Arianna Finos per La Repubblica
CLAUDIO AMENDOLA
Nei quarant' anni di carriera Claudio Amendola ha avuto diverse etichette, da ragazzo di strada a sex symbol. «Sono state tutte un po' vere, queste definizioni. Coatto un po' lo sono e lo sono rimasto ed è vero che il genere femminile è stato generoso con me.
L'etichetta vale più la pena cavalcarla che contrastarla». L'attore, 59 anni, sale sul palco del Festival Marateale subito dopo i 21 attori arrivati da tutta Italia per Young Blood, il contest sul mestiere dell'attore dedicato ai talenti emergenti».
Lei è figlio d'arte, di Ferruccio Amendola e Rita Savagnone.
«Da piccolo non capivo cosa significasse, non credevo al Dna. Non avrei mai pensato di seguire le orme dei miei genitori. Il doppiaggio non è un lavoro così affascinante, i miei erano chiusi al buio tutto il giorno.
Ma vederli lavorare era un privilegio, alla Fonoroma passavo tutti i giorni, magari a chiedere mille lire, mi fermavo a vedere papà che doppiava quegli attori lì, con quei film lì. Poi mi sono reso conto, senza aver mai studiato né averci pensato, di essermi ritrovato sul set in un posto che sentivo mio. Ho avuto la fortuna di aver iniziato negli anni in cui c'erano ancora maestri del cinema italiano».
I suoi amici?
CLAUDIO AMENDOLA
«Venivano il sabato sera per sentire le voci di papà e gli altri doppiatori. Ricordo un ragazzo entrato in comitiva da poco, non conosceva la faccia di papà. Guardiamo una partita dei Mondiali del '78, passa la pubblicità del detersivo, mio padre a mollo, e lui: "Ammazza Cla' ma tuo padre pure a sto' cretino dà la voce?"».
Suo padre era ironico?
«Sì, ma sul lavoro era severo. Mia figlia Alessia che ha imparato da lui, ha ereditato la serietà maniacale".
Un Natale arrivò il telegramma dal liceo: "Vorremmo conoscere l'alunno Claudio Amendola.
«Non ci andavo mai. Me ne sono pentito amaramente. Ho smesso alla seconda liceo. Perché ero pigro, ero in una casa di grande cultura e mi sembrava tutto un po' già sentito. Ero forzatamente ribelle. A metà anni Settanta, se smettevi di andare a scuola, un lavoro lo trovavi. Ho fatto il manovale, il commesso. A 18 anni mia madre insiste e faccio il provino con Franco Rossi, trovo Massimo Bonetti e Andrea Occhipinti, Massimo aveva fatto la Tempesta con Strehler, e Occhipinti La certosa di Parma di Bolognini. "Ma io che ci sto a fà qui?". E invece mi presero per Storia d'amore e d'amicizia , forse proprio perché non avevo mai lavorato».
Poi arriva la trilogia con Carlo Vanzina, iniziata con "Vacanze di Natale".
«Il paese dei balocchi: venti ragazzi a Cortina a ottobre, la neve fatta con i lenzuoli sulle vie, le controfigure sciavano sul ghiacciaio».
Con Carlo Vanzina eravate amici.
claudio amendola daniele carlomosti
«Molto. Ci penso quasi tutti i giorni. Mi manca il suo sorriso, la gentilezza, la signorilità. Gli abbracci papali quando arrivavo allo stadio, ogni domenica. Mi ha insegnato molto, anche come regista, a non buttare il tempo, a non gigioneggiare».
Con Bolognini poi ha lavorato anche lei, in "La venexiana".
«Un personaggio assurdo, Mi dice: "Ti scrivo un dialetto tra il veneto e il bergamasco". Ma il gondoliere dopo tre scene parla romano».
Un set difficile?
« Ultrà , di Ricky Tognazzi. Tante tensioni e una rissa in un locale a Torino, un malavitoso locale non gradiva come era vestito uno dei ragazzi delle comparse, che erano tifosi con esperienze borderline. La polizia ne rispedì molti a Roma».
Di quali dei suoi film è più fiero?
«Dei due film con Wilma Labate. Domenica e La mia generazione : lì con Silvio Orlando è un confronto di alto livello. Sul set con tanti registi ho imparato tanto, specie dagli errori.
piero pelu con claudio amendola foto di bacco
Con Steno, papà di Carlo, ogni sera sul set di L'ombra nera del Vesuvio a cena gli chiedevo di Un americano a Roma , la scena degli spaghetti. Mi diceva: "Non ho fatto nulla quando i pupazzi funzionano, il regista non deve fare niente". E i pupazzi siamo noi, sono gli attori».
Il coatto si è evoluto fino a "Come un gatto in tangenziale".
«Per strada mi fermano più per Coccia di Morto e Vacanze di Natale che per ogni altra cosa. Milani mi ha lasciato libero di esagerare, parrucca, tatuaggi: "113 non ti temo" è una mia battuta».
Disavventure sul set?
«Molte a cavallo. In una produzione in Marocco s' incastra la spada finta, il cavallo mi disarciona, ho dovuto girare con due costole rotte. Nel Napoleone Rai-BBC guido una carica con trecento cavalli, mi sento Attila poi penso: se cado mi travolgono».
Litigi?
«Con tanti attori, quando non sono puntuali, non rispettano i lavoratori, si negano alle foto dei fan, a cui dobbiamo tutti tutto».
gian marco tognazzi claudio amendola lucia ocone massimo ghini alessandro sperduti piero pelu foto di bacco (2)
Da regista, rispetto ai giovani attori, come sceglie il "pupazzo" giusto?
«Adoro i pupazzi e li capisco, so quanto è difficile questo mestiere.Troppi registi odiano gli attori, sono stato diretto da registi che usano gli attori ma non li amano. Per questo, forse, so dirigerli».
"La mossa del pinguino", "Il permesso", "Cassamortari", questo mestiere da regista che diventa sempre più suo...
« La mossa del pinguino nasce perché quando vedo un atleta che vince una medaglia mi commuovo, dopo anni di fatica e rinuncia. Il permesso - 48 ore racconta il dramma della chiusura, di non avere la libertà, quelle 48 ore d'aria devono far pensare. Cassamortari è un film per ridere della morte con una famiglia d'attori che sembra vera. Ho finito la nuova stagione di Nero a metà che sono quasi certo riproporremo in tv, sto scrivendo per il cinema.
CLAUDIO AMENDOLA
Ma bisogna capire che cosa vogliamo farne, del cinema: oggi è un disastro, in sala non va più nessuno. Cosa facciamo? Riportiamo la gente al cinema, facciamo sale comode, torniamo a dare importanza all'ora e mezza di film. Altrimenti andremo in sala solo per grandi autori, blockbuster e cartoni. La crisi va affrontata di petto».
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