UN’ALITALIA DA RIFARE - GLI ARABI DI ETIHAD NON VOGLIONO RIMETTERCI PER I VECCHI DEBITI E DETTANO LE LORO (DURE) CONDIZIONI PER INVESTIRE NELLA COMPAGNIA

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Antonio Castro per "Libero quotidiano"

Prima tagli, ristrutturi, riorganizzi... Poi (forse) sborso. Il succo del ventilato matrimonio Alitalia- Etihad è un po'questo. Gli emiri che hanno in mano il gioiellino della compagnia di Abu Dhabi non appartengono al luogo comune dell'arabo ricco, spendaccione e un po' distratto. La famiglia al Nahyan, che governa l'emirato,nonamail rischio.Provaneè l'approccio prudente negli investimenti in altri settori del portafoglio che fa capo ai fondi sovrani del Paese. Però sanno cogliere le occasioni.

E Alitalia - rimessa in assetto finanziario - potrebbe rappresentare la famosa porta di accesso per l'interessante mercato europeo e le rotte intercontinentali più appetitose e redditizie. La strategia adottata dall'au - straliano James Hogan, che guida la compagnia, è di mettere insieme un network europeo di compagnie per poi fare massa critica e andare a ridiscutere (a Bruxelles) anche alcune norme che limitano l'espansione. Certo - in attesa della conclusione della due diligence sui conti italiani - Etihad mantiene il massimo riserbo sulle trattative per entrare, ma non teme di avvertire i possibili "fidanzati" italiani:«Noi nonsiamo unacompagnia di beneficenza».

Avverte il presidente e amministratore delegato di Etihad, che giusto ieri a Zurigo ha presentato il primo aereo con livrea "Etihad Regional" cambiando pelle alla svizzera Darwin Airlines. L'investimento nel vettore elvetico (Abu Dhabi controlla da qualche mese il 33,3% della società), è solo l'ultimo tassello di una strategia ben più amplia. Poi c'è il 29% di Airberlin, il 40% di Air Seychelles, 19,9% di Virgin Australia, il 3% di Aer Lingus ed il 24% dell'indiana Jet Airways. E anche il 49% di Air Serbia.

E Alitalia potrebbe entrare nella partita strategica se e quando verrà attuato un serio piano di ristrutturazione che non si limiti soltanto a tagliare 1.900 dipendenti del personale viaggiante (più altri mille del personale di terra precario). Il problema è il monoblocco di debiti che la Magliana si porta in pancia.

E prima di tirare fuori un soldo gli emiri vogliono avere certezza dell'ammontare complessivo dei debiti, dei crediti incagliati (e inesigibili), degli impegni assunti. Ieri il Wall Street Journal ha stilato un elenco delle "richieste"degli Eau: meno voli, tagli al personale e alla flotta Alitalia, ristrutturazione di tutti i debiti verso le banche, ma anche riduzioni delle tariffe italiane sul traffico aereo e modifiche alle normative sugli slot negli aeroporti. Insomma, l'investimento sarebbe subordinato all'accoglimento di queste ed altre richieste. Le prime a doversi sacrificare sarebbero le banche creditrici - un indebitamento complessivo di 813 milioni di euro - finora sempre contrarie ad una ristrutturazione.

Unicrediti e BancaIntesa hanno dovuto sborsare (6 anni fa come recentemente) centinaia di milioni e vedere e azzerare questi crediti brucia ai banchieri. Il quotidiano finanziario cita «una persona informata sullo stato della trattatia», secondo cui il vettore diAbu Dhabi«stapensando di chiedere la svalutazione di tutti i debiti detenuti dalle banche, così come di una quota di fondi che il vettore deve ad altre società».

Ma non basta. Dopo l'impe - gno finanziario un po' bizzarro di Poste (che è azionista adesso con il 19,48%: Intesa ha il 20,59%, e Unicredit il 12,99%), che tira per la giacchetta l'azionista pubblico, al governo gli emiri chiederebbero anche «di abbassare le tariffe sul traffico aereo e di modificare alcune regole sulla gestione degli slot». Su costi delle tariffe - magari con un accordo triangolato con le società di gestione aeroportuale - si potrebbe anche concordare uno "sconto di benvenuto", sugli slot è più complicatoe si rischia di finire nel mirino dell'autorità europea per la concorrenza per aiuti di Stato. E poi lenormative europeeimpongono che cambi sugli slot siano estesi a tutti i vettori.8

 

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