Anna Paola Merone per www.corriere.it
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Sulla morte di Vittorio Carità, a soli 59 anni, restano in sospeso molte domande. Si indaga sulla sua improvvisa fine, che potrebbe essere stata determinata da un arresto cardiaco. Oppure da una aggressione.
Le ipotesi investigative sono molteplici. Di certo c’è solo che quando i vigili del fuoco hanno sfondato la porta della sua casa — allertati dai suoi amici ai quali non rispondeva al telefono — lo hanno trovato riverso in un lago di sangue. Il suo corpo è stato posto sotto sequestro — la Procura ha disposto l’autopsia, non escludendo alcuna pista — e la sua scomparsa per ora resta un mistero, come i pensieri più profondi di un personaggio a tutto tondo.
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Il personaggio
Vittorio Carità, conosciuto anche da chi non lo conosceva davvero, si muoveva fra Chiaia e Posillipo con indolente nonchalance. Ma era a suo agio era anche a Scampia e alla Sanità. E ai Quartieri Spagnoli, dove più di recente si era trasferito a vivere. Richiamando attenzioni, simpatie e sguardi curiosi.
L’eleganza insolente e decisa. Lo sguardo ironico dietro gli occhiali. Talvolta lo smalto nero Chanel sulle unghie, ad enfatizzare le mani lunghe e nervose. O i tacchi alti sotto lo smoking di sartoria.
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Raccontare Vittorio significa fare un viaggio fra forma e sostanza. Fra la sua immagine di dandy sfacciato e capriccioso, anima delle feste più belle. E scendere in fondo al suo universo interiore popolato da demoni che aveva affrontato uno per uno. A partire da un passato fatto di lunghe dipendenze, sopraffazioni e di battaglie per affermarsi su se stesso.
A Napoli, quando era ragazzino, era difficilissimo rivendicare e vivere una sessualità personale e non omologata. E, dopotutto, anche nel 2021 la sfida richiede grandi energie.
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I suoi demoni
Era rimasto sempre se stesso, oltre tutti, avvolto in un grumo di solida infelicità. Che cercava di stemperare fra albe, tramonti, un lungo percorso di analisi e la pratica del buddismo.
Vittorio amava Stromboli — dove Paolo Sorrentino lo aveva notato e avrebbe voluto coinvolgerlo nel cast de «La grande bellezza» — e il mare. Quando poteva, abbigliato come una diva d’altri tempi, si concedeva mezza giornata in spiaggia con qualcuna delle sue molte amiche, che lo piangono insieme con gli amici e i moltissimi conoscenti che lo hanno incrociato fra feste, locali o sui social.
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In ogni luogo, reale o virtuale, lasciava la sua impronta forte. I suoi commenti al vetriolo, o entusiastici, passavano attraverso un linguaggio diretto. Mescolava italiano, dialetto e un turpiloquio, declinato dalla sua voce roca, che era uno schiaffo e una carezza insieme.
I social
Vittorio negli ultimi anni aveva scelto i social per raccontarsi attraverso post irriverenti, graffianti. Narrava il suo male di vivere, le sue avventure, i brividi di un erotismo mediterraneo e trasversale. Era una bandiera che garriva anche per quelli che non avevano il suo coraggio. Un riferimento oltre le generazioni e gli stereotipi.
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Il suo male di vivere e le sue battaglie erano a disposizione di chi voleva imparare dalle sue esperienze. «Io son restato un Uomo buono e non ho vergogna di dire che piango, commosso a bestia, perché ancora credo nell’Amore... anche se a me, da giovane mi han fatto male, mi han stuprato, brutalizzato e venduto, anche se ho avuto una famiglia di m..., che ancora tenta di ferirmi... Io resto un Uomo, aggrappato a quel che voglio Essere, a prescindere da quello che fanno gli altri». Così scriveva Vittorio su Facebook. E qualcuno propone di riunire tutti i suoi scritti, i suoi versi, in un volume. E di pubblicare un suo manoscritto inedito.
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