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Giuseppe Bottero per "La Stampa"
Prima il riso Scotti, poi Mundi Riso, adesso la pasta Garofalo. Il colosso spagnolo Ebro Foods fa rotta sulle tavole made in Italy e investe 62 milioni per il 52% dell’azienda di Gragnano, Napoli. «Non si tratta di un pezzo di Italia che se ne va», dice l’ad del gruppo Massimo Menna, la cui famiglia, fino ad oggi, ha controllato il pastificio, «perché l’azienda e sana e forte e questo l’ha messa nella posizione ottimale per cogliere la migliore opportunità di crescita».
Poco spazio per la nostalgia: l’accordo, spiega il manager, prevede un colpo di acceleratore sulla diffusione su scala internazionale di un marchio storico del cibo italiano e l’ampliamento dello stabilimento campano, dove rimane il centro direzionale. In arrivo ci sarebbero anche nuove assunzioni, anche se Gennarino Masiello, numero uno della Coldiretti Campania, teme che, così, «sparisca un pezzo del nostro futuro».
Certo, nel giro di tre anni il gusto italiano ha perso pezzi da novanta: dall’Orzo Bimbo agli spumanti Gancia, dai salumi Fiorucci alla Parmalat passando per Star e Bertolli, i marchi tricolore finiti in mani straniere valgono almeno 10 miliardi. L’associazione che rappresenta i coltivatori ha paura che non sia finita qui. «Siamo di fronte a un’escalation» spiega il presidente nazionale Roberto Moncalvo.
«Chiediamo al governo interventi seri e concreti, altrimenti si rischia di perdere il controllo di un comparto vitale per la nostra economia», incalzano dalla Cia (Confederazione italiana agricoltori). L’agroalimentare infatti vale il 17% del Pil, fattura 250 miliardi di euro e traina l’export nazionale con quasi 34 miliardi di vendite oltreconfine.
Difficile, però, pensare di mettere dei paletti, soprattutto quando in gioco ci sono multinazionali del calibro di Ebro, oltre 2 miliardi di fatturato l’anno, utile di 132 milioni, 60 marchi controllati, presente in 25 Paesi mondiali. Agli spagnoli serviva un brand di altissimo profilo, con l’etichetta di certificazione Igp, e l’antico pastificio Garofalo, che in dieci anni ha visto passare i ricavi da 20 a 134 milioni, è sembrata la soluzione ideale.
Il presidente e ad Antonio Hernandez Callejas ha spiegato di aver scelto il gruppo della famiglia Menna «per la qualità del suo prodotto, per gli eccellenti risultati raggiunti nel tempo e per le sue persone che, in particolare negli ultimi 15 anni, hanno permesso di dar vita ad una storia straordinaria».
L’accordo, che secondo Massimo Menna «rappresenta un valore per il Sistema Italia», dovrebbe concretizzarsi entro la fine di giugno. Gli investitori spagnoli però sono rimasti freddi: ieri alla Borsa di Madrid il titolo di Ebro ha perso lo 0,64%.
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