianni Letta, il sistema va a farsi fottere, le macerie travolgono anche il mondo della finanza e quelli che con presunzione ritengono di essere stati i pilastri del sistema stesso.L'equazione e' semplice e la cronaca l'ha dimostrato sulla pelle del banchiere che adesso nega la trasversalita' e le relazioni politiche.
C'era comunque dell'altro da dire e Gad smaniava dalla voglia di arrivare ai temi caldi di Generali, Rcs, Corriere della Sera, massoneria e Vaticano. Ed è proprio a proposito delle Generali che è arrivata la seconda affermazione più sorprendente di Geronzi quando ,dopo aver glissato sul ruolo dello scarparo marchigiano Della Valle, ha spiegato la potenza di fuoco della Compagnia dalle cento mammelle e ha esaltato Lorenzo Pellicioli, l'uomo della De Agostini che nel libro "Confiteor" viene considerato il vero mandante del complotto di aprile 2011.
Ancora una volta Geronzi ha fatto quello che nelle scuole di danza si chiama "pas de deux", un movimento difficile che consente al ballerino di elevare verso il cielo la sua partner. "Pellicioli - ha esclamato Geronzi - è l'uomo più intelligente tra quelli che stanno intorno al tavolo delle Generali", e per dare ancora più forza a queste parole ha aggiunto che il manager della De Agostini è perfino "più intelligente dell'oligarca Kellner" con il quale l'ex-amministratore delegato Perissinotto ha stipulato una joint-venture pericolosa.
Ma oltre al tributo inatteso nei confronti di Pellicioli, c'è stato anche un attestato per Palenzona che rimane con la sua carica di vicepresidente di Unicredit, la barricata più forte" per evitare che Mediobanca finisca preda di Pellicioli".
Il piatto di Gad Lerner a questo punto era fin troppo ricco, ma il giornalista ma Gad Lerner era pronto al gran finale su Rcs, Corriere della Sera, massoneria e Vaticano.
Su Rcs e sulla controversa nomina del direttore del Corriere della Sera, Geronzi ha liquidato lo stratega Paolino Mieli con parole tombali ("ha cercato di svolgere un ruolo che non gli apparteneva"), e ancora una volta ha sfottuto ,senza infierire in modo particolare, sugli sgomitamenti dello scarparo marchigiano che ha dovuto aspettare cinque anni prima di entrare nel Patto di sindacato Rcs (da cui è uscito recentemente).
Era quasi mezzanotte, l'ora delle tenebre, il momento giusto per parlare dei poteri occulti che attraversano la finanza e il Vaticano. Mentre Gad Lerner godeva come un riccio , Geronzi ha fatto l'ultima piroetta senza fare i nomi di chi nelle banche e nel mondo della finanza colleziona i triangoli e i compassi, ma tutti hanno capito che lui quei nomi li conosce benissimo, e che questo riferimento reiterato ai poteri occulti che tanto lo impressionano, è un messaggio ai naviganti.
Un messaggio che parte da lontano, dai tempi della battaglia della finanza laica contro la finanza bianca e cattolica. La stessa finanza che si riunisce una volta l'anno alla messa in ricordo di Raffaele Mattioli nella cappella di Guglielma la Boema. Ma io, ha detto esplicitamente l'ex-banchiere romano - non ho nulla a che fare con quel mondo e per quanto riguarda la presidenza dello Ior di cui si è parlato in questi giorni non ci andrò mai!.
Nelle scuole di ballo ogni saggio finisce con la révérence, l'inchino dei ringraziamenti al pubblico. E così è stato anche per il protagonista impenitente del "Confiteor" che nel salotto di Gad Lerner non è stato schiodato dai suoi interlocutori.
Diceva il grande Nureyev "la danza è tutta la mia vita...se mi chiedessero quando smetterò di danzare risponderei: quando finirò di vivere".
Adesso sono in molti a chiedersi se sarà questo il destino anche per l'uomo che ieri sera ha cercato di riposizionarsi e di far capire a tutti che se per caso "il sistema" si ricostituisce, lui e l'amico Nanni Bazoli sono pronti a ballare ancora sui tavoli del potere.
