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Elena Tebano per "Il Corriere della Sera"
L'incontro è durato solo pochi secondi, ma è storico: l'inventore del «cyberspazio» è diventato il «cyborg». à successo durante una innocua conferenza alla New York Public Library, dove lo scrittore di fantascienza William Gibson era stato invitato la scorsa settimana a parlare dei suoi libri.
Concluso l'evento, Gibson si è fermato a chiacchierare con i fan, quando è stato raggiunto da uno sconosciuto che gli ha passato un paio di occhiali. Era Erin Sperling, esperto di tecnologia di Dow Jones, uno tra gli ottomila «early user» che - prenotandosi un anno prima e pagando 1.500 dollari - hanno potuto provare in anticipo i Google Glass, gli occhiali della realtà aumentata.
à come se Jules Verne fosse atterrato sulla Luna, o se Isaac Asimov avesse stretto la mano a uno dei suoi robot capaci di etica: in quel momento e nel tempo ridottissimo di una vita umana, la fantascienza è diventata realtà . Gibson, infatti, è colui che in un racconto del 1982, La notte che bruciammo Chrome, ha inventato il concetto di «cyberspazio»: luogo della realtà virtuale, dimensione fisica ma immateriale che mette in comunicazione i computer di tutto il mondo e permette alle persone di agire senza usare il loro corpo.
E Molly Millions, l'hacker protagonista di Neuromante (il romanzo del 1984 che ha reso famoso Gibson), aveva lenti a specchio impiantate chirurgicamente negli occhi, che la facevano comunicare nel cyberspazio attraverso messaggi computerizzati.
Fantascienza, appunto, e anche un po' ingenua. Oggi, senza bisogno di bisturi e impianti oculari, i Google Glass fanno molto di più: scattano foto senza che si debbano muovere le mani, riprendono video grazie a un solo battito d'occhi, danno indicazioni stradali, permettono di dettare mail e parlare al telefono, richiamano qualsiasi immagine si desideri da Internet, la versione reale dell'immaginario «cyberspazio» di Gibson.
«Li ho indossati solo per pochi secondi. Ma sono rimasto leggermente infastidito da quanto abbia trovato interessante l'esperienza», ha confessato lo scrittore su Twitter poco dopo aver usato i Google Glass. «Il futuro è già qui, è solo mal distribuito!», recita non a caso una delle sue frasi più citate.
E nel suo ultimo libro Distrust That Particular Flavor («Non vi fidate di quel sapore», 2012), Gibson mostra di aver capito perfettamente come sono cambiate sia la fantascienza sia la realtà . «La prima personificazione del cyborg, per me, erano i robot della serie di film degli anni 40, "Il misterioso Dottor Satan"», racconta.
Erano «tubi di metallo senza spalle», con le mani «a forma di pinza». Oggi invece ce lo immaginiamo diversamente, come «un ibrido tra uomo e macchina». Abbiamo capito che è «un'estensione del sistema nervoso umano», e porta a un «cambiamento nella percezione così profondo che dobbiamo ancora capirlo». Questo però - spiega Gibson - «siamo noi. Siamo già il cyborg. Ma sembra che abbiamo ancora bisogno del mito per arrivare a questa consapevolezza», conclude.
Gibson non è un amante della tecnologia, ha ammesso di aver tardato anche ad usare il computer. Ma quando ha indossato le lenti di Google, ha chiuso definitivamente il cerchio tra mito e realtà . Poi si è ritirato a scrivere il suo prossimo libro, lasciando su Twitter un suggerimento da romanzo. Non più di fantascienza, stavolta: «Aspettatevi che i Google Glass vengono trasformati in occhiali meno appariscenti e più normali, da sole per esempio, in modo che possano essere usati di nascosto. Non sarà difficile».
william gibson WILLIAM GIBSON WILLIAM GIBSON INDOSSA I GOOGLE GLASS SERGEY BRIN CON I GOOGLE GLASSWilliam Gibson GIOVANE
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