CAFONALINO - PIERFURBY E VELTRONI UNITI DALL’“AGENDA MONTI” - IL CALTA-GENERO, CON PIU’ AMBIZIONI CHE VOTI, ORA “TENTA” GLI ANTI-BERSANI DEL PD - LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DEI PIDDINI TONINI E MORANDO E’ L’OCCASIONE GIUSTA PER SPARGERE SALE SULLE FERITE SINISTRATE E PER ALZARE IL PREZZO CON BERSANI - E UOLTER (CHE NON SI SBILANCIA SULLE PRIMARIE MA GODREBBE COME UN RICCIO SE LE VINCESSE RENZI) STA AL GIOCO…

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Francesco Persili per Dagospia

L'agenda Monti unisce Casini e Veltroni. E li divide da Vendola (e Bersani).
Gli alleati che non si trovano nel campo dei progressisti, dunque, si possono trovare al centro? «Può essere, a patto di riconoscere che le rispettive scelte sui problemi fondamentali del paese rendono impossibile una collaborazione di governo tra Pd da una parte ed Idv e Sel dall'altra».

Democristianerie di un Pierfurby che sul palco del teatro de'Servi durante la presentazione del libro («L'Italia dei democratici») scritto dal liberal Enrico Morando e dal (telodoio) Giddens veltroniano Giorgio Tonini, si sofferma con malcelata perfidia su alcune righe del testo per prendere le distanze dalla foto di Vasto e da quanti nel centrosinistra abbiano come obiettivo quello di far saltare la cura Monti, prima di consigliare la lettura del manifesto riformista anche a Bersani.

Prosegue il valzer di punture di spillo e veti incrociati, doroteismi fuori stagione, botta e risposta da campagna elettorale con il segretario del Pd che, nel frattempo, punge Casini («ragiona un po' a giorni alterni») e si tiene fedele alla linea («Monti può dare una mano ma l'Italia deve mettersi nel solco di una normale democrazia...»).

Dall'altra parte, il Calta-genero - sempre accerchiato da microfoni e cronisti come una diva hollywoodiana - sottolinea il rischio di trasformare la coalizione progressisti-moderati in un «vestito da Arlecchino dai mille colori» e parla delle ricette di Nikita («incompatibili con le sue e con quelle dei riformisti del Partito democratico») affinché Bersani intenda. Intanto continua a lanciare assist a Veltroni che si dice «preoccupato per la tenuta del partito» tirato in direzioni opposte da Renzi e dai giovani turchi.

Ad ascoltare il primo segretario del Pd che evoca la Grande depressione e lo spettro di Weimar (come Berlusconi), ricorda il no alla coalizione con la sinistra radicale nel 2008 per porre fine ai governi Mastella-Ferrero e si impanca su mitologiche palingenesi quando propone nientemeno che una «nuova idea di società», ci sono i fedelissimi del Lingotto.

Schierata al completo la guardia parlamentare del veltronismo (a partire dal senatore Ranucci, custode del vero spirito del '94: non la rivoluzione liberale di Silvio ma lo spirito della Nazionale di calcio, di cui era capodelegazione, finalista ai campionati del mondo in Usa e, poi, Verini, Ceccanti, Melandri, Vassallo, Martella, Minniti, Peluffo), teste d'uovo del pensiero neo-liberal come Antonio Funiciello, direttore del think tank LibertàEguale, smontezemolati di rito blairiano (Andrea Romano), renziani di complemento (Petrolo, Paganelli) e, poi, ancora, Luca Di Bartolomei, coordinatore forum Sicurezza del Pd, la responsabile ambiente Stella Bianchi, l'ex presidente Rai Claudio Petruccioli e Paolo Gentiloni.

Una edizione riveduta e (s)corretta di Veltrolandia, quel luogo della politica in cui tutto è possibile e nuove ambizioni prendono quota tra chi aveva creduto alla terza via italiana e al carattere di discontinuità rappresentato dal Lingotto prima di diventare oggi apostolo del montismo. Sfidare tutti i conservatorismi e, ritrovarsi - per convinzione e anche un po' per convenienza - a guardare con interesse al cantiere neo-centrista: è riformismo geneticamente mortificato?

