ITALIA DA BUTTARE - IL “WALL STREET JOURNAL” AFFOSSA L'ITALIA: “E’ TOSSICA, IL FUTURO DELL’EUROPA DIPENDE DALLE DEBOLEZZE DI ROMA DI CUI LE DIFFICOLTÀ DI MPS E ALTRE BANCHE SONO SOLO LA PUNTA DELL’ICEBERG” – “SOFFERENZE” PER 320 MILIARDI

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Ugo Bertone per "Libero Quotidiano"

 

THE WALL STREET JOURNAL THE WALL STREET JOURNAL

Recuperano in Piazza Affari le banche “stressate” dalla Bce. A ragione, perché sia Monte Paschi che Banca Carige, stanno mettendo a punto piani ragionevoli, in vista dell’esame di riparazione che scatterà la prossima settimana. E Matteo Renzi, al solito lesto ad intercettare le note positive, già esulta: le banche, dichiara dal palco di Brescia, «sono molto vicine alla soluzione per rientrare nei parametri europei».

 

Perciò si può sostenere che «la stragrande maggioranza del sistema bancario italiano è in grado di fronteggiare le sfide del futuro». Peccato che a far da guastafeste ci abbia pensato, dalle colonne di The Wall Street Journal, Simon Nixon, una di quelle firme in materia di finanza che è bene non trascurare né sottovalutare, perché portavoce di umori ed interessi forti per davvero, ben di più di quel che resta dei salottini di casa nostra. E il messaggio di mister Nixon fa impressione, se non paura, già dal titolo: «L’Italia tossica (sì, Toxic Italy) è l’esame cruciale per l’efficacia del QE europeo».

 

Ovvero, è la tesi dell’autore, il futuro dell’eurozona è messo a rischio dalle debolezze italiane, di cui le difficoltà di Mps o di altre banche sono solo la punta dell’iceberg. Un segnale pesante anche perché arriva dal cuore del potere finanziario. Ma procediamo con ordine. Ieri Monte Paschi ha vissuto in Borsa una giornata quasi tutta al rialzo per poi chiudere a +1,7%.

 

mpsmps

Una reazione che ci voleva dopo i massacri della settimana scorsa, quando il titolo ha lasciato sul terreno il 40%. La resurrezione è legata al comunicato di domenica sera in cui la banca informa che intende far fronte alla richiesta di 2,1 miliari di euro solo attraverso un aumento di capitale, salvo alcune cessioni marginali. È la strada maestra, che mette l’istituto al riparo da altre contestazioni di Francoforte. Ma è anche una dimostrazione di forza/debolezza.

 

Axa, il partner assicurativo, ha già detto sì, com’era logico perché il colosso francese non può fare a meno della principale rete di vendita italiana. E i partner della Fondazione in cda, cioè Fintech e Btg Pactual, sono obbligati a cercar di recuperare i quattrini. Proprio ieri la Nit Holdings Limited, una società con sede ad Hong Kong, ha fatto sapere di avere avanzato a Mps un’offerta del valore di 10 miliardi per «la ristrutturazione del capitale» dell’istituto di Siena.

SIMON 
NIXON 
SIMON NIXON

 

Un portavoce di Mps ha però smentito all’agenzia Reuters di aver ricevuto proposte dal fondo. Con un po’ di fortuna, insomma, Siena ce la può fare. Salvo finire nell’orbita di qualche gruppo internazionale. Non molto diverso il discorso per Carige, rimbalzata sul mercato quasi del 4%. Grazie alle cessioni passate e future la banca può raccogliere buona parte dei fondi (814 milioni) chiesti dalla Bce.

 

Certo, sarà necessario un robusto aumento di capitale (nell’ordine di 650 milioni) oppure si potrò far conto sull’intervento di Andrea Bonomi, già respinto pochi mesi fa per tutelare “l’indipendenza” della banca.

 

Oggi il finanziere di Investindustrial, che punta al 20% almeno dell’istituto, è il benvenuto o, quantomeno, il male minore agli occhi dei soci della Fondazione. Ma non illudiamoci che sia finita qui, ammonisce Nixon che guarda al di là di Siena e Genova fino all’Eurotower di Francoforte. E anche più in là. L’Europa, dice l’autore, si sta dividendo attorno al QE, cioè gli stimoli che hanno avuto una larga parte nel rilancio dell’economia Usa ma che in Giappone per ora non funzionano.

