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Danilo Taino per “Il Corriere della Sera”
Lo scontro famigliare, di potere, di management al vertice della Volkswagen è arrivato al momento di rottura. Ieri, il presidente del Consiglio di Sorveglianza, grande azionista, fino a pochi giorni fa intoccabile nel gruppo e «patriarca di controllo», Ferdinand Piëch, si è dimesso, con effetto immediato. Oltre che da presidente, dal Consiglio e da tutte le posizioni occupate nel gruppo. Il vicepresidente Berthold Huber lo sostituirà temporaneamente. Del board di Sorveglianza faceva parte anche la moglie Ursula: lei pure ha rassegnato le dimissioni.
Si tratta di una rottura a 360 gradi, insomma. Tra i due rami della famiglia erede di Ferdinand Porsche, appunto i Piëch e i Porsche. Tra il potente uomo di potere che finora non aveva perso alcuna battaglia importante e gli altri azionisti del gruppo: oltre ai cugini, in particolare il governo della Bassa Sassonia che in genere si muove assieme ai sindacati, questi ultimi presenti nel Consiglio di Sorveglianza con dieci seggi su venti. E naturalmente con Martin Winterkorn, l’amministratore delegato dal gruppo del quale Piëch aveva detto di essersi «allontanato» due settimane fa con ciò aprendo la crisi di vertice.
Che lo scontro sia risolto in via definitiva non è detto: il nipote dell’inventore del Maggiolino Volkswagen, 78 anni, non è uomo che accetta facilmente le sconfitte. Certo, questa lo è: nel momento in cui ha chiesto la testa di Winterkorn, si è trovato isolato nel comitato esecutivo del Consiglio, composto da sei membri, e alla fine ha dovuto dimettersi.
In un comunicato, la società ha sostenuto che tra le parti non c’era più «la fiducia necessaria». Nei prossimi giorni e mesi si tratterà di vedere il significato pieno del passo indietro di uno degli uomini più potenti dell’industria tedesca (lui è austriaco, risiede a Salisburgo). Sicuramente, le onde scenderanno dal vertice per i rami del gruppo Volkswagen.
Senza Piëch, avranno più potere non tanto i cugini del ramo Porsche, guidati da Wolfgang, quanto i sindacati e il governo della Bassa Sassonia che sono stati decisivi nell’appoggio a Winterkorn. Questo potrebbe diventare una questione politica: il primo gruppo automobilistico europeo e secondo al mondo in cui il ruolo del governo di un Land e dei sindacati è decisivo.
Un potere ancora maggiore finisce poi sulle spalle di Winterkorn. E questo potrebbe creare rotture tra l’amministratore delegato e gli uomini più legati a Piëch, a cominciare dal numero uno della Porsche — parte del gruppo — Matthias Müller, al quale nei giorni scorsi pare che Piëch avesse offerto il posto di Winterkorn. Un periodo di instabilità non è quello in cui la Volkswagen probabilmente sperava, impegnata in una riduzione dei costi e alle prese con risultati non brillanti in America e in alcuni marchi europei.
WINTERKORN IPOTESI VOLKSWAGEN ALFA ROMEO
Sullo sfondo, si tratterà di vedere come evolveranno i rapporti tra gli azionisti privati. Innanzitutto, tra i Piëch e i Porsche, che finora hanno controllato il gruppo con il 51% dei diritti di voto. Ma poi anche con la Qatar Holding, che alla fine del 2014 deteneva il 15,6% delle azioni e che aveva espresso alcune insoddisfazioni sull’andamento del gruppo. Difficile che la vicenda si chiuda così, con Ferdinand Piëch in pensione. Il mondo dell’industria tedesca non ci può credere .
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