2- GLI INTRECCI TRA MANAGEMENT E AZIONISTI TRA LE CENTO MAMMELLE DI GENERALI
Estratto da "Confiteor - Massimo Mucchetti intervista Cesare Geronzi" - Edizioni Feltrinelli
MUCCHETTI - Quali sono gli intrecci opachi tra management e azionisti che trova tra le cento mammelle di Trieste?
GERONZI - I più importanti, ancorché diversi tra loro, riguardano il gruppo De Agostini e la holding ceca Ppf di Petr Kellner. li primo intreccio si era stabilito con l'operazione Toro e si era ormai consumato; l'altro era ed è tuttora in fieri con la joint venture Generali Ppf, dedicata alle attività assicurative nell'Est Europa.
M - Dell'affare Toro si è scritto. à un fatto noto.
G - Certi conti, però, li avete fatti in pochi. E se ne è persa la memoria. Eppure, la sola sequenza dei fatti, se completa, desta ancor oggi grande meraviglia. Mi sono preparato un appuntino.
M - Sentiamo.
G - Il primo atto dell'affare Toro si consuma nel 2003, tra marzo e luglio. Per sopravvivere alla sua crisi, la Fiat deve vendere la Toro Assicurazioni, un'antica compagnia sabauda fondata 170 anni prima. Conosco bene la storia, perché la Fiat aveva come advisor il Mediocredito Centrale, che era la banca d'affari del gruppo Capitalia. Tramite una società ad hoc di nome Ronda, che fa capo alla filiale lussemburghese De Agostini Invest, il gruppo di Novara acquisisce il 100% della Toro al prezzo di 2,38 miliardi di euro. li Mediocredito non ricevette alcuna manifestazione d'interesse da parte di Generali. Questo se lo ricordi per dopo.
M - D'accordo, ma intanto mi dica se riceveste manifestazioni d'interesse solo da De Agostini.
G - Unipol fece un'offerta, ma era inferiore di 200 milioni.
M - Torniamo a De Agostini.
G - Appena presa la Toro, De Agostini comincia a vendere parti di questo gruppo assicurativo per fare cassa con cui ripagare le banche finanziatrici della filiale lussemburghese. Mi segua. La nostra banca aveva una compagnia vita, che si chiamava Roma Vita, a mezzadria con la Toro. A ottobre, Toro ci vende la sua quota per 245 milioni. Nello stesso periodo, Toro cede a Generali per 293,5 milioni la sua compagnia francese, Le Continent. A gennaio 2004 passa a Unibanco Aig Seguros la Toro Targa Participaçoès. Sono solo 3,5 milioni, giusto per la precisione.
M - Facciamo un primo stop. Con queste tre operazioni, la Toro targata De Agostini porta a casa 542 milioni di euro vendendo pezzi del proprio patrimonio.
G - Ma, se è padron De Agostini che vuole vendere, allora la Toro compra a occhi chiusi. Ecco arrivare così il 9,96% di Lottomatica. Che cosa abbia a che fare Lottomatica, un'impresa che gestisce scommesse e lotterie, con il business assicurativo lo lascio immaginare a lei e ai lettori. Ma in tal modo, nel 2004, la Toro dà 153,8 milioni di euro alla casa madre lussemburghese. La quale casa madre aveva anche l'1,53% di Rcs MediaGroup e lo cede sempre alla Toro per 56,3 milioni.
La De Agostini Invest Société Anonime detiene anche quote di fondi chiusi di investimento, i cosiddetti fondi di private equity. Anche queste quote vanno alla compagnia di assicurazioni per 39,9 milioni. Poiché i gestori di questi fondi possono chiedere altri soldi ai sottoscrittori, la Toro subentra nell'impegno a versare 12,6 milioni nel solo 2004. A onor del vero, va riconosciuto che il venditore si impegna a garantire al compratore un analogo flusso di denari nel caso i fondi non dessero le soddisfazioni attese.
M - Secondo stop. Toro versa a De Agostini 250 milioni con queste tre operazioni. E altri 12 li versa a nome di De Agostini ai fondi di private equity.
G - E l'immobile? Non poteva mancare l'immobile di pregio. Toro compra un palazzone in via Campo Boario a Roma dall'Immobiliare Telemaco per 38,8 milioni e, dopo averlo ristrutturato a sue spese, lo affitta a Lottomatica per un canone pari al 7,1% dell'investimento, durata 8 anni...