 

BANCA CARIGE BANCA CARIGE

E ancor meno funzioneranno in Europa se non si supera l’emergenza Italia. Gli stress test hanno messo in luce l’intrinseca debolezza del sistema tricolore. Al di là dell’ottimismo di Renzi «gli stress test hanno confermato che le banche italiane sono le più deboli» e poco importa che si siano rimesse in regola all’ultimo momento, con interventi che rischiano di essere rimedi temporanei o poco più.

 

Dietro la facciata degli esami, poi, emerge una realtà drammatica: all’inizio della grande crisi. Le banche italiane si finanziavano sul mercato interbancario per 850 miliardi. La cifra, dopo sette anni, si è ridotta ma non di molto (500 miliardi) salvo che oggi a prestar soldi non sono altri istituti, bensi quasi solo la Bce. Insomma, l’economia italiana, che resta la più bancocentrica d’Europa, è appesa a Francoforte. Le conseguenze?

 

Altro che Qe. L’Italia potrebbe ripartire solo se facesse pulizia dei crediti ormai inesigibili (320 miliardi, più o meno) che ingessano le banche. Ma per farlo ci vogliono leggi, apparati pubblici e volontà politica che non si vedono. Di qui un amaro verdetto: l’Italia rischia di non ripartire. Anzi l’Europa perché, date le dimensioni del Bel Paese, non ci sarà medicina per l’Europa, compreso il Qe, se la Penisola non cambia rotta. Aiutare l’Italia, dunque, è nell’interesse di tutti. Purché l’Italia si aiuti da sola.

 

 

2. RIVOLTATE QUELLE BANCHE

Simon Nixon per il "Wall Street Journal" pubblicato da "il Foglio"

 

Draghi RenziDraghi Renzi

Da quando la Federal reserve ha concluso il suo programma di Quantitative easing (Qe o allentamento quantitativo), si sono fatte più insistenti le esortazioni affinché la Banca centrale europea avvii un suo programma di acquisto di titoli pubblici su larga scala. Molti economisti concordano con la visione dell’ex presidente della Fed, Ben Bernanke, ossia che negli Stati Uniti il Qe ha funzionato nella pratica ma non in teoria.

 

In Giappone il Qe più aggressivo mai messo in campo non ha funzionato né in pratica né in teoria, e la scorsa settimana la Bank of Japan ha deciso che forse non è stato aggressivo a sufficienza. L’allentamento quantitivo in Eurozona potrebbe invece avere successo? L’Italia è un test cruciale. La terza economia dell’Eurozona sta soffrendo per una combinazione tossica di crescita anemica e un debito pari al 135 per cento del pil.

 

MERKEL  MURALES DI FRONTE ALLA BCE FRANCOFORTEMERKEL MURALES DI FRONTE ALLA BCE FRANCOFORTE

L’economia italiana è cresciuta meno dell’1 per cento in media negli anni precedenti la crisi e ora è probabile uno scivolone in recessione per la terza volta in sei anni. Le condizioni del credito continuano a deteriorarsi. Se il Qe può soccorrere l’Italia, allora potrà soccorre l’Eurozona. Eppure è difficile vedere cosa il Qe possa fare per l’Italia. Per capire perché, guardate al sistema bancario.

 

E’ il principale canale attraverso cui deve funzionare qualsiasi stimolo monetario, dato che l’Italia è una delle economie più dipendenti dalle banche nell’Eurozona. La mole dei prestiti bancari è pari al 53 per cento del pil, più di Francia e Germania. I prestiti bancari rappresentano il 40 per cento delle passività finanziarie complessive (patrimonio netto così come i debiti), a fronte del 15 per cento negli Stati Uniti e del 23 in Francia, secondo la Banca d’Italia.

 

angela merkel al vertice di milano angela merkel al vertice di milano

Purtroppo i recenti e approfonditi esami sulle più grandi banche dell’Eurozona hanno confermato i sospetti del mercato: il sistema bancario italiano è il più debole dell’area. La Bce ha concluso che le banche italiane avevano sottovalutato le svalutazioni di 12 miliardi di euro. Nove delle quindici banche esaminate avevano una carenza di capitale al dicembre 2013 e quattro hanno tuttora un deficit di 3,1 miliardi. Questa conclusione è stata particolarmente imbarazzante per la Banca d’Italia.

