Maria Corbi per “la Stampa”
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Nel mondo della moda l'annuncio dell'addio di Alessandro Michele a Gucci è paragonabile a un addio di Messi dal Paris Saint Germain, tanto per parlare di calcio visti i mondiali in corso.
Perché Michele è un assoluto fuoriclasse di quelli che si trattengono, costi quel che costi, anche una parentesi di crescita meno esplosiva nelle vendite, se questo fosse il problema come sussurra WWD, bibbia (americana) della moda, secondo cui la maison avrebbe «sottoperformato» rispetto agli altri marchi del gruppo. I ricavi del marchio sono stati pari a 2,6 miliardi di euro, in crescita del 9% su base omogenea, dopo un aumento del 4% nel secondo trimestre. Troppo poco? Certo Saint Laurent (+40%) e Bottega Veneta (+20%) sono cresciuti di più.
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Nel comunicato ufficiale in cui si ratifica la separazione, però, nessun accenno alle ragioni. Marco Bizzarri, presidente e Ceo di Gucci ringrazia «Alessandro per il suo impegno ventennale in Gucci e, per la sua visione, dedizione e amore incondizionato per questa Maison unica, negli anni da Direttore Creativo».
Mentre François-Henri Pinault, Chairman e Ceo di Kering, ha dichiarato: «La strada che Gucci e Alessandro hanno percorso insieme negli ultimi anni è unica e rimarrà un momento eccezionale nella storia di questa Maison. Sono grato ad Alessandro per aver portato così tanto di sé in questa avventura. La sua passione, la sua immaginazione, il suo ingegno e la sua cultura hanno messo Gucci al centro della scena, al posto che merita».
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Meno laconiche, anche meno vaghe, le parole di Alessandro Michele: «Ci sono momenti in cui le strade si separano in ragione delle differenti prospettive che ciascuno di noi può avere. Oggi per me finisce uno straordinario viaggio, durato più di venti anni, dentro un'azienda a cui ho dedicato instancabilmente tutto il mio amore e la mia passione creativa. In questo lungo periodo Gucci è stata la mia casa, la mia famiglia di adozione. A questa famiglia allargata, a tutte le singole persone che l'hanno accudita e sostenuta, va il mio ringraziamento più sentito, il mio abbraccio più grande e commosso. Insieme a loro ho desiderato, sognato, immaginato.
Senza di loro niente di tutto quello che ho costruito sarebbe stato possibile. A loro quindi il mio augurio più sincero: che possiate continuare a nutrirvi dei vostri sogni, materia sottile e impalpabile che rende una vita degna di essere vissuta. Che possiate continuare a nutrirvi di immaginari poetici ed inclusivi, rimanendo fedeli ai vostri valori. Che possiate sempre vivere delle vostre passioni, sospinti dal vento della libertà».
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Il fatto è che i grandi gruppi del lusso sono enclave spietate dove ci si mette poco a cambiare cavallo, come ha fatto Pinault a novembre, dando il benservito da Bottega Veneta a Daniel Lee nonostante i risultati sia economici che di immagine. Al suo posto Matthieu Blazy, con la mission di riportare il marchio alle sue radici artigianali. Cosa che potrebbe essere stata chiesta a Alessandro Michele, come dicono i rumors, per aumentare le vendite, riportando Gucci a un'immagine sofisticata da jet-set. Più esclusiva e meno inclusiva, insomma.
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E a quel punto, anche interpretando le sue parole di addio, Alessandro Michele avrebbe deciso di mollare. Per non tradire se stesso, ma anche la community che lo segue per quel pensiero inclusivo, fluido, libero che segna tutte le sue collezioni e ha riportato le nuove generazioni nelle boutique Gucci. Anche per questo la separazione ha un sapore amaro e poco comprensibile, anche se uno stilista che diventa più famoso del marchio che disegna può essere sicuramente scomodo. E allora viene in mente l'addio, anche quello inatteso, di Tom Ford nel 2004 quando fatturati e recensioni andavano alla grandissima. «Con grande tristezza lasciamo, ma confidiamo nell'aver lasciato uno dei più forti team del settore» dichiarò allora lo stilista. Parole molto simili a quelle di Alessandro Michele.
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