UBER NON LASCIA MA RADDOPPIA: DOPO I TAXI, I PONY! - ENTRO FINE ANNO L'APP DOVREBBE QUOTARSI IN BORSA E PENSA DI ALLARGARSI IN ALTRI SETTORI: TEST A MANHATTAN PER L'APP DELLE CONSEGNE A DOMICILIO A PIEDI O IN BICI

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Greta Schlaunich per “Corriere Economia”

 

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Gli investitori la promuovono, i tassisti la bocciano. Su questo doppio giudizio si gioca il futuro di Uber, l’app per il noleggio di automobili con autista. La settimana scorsa della startup si è parlato per due motivi: prima perché la sua valutazione ha raggiunto quota 18,2 miliardi di dollari, poi perché in tutta Europa i tassisti sono scesi in campo per protestare contro il nuovo servizio UberPop (all’estero UberX).

 

A Milano ma anche a Roma, Londra, Parigi, Berlino, Madrid, Barcellona. UberPop, infatti, permette a (quasi) chiunque di utilizzare la sua auto per lavorare come autista: costa meno del servizio classico ma, secondo i sindacati dei tassisti, non garantisce requisiti tecnici o assicurativi né per l’auto né per l’autista.

Mentre i governi studiano come affrontare la situazione, anche Uber si trova davanti ad un rebus. Dovrebbe quotarsi entro la fine dall’anno, la sua valutazione continua ad aumentare ma cosa potrebbe succedere se in futuro le leggi dovessero limitare o bloccare il servizio? Così prova ad reinventarsi puntando su servizi che con il noleggio auto hanno poco o niente a che fare. Negli Usa, per esempio, è appena stato lanciato Rush per la consegna dei pacchi. A piedi o in bicicletta: le automobili sono bandite.

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DIETRO ZUCKERBERG
Nel 2012 valeva 330 milioni di dollari. Un anno più tardi, 3,5 miliardi. Oggi Uber è arrivata a una valutazione da 18,2 miliardi. Meglio della startup , fondata nel 2009 da Travis Kalanick e Garret Camp, aveva fatto solo Facebook: nel 2011, prima dello sbarco in Borsa, il social era stato valutato 50 miliardi di dollari. Un successo, realizzato in soli quattro anni: l’app infatti è stata lanciata nel 2010 a San Francisco ed in breve ha conquistato gli Usa. Ora il servizio è presente in 128 città di 37 Paesi in tutto il mondo. Italia compresa: da noi è arrivata nel 2012 e per ora, tra molte proteste, è disponibile a Milano e Roma.

Il problema di Uber non è tanto il modello di business che infatti, contrariamente a quello di altre startup , funziona e pure macina utili. Stando a quanto dichiarato dal ceo Kalanick i ricavi, che arrivano da «commissioni» sulle tariffe degli autisti pari al 20%, raddoppiano «almeno ogni sei mesi». Per questo i venture capital finora hanno puntato sull’app , che infatti si è guadagnata finanziatori importanti. Un anno fa Google ha usato l’85% dei fondi a disposizione per gli investimenti venture solo per Uber, mettendo a disposizione della startup una somma pari a 257,79 milioni di dollari.

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Il modello funziona, l’app piace, ma il vero ostacolo per la piattaforma sono le leggi che regolano il mercato dei trasporti. È un problema che i servizi di questo genere sono chiamati ad affrontare: mentre Uber deve vedersela con i tassisti che considerano il servizio concorrenza sleale anche Airbnb, la piattaforma per l’affitto di stanze e appartamenti, fronteggia le proteste degli albergatori di tutto il mondo.

 

Con l’app si possono avere gli stessi servizi dei taxi ma con un’interfaccia più semplice ed immediata ed a costi poco più alti. I primi a fare muro erano stati i tassisti di New York. Ma, una volta risolta la situazione negli Usa, il problema si è ripresentato anche in altri paesi, Italia in testa. Aggravandosi poi nell’ultimo mese con l’arrivo del servizio Pop.

 

POSSIBILI SVILUPPI
Così, in attesa della quotazione che secondo molti potrebbe avvenire già entro la fine dell’anno, Kalanick sta pensando a come ingrandire il business . Aumentando i servizi che offre l’applicazione e puntando su settori più semplici da affrontare. Un primo assaggio di come intende muoversi il ceo era arrivato nel dicembre scorso, quando era stato inaugurato un servizio per la consegna degli alberi di Natale. Ora la startup prova a fare un passo in più inaugurando Uber Rush.

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Lanciato ad aprile, il dispositivo permette di effettuare la consegna dei pacchi in bici o a piedi. Per ora si può utilizzare il nuovo strumento solo a Manhattan, dove è in fase di test. Il costo va dai 15 ai 30 dollari e dipende da quanto lontano va consegnato il pacco, e anche in questo caso Uber intasca il 20% del totale. E mette un piede in un servizio che, stando alle prime dichiarazioni dei manager dell’azienda, con le automobili non avrà nulla a che fare. Non a caso è testato a Manhattan, dove la densità della popolazione è molto alta e le persone non hanno difficoltà a muoversi in fretta senza utilizzare le auto. 

 

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Se tutto va bene la startup intende allargare il servizio prima ad altre zone di New York e poi portarlo anche in altre città. Il plusvalore di Uber Rush è il fatto di poter inviare e ricevere cose ma senza ordinarle, come invece si può fare con altri tipi di applicazioni. Ma c’è chi immagina che la prossima mossa possa essere quella di iniziare a consegnare i prodotti dei negozi ai clienti. Non è proprio Amazon Fresh, il servizio di spesa online con consegna in poche ore lanciato da Bezos, ma la direzione pare essere la stessa.