 

La Banca centrale aveva insistito sulle sue capacità di supervisore particolarmente prudente, che non ha bisogno di esperti esterni a dirle come deve fare il suo lavoro. In realtà gli stress test hanno mostrato che il sistema bancario italiano era, almeno fino a poco fa, gravemente sottocapitalizzato e pertanto limitato nella sua capacità di elargire credito all’economia.

 

angela merkel magnaangela merkel magna

Gli stress test della Bce hanno risolto i problemi di capitale delle banche? Difficile dirlo, giacché la Bce ha esaminato le 15 maggiori banche sulle 680 totali. Inoltre, gli stessi ostacoli che impediscono alle banche più grandi di procedere ad aumenti di capitale rappresentano una sfida ancora maggiore per le banche più piccole. Un problema del sistema bancario italiano è la redditività molto bassa, un riflesso dell’avere estese reti di filiali, grandi portafogli di crediti esistenti con basso margine, la più alta tassazione a livello europeo e ostacoli giuridici che limitano il taglio dei costi. Un altro problema è la governance.

 

Le banche italiane sono in genere controllate dalle fondazioni, enti no profit assoggettati agli interessi politici locali che non si fanno troppe remore nell’usare il loro peso in consiglio di amministrazione per perseguire i propri scopi, incluso quello di ostacolare le richieste che gli farebbero sborsare denaro. Tutto ciò, vista la pressione della crisi, sta cominciando a cambiare nelle banche quotate in Borsa.

 

matteo renzi angela merkelmatteo renzi angela merkel

La fondazione che controllava il Monte dei Paschi, la terza banca italiana, ha ridotto la sua quota azionaria dal 30 al 2,5 per cento quest’anno – sebbene conservi tuttora il potere di nominare il presidente. Una legge che consente agli azionisti delle numerose casse di risparmio, le “popolari”, di avere lo stesso potere di voto in assemblea – senza riguardo per quante azioni possiedono – continua poi a essere un impedimento per le ricapitalizzazioni.

 

La Spagna ha spazzato via regole analoghe per le sue casse di risparmio, aprendo la strada a un necessario consolidamento. Finché l’Italia non adotterà simili riforme, un sistema bancario poco capitalizzato, appena profittevole, faticherà a fornire credito all’economia, indipendentemente da quanti soldi la Bce potrà pompare nel sistema. Ma il capitale delle banche è solo una parte del problema. La pressione sulle banche per ridurre i loro bilanci arriva anche dal lato della raccolta.

 

All’inizio della crisi, le banche italiane facevano affidamento sul mercato interbancario per 850 miliardi di finanziamenti; dopo sei anni di sforzi, sono riuscite a ridurre la quota a 550 miliardi, la maggiore parte elargiti dalla Bce. Nessuna banca, per quanto i fondi della Bce siano a buon mercato, vuole dipendere da Francoforte per finanziare le sue attività principali.

 

Il nuovo programma lanciato dalla Bce di acquisto di Asset backed securities potrà in una certa misura alleggerire i bilanci, ma l’unica soluzione di lungo termine al problema dell’approvvigionamento è liberare il sistema bancario da una montagna di sofferenze da 320 miliardi, un livello estremamente alto pari al 16 per cento dei crediti in circolazione. Ciò richiederebbe due cose che attualmente in Italia non esistono.

 

BANCA ITALIABANCA ITALIA

La prima è un efficiente regime di insolvenza che permetta alle aziende sane di ristrutturare velocemente il loro debito sicché possano investire e crescere di nuovo, pur consentendo alle società fallite di liquidare gli asset. […] Il secondo requisito è la capacità di attrarre capitale di rischio (equity finance) sia per iniettare soldi freschi in imprese efficienti ma sovraindebitate, sia per comprare asset ristrutturati dai bilanci delle banche.

 

Tuttavia molte aziende sono diffidenti verso gli investitori esterni che a loro volta restano cauti a prendere rischi in Italia. Il private equity equivale soltanto allo 0,2 per cento del pil in Italia, la metà del livello raggiunto in Francia e un quinto rispetto al Regno Unito, secondo Banca d’Italia. In realtà è questo il vero problema italiano.

 

L’economia è dominata da piccole aziende famigliari con un’alta leva finanziaria, la maggior parte delle quali troppo indebitate per chiedere altri prestiti. Ciò che realmente manca non è il capitale bancario quanto quello societario. Ma questo non è un problema che il Qe può risolvere. E’ necessaria una rivoluzione culturale.

 

*Copyright Wall Street Journal. Per gentile concessione di MF/Milano Finanza