DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Carlo Bertini per "La Stampa"
«Se qualcuno cerca di procurarsi delle armi per contrattare meglio col Pd si sbaglia di grosso», avverte il fiorentino Davide Ermini, renziano doc e membro della Giunta per le autorizzazioni della Camera, quello che diede la linea sul caso Genovese, quando il Pd votò compatto per l’arresto di un suo deputato una volta deciso che non c’era fumus persecutionis nei suoi riguardi.
LA MANO DI RENZI SULLA SCHIENA DI MARIA ELENA BOSCHI
E se l’aria che tira tra quelli che hanno voce in capitolo su questi temi è che «per noi l’immunità per i senatori non è dirimente, ma se deve essere questione di vita o di morte si può togliere», si capisce perché c’è chi scommette che Renzi potrebbe dare il suo ok ad un emendamento soppressivo del governo della norma della discordia. Tanto più che il sospetto dei renziani è che «ogni polemica sia funzionale a chi non vuole nessuna riforma», sibila il senatore Andrea Marcucci.
Da Palazzo Chigi dicono che il premier ne vuole stare fuori, però al tempo stesso ribadiscono che la linea resta quella della Boschi, ribadita ieri dal responsabile enti locali, Stefano Bonaccini. «Se si vuole ridiscutere di immunità, facciamolo. Se si vuole togliere l’immunità, togliamola. Quella non era la proposta del governo». Di sicuro il premier non vuole veder rallentare una corsa verso un traguardo che vede ormai vicino. «Siamo all’ultima curva dell’ultimo miglio e, stante l’importanza di questo tema, teniamo alto l’obiettivo più importante di portare a casa le riforme», è la linea di palazzo Chigi.
maria elena boschi e napolitano
Insomma se alla vigilia di un primo round di votazioni previsto per giovedì gli uomini del premier ripetono che il governo l’immunità non l’aveva inserita, tenendo alta l’asticella sulla «sostanza di questa svolta epocale», è evidente che questo intoppo non fa affatto piacere al capo del governo. Il quale però non sembra preoccuparsi degli attacchi dei grillini proprio a ridosso del vertice sull’Italicum: «Nessun imbarazzo visto che gli emendamenti in tal senso li avevano presentati anche loro», fanno notare i renziani.
Sì perché la novità di ieri è che - pure se riferiti ad un Senato di eletti - gli emendamenti per un ripristino delle guarentigie ai senatori nell’esercizio delle loro funzioni erano stati presentati da tutti i gruppi: dalla Lega, da Forza Italia, dal Pd, dai 5Stelle, dalla componente di Sel del Misto, così come dagli ex grillini, da Scelta Civica e dal gruppo per le autonomie.
E si comprende dunque meglio la reazione della Finocchiaro contro lo «scaricabarile» del governo. «Da una settimana lo sapevamo tutti che c’erano quegli emendamenti», dicono dalle parti della relatrice del Pd, che insieme a Calderoli ha firmato l’emendamento sub judice.
Ma al punto in cui si son messe le cose non si sa se la soluzione al rebus su come uscire dall’impasse sarà quella proposta della stessa Finocchiaro di delegare alla Consulta e non alla Giunta le richieste sulle autorizzazioni all’arresto; sembra raccogliere più consensi un’altra mediazione, quella di restringere le guarentigie solo al mandato parlamentare dei senatori, evitando che sia estesa ai doppi incarichi, «è chiaro che se un sindaco compie un reato non può usufruirne», dice un renziano.
Ma è una questione scivolosa, «perché sarebbe complicato distinguere i ruoli», ragiona un alto dirigente del Pd. E ora anche la minoranza che fa capo a Bersani ha deciso di andare in pressing su Renzi sull’immunità. Se ne incarica non a caso un fedelissimo dell’ex segretario, Alfredo D’Attorre. «È una vicenda kafkiana, a questo punto si torni indietro e la si tolga, non ha senso per un Senato non elettivo e con funzioni limitate».
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