“CHIARA, TI RICORDI QUANDO HAI AMMESSO A FEDEZ CHE TI SEI SCOPATA ACHILLE LAURO?” - IL “PUPARO” DEL…
1. LO ZAMPINO DI BOSCHI JUNIOR NELLA RELAZIONE CHOC SU ETRURIA
Giacomo Amadori per ''Libero Quotidiano''
L' arma segreta della Banca d' Italia contro l' ex direttore generale della Popolare dell' Etruria Luca Bronchi potrebbe essere Emanuele Boschi, fratello del ministro delle Riforme Maria Elena. La sorpresa arriva leggendo le tredici pagine del verbale ispettivo di Palazzo Koch contro gli amministratori dell' istituto aretino e in particolare il punto "8", quello in cui viene denunciato che «gli organi amministrativi hanno prestato scarsa attenzione al contenimento delle spese per consulenze, che nel biennio 2013-2014, sono ascese a oltre 15 milioni».
In questo caso gli 007 di via Nazionale per contestare «i comportamenti anomali, per lo più riconducibili all' ex direttore generale dottor Luca Bronchi» non usano il proprio lavoro, bensì quello degli uffici interni della banca. In particolare l' audit e il "Servizio program e cost management". In questo modo la coltellata alle spalle del dg non partirebbe da una mano qualsiasi, ma da quella del figlio dell' allora vicepresidente Pier Luigi Boschi.
«All' epoca Emanuele era a capo proprio del Servizio di controllo dei costi» confida infatti a Libero un importante ex dirigente di Bpel.
maria elena col fratello pier francesco al matrimonio di emanuele boschi
Nel novembre del 2014 gli ispettori entrano nell' istituto aretino per svolgere le proprie indagini e a febbraio del 2015, nel documento che sancisce il commissariamento, scrivono: «In un' analisi sulle consulenze del 2014, effettuata a gennaio 2015, (il "Servizio program e cost management" ndr) ha espresso riserve sull' opportunità del conferimento di alcuni incarichi (in particolare la consulenza strategica affidata a "Bain" per euro 1,1 milioni nel solo 2014 e quella per il supporto alle attività commerciali e culturali coordinate dalla direzione generale, prestato dalla società Mosaico per euro 235 mila)».
«La Mosaico è riconducibile ai figli di un vecchio politico democristiano, arrestato ai tempi di Tangentopoli, Mario Alberto Zamorani» spiega Francesco Macrì combattivo capogruppo di FdI in consiglio comunale, particolarmente impegnato nella battaglia a favore dei risparmiatori truffati dal decreto Salva-banche.
Non sappiamo se dietro alla mossa di far mettere con le spalle al muro l' ex dg dal figlio dell' allora vicepresidente ci fosse una precisa volontà, ma certamente dopo l' invio delle contestazioni ai diretti interessati e il commissariamento della banca il clima dentro all' istituto non deve essere stato dei migliori. «Boschi junior ha lasciato la Bpel verso aprile 2015, mentre Bronchi se ne è andato nel luglio successivo» precisa la fonte di Libero. Ma dove è finito il giovane Boschi?
lorenzo rosi pier luigi boschi
Sempre secondo la nostra gola profonda per alcune settimane si sarebbe appoggiato nello studio fiorentino di Luciano Nataloni, commercialista ed ex membro del cda della stessa Etruria.
Nataloni è ora indagato per conflitto d' interessi dalla procura di Arezzo per i finanziamenti erogati dalla banca a 14 società considerate vicine a lui e all' ex presidente Lorenzo Rosi. Tutte aziende perquisite dalla Guardia di finanza due giorni fa e che avrebbero causato almeno una trentina di milioni di euro di potenziale buco, tra sofferenze e perdite. Nel giugno scorso Emanuele Boschi ha lasciato lo studio Nataloni e, facendo 30 passi, si è trasferito al civico 9 della stessa via. Dove è diventato presidente del consiglio di amministrazione della Mantellate Nove, società che si occupa di offrire servizi aziendali rivolti in particolare a studi legali e contabili.
