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Marco Imarisio per "Corriere della Sera"
Come se guidasse un'auto. I consulenti della procura usano questa immagine ad uso dei profani. Chi sta a terra giudica, chi va in mare naviga, dice un motto non solo gigliese. Ma quando i due mondi si incrociano, con il primo chiamato a giudicare davvero sul secondo, urge semplificare. Serve un filtro. Il compito dei capitani di vascello che lavorano con i carabinieri incaricati dai magistrati di molte relazioni tecniche non è altro che questo.
Venerdì 13 gennaio il comandante Francesco Schettino avrebbe sbagliato non solo per la decisione, ormai scellerata per definizione, di fare «l'inchino». Nel momento cruciale dell'impatto avrebbe commesso almeno altri due errori che hanno segnato la sorte della Costa Concordia. Verso il Giglio, pochi minuti prima dell'incidente, la nave si trovava molto più a dritta, che sarebbe a destra, per i profani del linguaggio nautico, di quanto non lo siano state molte altre imbarcazioni che in passato hanno effettuato la stessa manovra.
UNA DISTANZA DI SICUREZZA.
La Concordia naviga infatti accanto alla secca di mezzo canale, è distante circa 170 metri dal promontorio, in acque comunque sicure perché nel punto più basso il fondale raggiunge i 24 metri, 16 in più del pescaggio della nave. A quel punto avviene il primo errore. La valutazione dei tempi e delle distanze si rivela pessima.
All'uscita del canale la Concordia accosta a sinistra per avvicinarsi al Giglio, ma lo fa in maniera quasi perpendicolare rispetto alla logica via da seguire in una normale navigazione sottocosta. Secondo la ricostruzione (ancora parziale) fatta dei tecnici, ritarda oltre ogni possibile temerarietà il rientro in rotta che consentirebbe di passare in parallelo al fronte del porto.
Quasi come se puntasse a sfiorare un bersaglio, quegli scogli delle Scole che sono proprio sotto la casa del maitre gigliese Antonello Tievoli, chiamato apposta sul ponte di comando e che aveva avvisato i familiari del suo passaggio.
Ma queste sono deduzioni d'indagine seguite al naufragio. In quel momento il comandante è solo con se stesso. Vicino alla terraferma gli strumenti di bordo servono a poco, i radar tendono a confondere l'eco della costa con quello prodotto dalla nave. Schettino racconta agli investigatori di essersi accorto di quel che stava accadendo, e di avere messo il timone tutto a dritta per evitare l'impatto. I consulenti dei carabinieri ritengono che questa sia una mezza verità , se non una bugia, che potrebbe coprire un altro sbaglio, forse il più grave.
Il comandante non avrebbe «scontrato» tutto il timone a dritta, come sostiene di aver fatto, ma invece si sarebbe prodotto in una sterzata parziale, convinto forse di evitare l'ostacolo. Come a un incrocio pericoloso, quando un auto spunta all'improvviso. Una deviazione, e non un cambio brusco di direzione. Ma la Concordia non era certo un'utilitaria dei mari, era un colosso che per prendere la direzione desiderata ha bisogno di tempo. Il risultato è lo sfregamento continuato dello scafo di poppa, che viene aperto da uno squarcio lungo 45 metri e decreta la condanna della nave.
Se Schettino avesse davvero «scontrato» tutto a dritta, la botta sarebbe stata ancora più forte, di una violenza quasi inaudita, ma sarebbe stata circoscritta solo a un compartimento della Concordia, la nave avrebbe comunque raschiato ma non in quel modo disastroso.
Invece la nave non vira ad angolo retto rispetto alle Scole, come avrebbe dovuto fare in caso di motori bloccati e timone tutto a dritta. Taglia in diagonale il mare davanti al porto, e poi ripiega sulla Gabbianara, dove si trova adesso. Disegna una specie di larga manovra a zeta. E infine si arena, là dove resterà per molto tempo ancora.
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