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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
Secondo Ignazio Visco, buona parte dei guasti del sistema bancario italiano è riconducibile alla crisi e in particolare al 2013, anno nel quale sarebbero iniziate le prime grane serie allo sportello. Insomma, nessuna responsabilità della vigilanza se oggi gli istituti di credito attraversano una delle fasi più delicate della storia: la Banca d’Italia ha le armi spuntate e più di tanto non può fare per evitare la violazione delle norme da parte dei banchieri.
Per difendersi, il governatore , ieri, leggendo le sue quinte «considerazioni finali» ha giocato sulla quantità e ha strumentalmente citato « 200 ispezioni» annue nelle banche. Eppure, qualche falla nel sistema dei controlli deve pur esistere, se oggi si fanno i conti con una realtà durissima: sia alcuni big sia le realtà più piccole del credito cooperativo se la passano maluccio.
E probabilmente, al contrario di quanto sostiene il governatore, bufera finanziaria internazionale e recessione non hanno cagionato la crisi dell’industria creditizia italiana, ma hanno semplicemente portato alla luce le magagne che il ciclo economico positivo contribuiva a tenere nascoste in bilanci chiusi - più o meno agevolmente - col segno «più»: al Monte dei paschi di Siena, tanto per fare un esempio, le perdite dei derivati Alexandria e Santorini, non sono state «notate» per anni.
Nessun atto d’accusa, da parte del numero uno di Bankitalia, nemmeno a quel pernicioso sistema relazionale che più dei parametri di Basilea ha regolato per decenni la concessione di finanziamenti: è soprattutto quel meccanismo ad aver creato la montagna di sofferenze ovvero quei 196 miliardi di euro di finanziamenti non rimborsati; poi, non c’è dubbio, il pil in caduta libera ha giocato un ruolo non indifferente e i prestiti sono diventati «incagli».
La soluzione per rimettere in piedi le banche del Paese, tuttavia, non può essere quella, forse un po’ troppo semplicistica, proposta ieri nel lussuoso salone dei partecipanti di palazzo Koch, ossia tagliare i costi e ridurre il personale con licenziamenti (ipotesi di fronte alla quale il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, ha già avvertito che i lavoratori sono pronti ad alzare le «barricate»).
In ogni caso, la linea dell’inquilino di via Nazionale, non è nuova: vigilanza perfetta, colpa della crisi, tagli agli sportelli, fusioni e meno lavoratori per rilanciare il settore. La novità di ieri, semmai, va cercata nella definitiva contestazione all’Unione europea. Un attacco ad alzo zero che prende le mosse dal disastro provocato da Etruria, Marche, Chieti e Ferrara.
È il novembre del 2015: governo e Bankitalia decidono di anticipare l’uso del bail in per evitare il crac di quei quattro istituti, ma un istante dopo si accorgono che le nuove regole Ue hanno minato la fiducia di correntisti e risparmiatori. Visco, che vorrebbe più Europa, ieri ha criticato la gestione delle norme bancarie da parte di Bruxelles ed è arrivato a invocare l’uso di denaro pubblico per salvare le banche. Per ora c’è Atlante (che usa anche i soldi della Cassa depositi e prestiti, la spa del Tesoro): per Visco, il fondo di salvataggio- nato in buona sostanza per aggirare le regole europee - sarà un «successo».
Sul fronte bancario, sembra coperta da una sorta di velo autoassolutorio la relazione di Visco. Il quale ha anche affrontato, come al solito, i temi di politica economica, suggerendo al governo di Matteo Renzi di agire sul cuneo fiscale (da ridurre) e sugli investimenti pubblici (da aumentare).
Ma sull’azione dell’esecutivo, il governatore è stato meno sferzante rispetto al passato e anche rispetto ai predecessori. Sopra le righe, il commento di Matteo Salvini: a giudizio del segretario della Lega, il governatore «invece di pontificare dovrebbe essere in galera». La solita sparata offerta ai media da parte di chi è a caccia di voti in vista della tornata amministrativa di domenica. Visco deve legittimamente restare a via Nazionale, ma abbia il coraggio di avviare, come suggerito da Luigi Zingales sul FattoQuotidiano, «un’indagine interna per accertare le responsabilità».
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