È stata fondata nel maggio 2013 da quattro soci al 25 per cento: Francesco Bonifazi, avvocato, parlamentare e tesoriere del Pd, Federico Gianassi, assessore alla Trasparenza e al Lavoro del Comune di Firenze, e due soci di studio di Bonifazi, Andrea Nardi e Federico Lovadina, quest' ultimo gran collezionista di poltrone alla corte di Renzi: dal luglio 2014 è nel cda di Ferrovie dello Stato.
Bonifazi è anche l' ex fidanzato del ministro Boschi (sembra che i due abbiano trascorso insieme le vacanze natalizie a New York) e suo padre Franco era il presidente della Mantellate prima di Boschi jr.
francesco bonifazi con capello sbarazzino e maria elena boschi
Ma i legami tra la politica e gli affari nel Giglio magico non finiscono qua, come ha evidenziato ieri il consigliere regionale di Fratelli d' Italia Giovanni Donzelli. Il quale ha collegato le «indagini sui prestiti allegri» dell' Etruria alla presunta svendita del teatro comunale di Firenze da parte della giunta guidata all' epoca dal sindaco Matteo Renzi. Infatti tra le società perquisite dalle Fiamme gialle c' è la cooperativa rossa di costruzioni La Castelnuovese, di cui l' ex presidente della Bpel Rosi è stato dirigente sino al luglio del 2014. Ma questa coop è anche socia della Corso Italia Firenze srl, che ha acquistato il teatro fiorentino e che ha Rosi come amministratore.
maria elena boschi francesco bonifazi
Le coincidenze non sarebbero terminate: «Fra i titolari di quote della Corso Italia ci sono entrambi i soci di Tiziano Renzi nella Party srl: la Nikila con il 69 per cento e la Societé generale Focardi con il 6 per cento, oltre alla Syntagma, società di cui Lorenzo Rosi è tutt' oggi amministratore unico». È proprio vero che nel magico mondo di Renzi la commistione tra amicizia, politica e affari è quasi un marchio di fabbrica.
(ha collaborato Matteo Calì)
2. ETRURIA, I MANAGER ORA AMMETTONO “SÌ, ESISTEVA UN DIRETTORIO SEGRETO”
Fabio Tonacci per ''la Repubblica''
maria elena boschi francesco bonifazi a formentera
I manager di Banca Etruria si difendono. E nel farlo, però, involontariamente ammettono alcune delle accuse di Bankitalia. Uno dei più alti dirigenti della Popolare, nella sua memoria difensiva depositata a Palazzo Koch e di cui Repubblica è venuta in possesso, parla in effetti dell’esistenza di una “commissione informale” all’interno del consiglio di amministrazione, che si occupava degli affari più importanti e che nel gennaio 2014 decise di smettere di verbalizzare le riunioni e di informare gli altri. Quel comitato ristretto e «poco trasparente» gestì tutta la mancata fusione con la Banca Popolare di Vicenza e, dal maggio 2014, Pierluigi Boschi ne fu uno dei componenti.
Il padre del ministro Maria Elena Boschi deve rispondere di 12 contestazioni amministrative, contenute nel verbale con cui l’ispettore della Banca d’Italia Giordano Di Veglia propone multe per tutti i membri dell’ultimo cda dell’Etruria, in base a 17 “accuse” circostanziate. È un documento che questo giornale ha pubblicato nel dettaglio per la prima volta il 18 dicembre scorso.
Non è stato ancora depositato alla procura di Arezzo, dove il magistrato Roberto Rossi ha quattro filoni di indagine aperti sull’istituto bancario, ma il suo contenuto ha già portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Lorenzo Rosi e Luciano Nataloni per mancanza di comunicazione di conflitti di interesse. Si prevede che le sanzioni, che arriveranno entro il 16 marzo, ammonteranno complessivamente a 2 milioni di euro, con un range da 12.000 a 48.000 euro a contestazione, a seconda di quanto ogni manager riuscirà a farsi “scontare” con la propria memoria difensiva.