M - Terzo stop. Riassumendo, nel primo anno di gestione De Agostini, la Toro dà benefici finanziari per 262 milioni al suo padrone e monetizza quote del proprio patrimonio per 542 milioni.
G - Il bello arriva adesso. A tambur battente, nel corso dello stesso anno, la Toro versa dividendi ordinari e straordinari per 593,6 milioni alla Ronda, società di diritto italiano, che li gira alla lussemburghese. E nel dicembre dello stesso anno, il 2004, la Ronda incorpora la Toro e ne assume la ragione sociale. La fusione determina svalutazioni che riducono l'utile della compagnia da 163,3 a 3,3 milioni. Queste sono le premesse del gran finale. Che avviene in due mosse. La prima è il ritorno della Toro in Borsa. De Agostini Invest colloca il 35% della compagnia presso il pubblico e incassa 705 milioni. La seconda mossa è la cessione a Generali del 65% residuo di Toro per 2,5 miliardi. Siamo alla fine del 2006. De Agostini Invest aveva pagato 2,38 miliardi alla Fiat per la Toro e ne porta a casa a vario titolo 3,82. In tre anni, il gruppo De Agostini guadagna 1,4 miliardi.
M - E le Generali?
G - Le Generali devono infine proporre un'Offerta pubblica d'acquisto sulle minoranze azionarie di Toro. Talché l'esborso finale, compresa Le Continent, arriva a 4,14 miliardi.
M - A suo tempo, ho domandato a Perissinotto come mai le Generali non abbiano comprato subito la Toro dalla Fiat, ma solo tre anni dopo da De Agostini, pagandola quasi il doppio. Mi è stato risposto che nel 2003 non sarebbe stato possibile per ragioni di bilancio. Le grandi compagnie erano tutte in difficoltà . Anche Axa, che pure ha sempre puntato all'Italia, si astenne dal fare offerte. Quanto alla lievitazione del prezzo, intervenuta dopo il 2003, Perissinotto la giustificava con l'andamento della Borsa e del settore assicurativo nel suo complesso. Trova convincente questa risposta?
G - Se le Generali avessero pagato i' soci della Toro con azioni Generali di nuova emissione, capirei. Carta contro carta, sale un valore ma sale anche l'altro. Ma le Generali hanno pagato per cassa. E poiché i contanti sono merce diversa, allora capisco meno. Come lei noterà , signor Mucchetti, l'advisor finanziario di quest'ultimo atto dell'operazione Toro è Mediobanca, principale azionista delle Generali.
M - A questo proposito è interessante quanto l'Antitrust scrive provvedimento del 4 dicembre 2006 che autorizza Generali a comprare Toro, con taluni rimedi pro concorrenziali.
G - Che cosa scrive l'Antitrust?
M - Due sono, a proposito di Mediobanca, i punti salienti. Il primo è che Mediobanca è il vero artefice dell'affare. Mediobanca riceve l'incarico formale di advise dal comitato esecutivo delle Generali il 25 giugno 2006. Ma aveva già iniziato a lavorarvi a marzo proseguendo fino ai primi giorni di giugno. E tuttavia al consiglio di amministrazione delle Generali del 13 giugno non viene ancora proposto l'affare Toro. Lo sarà solo il luglio, per la ratifica. Nel comitato esecutivo della compagnia, 6 membri su 7 sono riconducibili a Mediobanca. Le questioni delle Generali, grandi e piccole, sono sul tavolo non solo dei top manager della banca, ma anche di semplici dipendenti, tutti impegnati spalla a spalla con i colleghi della compagnia. Insomma, conclude l'Antitrust, l'acquisizione della Toro è di faatto eterodiretta da Mediobanca.
G - à una conferma, di alta fonte istituzionale, del rapporto tra De Agostini, Generali e Mediobanca. Fa cogliere bene l'humus nel quale, tre anni dopo, Drago e Pellicioli possono pensare di venire da me, assieme a Nagel, a prospettarmi progetti di cambiamento della governance di Generali nel modo che ho già raccontato.
