DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Luigi Ferrarella per Corriere della Sera
paolo scaroni and denis sassou nguesso eni
I 197 milioni di euro di apparenti commissioni per contratti petroliferi in Algeria, pagati da Saipem nel 2007-2010 alla società di Hong Kong di un mediatore algerino con base a Dubai, «io son pure d’accordo che siano in qualche modo delle tangenti date alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche algerino».
Chi ne è convinto? Uno dei pm che l’altro ieri hanno concluso l’inchiesta sull’ex amministratore delegato Eni Paolo Scaroni per corruzione internazionale di ministri e burocrati algerini? No, a sorpresa è la convinzione proprio di Scaroni. Espressa all’allora ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, in una telefonata intercettata sull’utenza di Scaroni il 31 gennaio 2013.
Massimo Giannini e Paolo Scaroni
È una mattina particolare. L’inchiesta su Saipem in Algeria ha portato alle dimissioni dell’amministratore delegato Pietro Tali, Saipem ha rivisto al ribasso le proprie stime, il giorno prima è crollata in Borsa del 34% bruciando 4,5 miliardi. E il ministro Passera (governo Monti) chiama il numero uno di Eni preoccupato dei possibili contraccolpi sull’Eni che controlla Saipem con il 43%.
berlusconi scaroni della valle
«Volevo soltanto la chiave di lettura dell’incidente di ieri della Saipem», domanda Passera a Scaroni, che parte allora con la classica spiegazione della separazione operativa tra Eni e la pur controllata Saipem: «Dunque, allora, te lo spiego in modo un po’ semplice. Come tu probabilmente sai, Saipem lavora per noi, lavora per le compagnie petrolifere del mondo, anzi il suo primo cliente è la Total, il secondo è la Exxon (...). Negli ultimi 10 anni il titolo è cresciuto di 5 o 6 volte», ma «il vero padrone della Saipem è sempre stato Tali, lì da molti anni.
Dall’inizio 2012 ho cominciato, guardando i numeri, ad accorgermi che qualcosa proprio non mi suonava molto. Tieni presente che, avendo fatto io 12 anni in Techint, di società di costruzioni un pochino ne capisco, no? E allora — vanta Scaroni al ministro — in marzo ho storto il braccio a Tali e l’ho convinto a prendere un nuovo direttore finanziario che veniva da Eni, per capirci un po’ più nei conti.
PASSERA MASTICA LA GOMMA IN TV A L ARIA CHE TIRA
Poi verso novembre ho iniziato ad avere i primi rapporti, che mi dicevano che le cose andavano meno bene di come ce la raccontavano. A quel punto, anche approfittando di questo incidente Algeria, praticamente ho forzato il cda Saipem a far dare le dimissioni a Tali e a metterci un nuovo amministratore, che guarda i conti e scopre il buco di ieri».
E l’Algeria? «Improvvisamente scopriamo… anzi scopre la magistratura, non noi… scopre la Procura di Milano che la Saipem nel 2007 aveva firmato un contratto di agenzia con una società di Dubai, dandole una certa percentuale… non so, il 2% o 3% per tutte le commesse in Algeria. Sulla scorta di questo contratto, gli han pagato 190 milioni di commissioni…». «Ah, però.!», sussulta il ministro basito dall’enormità della mediazione.
«Eh… che la magistratura di Milano pensa, e io sono pure d’accordo — calca il tono di voce Scaroni — che siano in qualche modo delle tangenti date a… alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche algerino. Ecco, quindi mi si è aggiunto questo problema… che mi ha spinto ancor di più a fare pulizia (…). Abbiamo fatto una pulizia di bilancio, abbiamo rivisto il consensus da un miliardo e mezzo a 750 milioni». Noi chi? «Quando dico “noi” parlo sempre della Saipem, perché noi come Eni siamo fuori da queste cose. E poi Tali nel frattempo ha preso un avviso di garanzia, ha avuto la perquisizione».
Nei mesi successivi i pm scoprono però che proprio Tali, dal quale Scaroni al telefono con Passera fa mostra di prendere le distanze, era il manager Saipem che organizzava gli incontri riservati del numero uno Eni con il ministro algerino dell’Energia, Chekib Khelil, e con Farid Bedjaoui: ovvero con il mediatore che il ministro presentava quasi come proprio figlio, destinatario (dietro schermo di una società di Hong Kong in apparenza altrui) dei 197 milioni di Saipem che per la difesa degli indagati (Scaroni, Tali, Bedjaoui, 5 manager, Eni e Saipem) erano normali commissioni, e che invece erano tangenti a detta dei pm nonché dello Scaroni intercettato con Passera.
Ovvio che i vertici Eni incontrino a quattr’occhi ministri e capi di governo stranieri, ma gli informali incontri riservati di Scaroni con il ministro algerino e con Farid Bedjaoui, organizzati da Tali, «non corrispondono alle prassi che seguivamo», aggrava lo scenario il 7 aprile 2014 il teste Stefano Cao, fino al 2008 capo in Eni della cruciale divisione Esplorazione&Produzione (E&P):
«Nel mio periodo non sono mai stati organizzati incontri riservati con queste modalità». E di fronte a mail in cui Tali (Saipem) anticipava a Scaroni gli argomenti riguardanti Eni «quando Farid si incontrerà con te», Cao trova «assolutamente anomalo che l’ad di Saipem dia indicazione all’ad di Eni su temi di competenza della divisione E&P di Eni» diretta da Cao.
In una mail Scaroni chiedeva a Tali persino se a un incontro con Farid fosse meglio andare «da solo o con Cao», e Tali concedeva che, prevedendo lì argomenti «non particolarmente riservati, secondo me ci può essere anche Cao». Che commenta ai pm: «Non ho mai saputo di queste consultazioni, e credo siano cose che non dovrebbero avvenire. Rilevo che c’erano rapporti diretti tra Scaroni e Tali, che nella sostanza mi bypassavano su questioni di competenza della mia divisione».
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