Ce n’è una, presentata da un alto dirigente dell’Etruria che chiede di rimanere anonimo, che ripercorre la nascita della commissione informale. Il mandato che le fu dato nel 2013 era quello di realizzare l’integrazione della banca con un “partner di elevato standing”, come chiedeva Bankitalia. Scrive il manager: «La commissione, composta dal presidente (allora era Giuseppe Fornasari, ndr), dai due vice presidenti, dai consiglieri Santoanastaso e Nataloni (indagato) aveva l’obbligo di riferire costantemente al cda le attività intraprese in esecuzione del mandato ed era in ogni caso riservata al cda medesimo la scelta definitiva del partner». Qualcosa però, col passare dei mesi, cambia.
«Le riunioni della Commissione — dichiara l’amministratore nella sua memoria — sono state verbalizzate fino al 14 gennaio 2014». Dopo quella data, tutto diventò nebuloso, «poco trasparente », per dirla con le parole degli ispettori di Bankitalia. E così rimase anche quando nella commissione entrò nel maggio 2014, in qualità di vicepresidente, Pierluigi Boschi. «Non è stata portata all’attenzione dell’assemblea dei soci l’unica offerta giuridicamente rilevante — annotano gli ispettori, riferendosi a quella della Popolare di Vicenza — e la scelta non fu sostanzialmente dibattuta nel cda».
claudio salini ex consob e banca etruria
Sul perché i dirigenti dell’Etruria non accettarono l’offerta, che è un’altra delle censure fatte, il manager consegna a Palazzo Koch questa difesa: «Il corrispettivo di un euro ad azione prospettato nell’offerta non costituiva per la maggioranza dei soci un adeguato incentivo ad accettarla. Anche la trasformazione dell’Etruria in società per azioni, prevista nell’offerta della Popolare, rischiava all’epoca di non intercettare il voto favorevole della maggioranza degli azionisti. Si era creato un clima ostile. Davvero non si comprende quale sia la violazione imputabile».
protesta dei risparmiatori davanti banca etruria 4
Insomma, accantonata la proposta della Popolare di Vicenza di un euro ad azione (in effetti ci sono stati anni in cui le azioni dell’Etruria erano arrivate a quota 15 euro), viene affidato a Mediobanca il compito di trovare degli acquirenti. A novembre 2014 sul tavolo «c’erano 21 controparti potenzialmente interessate, di cui 5 banche italiane, 2 banche estere, 14 fondi». Ma tre mesi dopo l’Etruria viene commissariata. «In definitiva — si legge nella memoria — il cda ha assunto ogni iniziativa ipotizzabile al fine di individuare sul mercato un partner concretamente in grado di dare corso all’auspicata integrazione, ma l’esito negativo non può essere imputabile alla pretesa inerzia del cda quanto piuttosto al mercato assolutamente sfavorevole nell’ambito del quale tali vicende si sono verificate ».
Il padre di Maria Elena Boschi, insieme all’ex presidente Lorenzo Rosi, al vice Alfredo Berni e ad altri due consiglieri, deve rispondere in via amministrativa anche delle «lacune nella vigilanza sulla controllata Oro Italia Trading Spa», una società posseduta al cento per cento dall’Etruria che nel 2013 è stata oggetto dell’inchiesta “Argento vivo” della procura di Arezzo. Due gruppi di imprenditori avevano organizzato una maxi truffa di tipo “carosello”, per cui è indagato, tra gli altri, l’ex amministratore di Oro Italia Plinio Pastorelli.
protesta dei risparmiatori davanti banca etruria 11
La Popolare aretina, tradizionalmente, si occupa del banco metalli, e la truffa messa in piedi alle sue spalle funzionava così: l’argento e altri metalli preziosi come il palladio venivano acquistati dagli imprenditori sotto forma di grani, poi attraverso un passaggio su società estere fittizie aperte e chiuse a ripetizione, arrivavano alla Oro Italia Trading senza che fosse versata l’Iva al 22 per cento. I finanzieri di Arezzo hanno calcolato un milione e mezzo di euro di guadagno netto per i quattro che sono finiti sotto processo. E tutto è avvenuto sotto il naso del management dell’Etruria che era chiamata a vigilare su uno dei suoi core business. Ma la vigilanza non è mai stato il punto forte di chi occupava le poltrone del cda dell’Etruria.
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