M - C'è anche un secondo punto saliente. L'Antitrust trova nei computer di Mediobanca una e-mail interna, datata 28 giugno, dove si riferisce di Groupama che si lamenta di non essere mai stata presa in considerazione dal management di Mediobanca benché fosse disposta a pagare per la Toro più di quanto offrissero le Generali. Groupama è una mutua assicurativa francese di dimensione medio-grande che dal 2003 partecipa al patto di sindacato di Mediobanca assieme a Vincent Bolloré. Mediobanca è formalmente l'advisor di Generali, eppure Groupama le chiede udienza su Toro e, non avendola ottenuta, non insiste altrimenti con il venditore De Agostini. Sotto questo profilo, correttamente Mediobanca fa l'interesse del cliente che compra, le Generali, non di De Agostini, la controparte che vende.
G - L'analisi dell'Antitrust aveva lo scopo di far emergere i dati che servivano a supportare i rimedi alle lesioni della concorrenza generate dall' operazione, non quello di ricostruire in tutti i dettagli la trattativa sulla Toro. Starei ai fatti assodati. Subito dopo aver incassato da Generali, il gruppo De Agostini investe almeno un miliardo in azioni Generali.
M - Ma è anche vero che siamo di fronte a un gioco di specchi. Nel 2003, De Agostini compra Toro, per la quale già c'era un'offerta di Unipol. Era stato Galateri a esortare De Agostini a dare un 'occhiata alla compagnia messa in vendita dalla Fiat. Nel portafoglio di un gruppo familiare, !'investimento nelle assicurazioni ne può compensare altri, più soggetti ai cicli dell'industria e della finanza. De Agostini compra Toro finanziandosi largamente a debito, almeno per 1,5 miliardi. Di qui la sequenza di operazioni che lei ricostruisce e che hanno tutte lo scopo di rimborsare le banche tenendosi stretto il cuore dell'attività con il minimo di capitali propri investiti.
Ma nel 2006, ecco che la compagnia spagnola Mapfre fa recapitare a Pellicioli un'offerta assai generosa, oltre i 2 miliardi. Per la famiglia novarese è un'opportunità . Subito dopo, a Parigi, sua seconda patria, Pellicioli incontra i banchieri della lPMorgan che, combinazione, hanno sotto mano un altro aspirante compratore. à Groupama. In poche ore, lean Azema formula un 'offerta più elevata di quella spagnola ed è a quel punto che vengono informate le Generali: c'era !'impegno a tenerle al corrente in caso di vendita.
Perissinotto, ormai fuori dal pantano del 2003, spara più alto di tutti. Offre qualcosa di meno di Groupama come prezzo, ma a condizioni tali da rendere nel complesso più conveniente la sua offerta. De Agostini si ritrova così in cassa 2,4 miliardi e ormai un modesto debito residuo. Che farne? Il settore assicurativo era considerato ancora più promettente rispetto al 2003.
Di qui, nella logica di portafoglio della famiglia, la decisione di reinvestire una parte del tesoretto in Generali, che dava una proiezione internazionale di cui era priva Toro e, soprattutto, riconosceva al nuovo socio De Agostini un ruolo nella governance che altre compagnie più grandi, come Axa e Allianz, non avrebbero concesso. Un tale ruolo non poteva esserci senza il piace t di Mediobanca. La cosa venne negoziata con Nagel e Galateri, che nel frattempo aveva lasciato la Fiat per andare a presiedere proprio Mediobanca. Ecco perché Drago, Pellicioli e Nagel ritengono di potersi presentare a lei nel 2009.
G - Potrei dire altro, ma mi limito a un'osservazione. De Agostini, per non uscire dal promettente settore assicurativo, investe in Generali. Ma se si era spossessato della Toro che, come si è detto, aveva rivenduto poco dopo averla comprata! C'è un evidente non sequitur. Se poi andiamo al sodo e guardiamo alla successiva, interminabile scivolata del titolo Generali verso il basso, diciamo che il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Pellicioli ha bruciato sulla ruota di Trieste la grandissima parte dei profitti realizzati su Toro. E Perissinotto, purtroppo, ha trovato in Pellicioli colui che, alla fine, gli ha presentato il conto in nome proprio e di Mediobanca.
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