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Arturo Zampaglione per "Affari & Finanza - la Repubblica"
Anche negli Stati Uniti il settore turistico è sul piede di guerra. Mentre industrie, mercati finanziari e comparto immobiliare, dimenticando la pandemia, approfittano del clima euforico (e dei massicci sostegni pubblici), compagnie aeree e navi da crociera, ristoranti e alberghi sono ancora fermi o lavorano in condizioni proibitive. Risultato: le quotazioni delle aziende sono lontane dai valori pre-Covid (nonostante i record di Wall Street).
E i contraccolpi occupazionali si fanno sentire soprattutto negli stati a maggiore vocazione turistica, come l'Alaska, il Nevada e soprattutto la Florida. Nel complesso viaggi e turismo contribuivano per il 7,8 per cento al Pil americano, solo a New York nel 2019 erano arrivati 66 milioni di visitatori, di cui più di mezzo milione di italiani: di qui i tentativi del Congresso per sbloccare le restrizioni ai viaggi internazionali, per allentare le misure anti-Covid nel comparto crocieristico e per una maggiore leadership politica, visto che negli Stati Uniti non c' è mai stato un ministro ad hoc per il turismo.
Dal gennaio dell'anno scorso, cioè dal primo sbarco del virus in Occidente, Stati Uniti e Europa hanno di fatto vietato i viaggi turistici tra le due sponde dell'Atlantico. Così come non è possibile per un italiano andare a New York per ammirare i tesori etruschi del Metropolitan Museum, gli americani non possono venire per una settimana sulla costiera amalfitana o a Venezia: con perdite ingenti per tutti gli operatori.
In questo clima, le quotazioni a Wall Street della Carnival cruise, la più grande società di crociere del mondo, sono ancora a 27 dollari (con una capitalizzazione di 33,1 miliardi), rispetto ai 51 dollari per azione del dicembre 2019 (e ai 71 del 2018). Le azioni della Royal Caribbean sono sugli 86 dollari, rispetto ai 133 delle settimane pre-Covid.
Certo, non è facile coniugare riaperture e sicurezza. Ad esempio, le regole imposte dal Cdc (l'agenzia federale di controllo sanitario) per le crociere sono considerate troppo severe, troppo care, e di fatto bloccano la ripartenza.
Le speranze riposte dalle compagnie aeree sui documenti vaccinali appaiono premature: perché il livello dei vaccinati non è ancora soddisfacente, tanto meno in Europa; e perché si scontrano con regole asimmetriche tra i Paesi e con i primi casi di passeggeri che esibiscono certificati falsi. «E più in generale», ha denunciato al Congresso Tori Barnes, vicepresidente esecutivo della US Travel association, «c' è troppa esitazione nel creare un roadmap per la riapertura dei flussi internazionali».
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