Alla fine del ventennio breve (e sprecato), mentre si avanza la richiesta di una legislatura costituente e il bipolarismo si fa sempre più mite, una convergenza inedita si realizza tra Piercasinando, il terzopolista manovriero e senza voti (così, almeno, dicono i sondaggi) e i sostenitori del Pd a vocazione maggioritaria (ma di sbocco minoritario, almeno, nel partito) in nome della continuità con l'esperienza Monti. Abbattere il debito pubblico, ridurre le disuguaglianze, tornare a crescere: Tonini fissa i punti centrali di una possibile agenda 2020 per l'Italia.

Così le idee riformiste contenute nel libro diventano il programma elettorale degli iper-montiani. «Con l'attuale presidente del Consiglio si apre una speranza di medio-lungo periodo, il Tremonti del migliorismo, Morando non riesce a sfuggire all'ironia da Drive In di chi lo inchioda alla somiglianza con Gianfranco D'Angelo ma si allontana «da chi vuole liberare l'Italia dal fantasma di Monti».

E torna ad agitare la sua agenda, feticcio o progetto - a seconda delle vulgate più o meno antipatizzanti - per aggredire la spesa pubblica e rilanciare la produttività. Una riproduzione seriale in stile pop art di grandi riforme e misure di rigore e crescita per andare - chissà come e in quanto tempo - verso un enterprising state («uno Stato più orientato alla crescita attraverso la promozione dell'impresa e del lavoro»).

Si può fare ancora, dunque, con Monti? «Se è disponibile è una risorsa e una ricchezza per il Paese», Veltroni, stavolta in versione king maker, chiede di preparare le condizioni di un grande schieramento riformista («le forme si definiranno senza premettere i nomi alle cose») ma non rinuncia ad un pezzo forte del suo repertorio quando maledice quel «ciclo riformista» che l'Italia non ha mai conosciuto tranne che con De Gasperi e il primo governo Prodi.

A differenza di altre volte, dimentica di citare Moro-Nenni e il primo governo di centrosinistra e la conferenza di Rimini del 1982 del Psi con l'alleanza tra meriti e bisogni di Craxi e Martelli (che Morando e Tonini rilanciano nel libro: «è una aggiornata versione dell'alleanza tra meriti e bisogni l'architrave della visione dei democratici sul futuro del Paese»...).

Mentre Casini invita a non avere paura delle larghe intese, e Morando annuncia il suo voto per Renzi, Veltroni fa come Prodi e tra il sindaco di Firenze e Bersani non si schiera mantenendo «una posizione di riserbo». Parole nette, invece, sulle primarie di coalizione, «una contraddizione in termini: o i candidati sottoscrivono un impegno per cui chi vince è sostenuto da tutti gli altri o non ci si capisce più nulla».

Già, non si capisce, intanto, perché il Pd sia arrivato al 33 per cento nel suo periodo di maggiore difficoltà ed oggi con il crollo dei consensi nei confronti del Pdl non riesca a sfondare il muro del 30 per cento. Mentre si capisce già di più il tafazzismo, il vizio capitale della sinistra per cui alla vigilia della partita decisiva delle elezioni, riemergono rancori mai sopiti, timori di possibili involuzioni identitarie, faglie di divisione con l'incubo Unione che torna a farsi minaccioso.

«In questa fase il mio pensiero è il futuro del partito», dice Veltroni, quel partito che avrebbe dovuto realizzare - secondo i desiderata dei veltroliberal - l'unità dei riformisti e non limitarsi, come oggi, ad organizzare solo il campo dei progressisti. Uniti, certo, almeno finché (l'agenda) Monti non li separi.

 

 

PAOLO-GENTILONIWALTER VELTRONI WALTER VELTRONI PRESENTAZIONE LIBRO MORANDO TONINI RAFFAELE RANUCCI E MOGLIE ANNAMARIA PRESENTAZIONE LIBRO MORANDO TONINI RAFFAELE RANUCCI RAFFAELE RANUCCI E MOGLIE ANNAMARIA PRESENTAZIONE LIBRO MORANDO TONINI PUBBLICO STREMATO ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI MORANDO TONINI PLATEA PRESENTAZIONE LIBRO MORANDO TONINI ENRICO MORANDO ENRICO MORANDO E GIORGIO TONINI ENRICO MORANDO E ALESSANDRO SORTINO