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Francesco De Dominicis per www.liberoquotidiano.it
Chi lavora in banca non crede più alle favole. E la favola in questione è quella che i banchieri raccontano da mesi senza convincere nessuno: gli istituti non danno prestiti ai loro clienti, per colpa delle imprese e delle famiglie che non pagano le rate.
Di qui, entrando nel linguaggio tecnico, l'aumento delle sofferenze - cioè dei finanziamenti che non vengono rimborsati - che bloccherebbe l'erogazione di nuovo credito: la storia è stata illustrata così, ieri, dal presidente dell'Abi in un'intervista al Mattino. Secondo Antonio Patuelli alla base del credit crunch ci sarebbe proprio il boom delle sofferenze che farebbero aumentare la rischiosità del credito e costringerebbero le banche a serrare i rubinetti allo sportello.
«Maggiore complessità di erogazione» ha spiegato il numero uno dell'Assobancaria. Parole, quelle di Patuelli, che hanno fatto saltare sulla sedia i sindacati del settore. «Non condivido questo piagnisteo continuo delle banche - ha detto il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni - che hanno un solo scopo, quello di preparare il terreno per ulteriori tagli di personale, attuando una politica della disoccupazione a danno della vera occupazione». Le organizzazioni dei lavoratori, insomma, temono che dietro le difficoltà millantate dai banchieri ci sia l'intenzione di gettare le basi per una cura da cavallo sul costo del lavoro: istituti in crisi, via con esuberi e licenziamenti.
Una prospettiva che viene rifiutata dalle sigle, attente a spiegare che le banche hanno «puntato sempre sul massimo profitto, danneggiando così anche le imprese. Le sofferenze sono figlie di una cattiva qualità del credito erogata sempre ai soliti noti per mantenere in piedi i poteri politici delle fondazioni, che si autoalimentano da decenni. Non sono quindi solo figlie dell'attuale crisi economica».
Per i sindacati la liquidità viene assicurata solo alle aziende "amiche" e ai grandi gruppi, mentre viene sistematicamente negata alle imprese non raccomandate. Le statistiche non portano alla luce queste distinzioni, ma di sicuro mettono in evidenza una riduzione dei finanziamenti a dir poco drammatica. I dati più aggiornati della Banca d'Italia parlano chiaro e indicano che il credit crunch sfiora i 70 miliardi di euro, se si guarda la riduzione registrata tra aprile 2012 e aprile 2013. Periodo nel quale le sofferenze su cui puntano il dito i big del credito sono sì cresciute (da 108,9 miliardi a 133,2), ma assai meno (24,3 miliardi) rispetto alla sforbiciata ai finanziamenti.
I conti non tornano e l'andamento del settore non sembra giustificare la riduzione del credito. Fatto sta che le banche hanno tagliato i prestiti a tutti i comparti - famiglie, imprese e pubblica amministrazione - per un totale di 69,2 miliardi (-1,9%) tra aprile 2012 e aprile 2013. La riduzione dei finanziamenti alle famiglie in dodici mesi è stata pari a 9 miliardi (-1,9%) mentre la sforbiciata al credito per le imprese è stata di 38,1 miliardi (-4,2%); giù anche le erogazioni per Stato ed enti locali: - 22 miliardi (-1,1%).
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