DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Molto divide Paesi come la Cina, l'India, il Sudafrica o la Bolivia. Ma una delle ragioni che tiene insieme questi e altri governi in Asia, Africa e America Latina nell'evitare ogni critica alla Russia di Vladimir Putin, è la loro percezione comune dell'Occidente. Sono tutti insofferenti verso quello che considerano il dominio degli Stati Uniti e dell'Unione europea sulla globalizzazione e sulle rotte del commercio.
Eppure la diplomazia del petrolio innescata dalla guerra nel cuore dell'Europa sta mostrando il contrario. La Casa Bianca non riesce più a imporre gli accordi dei quali ha bisogno. L'Unione europea non ha ancora il peso politico per supplire ai limiti dell'Amministrazione americana. E l'effetto netto è meno petrolio in vendita sul mercato, a prezzi più alti.
Il rincaro del greggio del 33% dal primo dicembre non sembra poter incontrare presto venti contrari che portino a una ritirata. Qualcos' altro invece sta chiaramente accadendo: le sanzioni contro la Russia stanno aprendo nuove rotte del petrolio e nuove intese commerciali fra potenze emergenti che tagliano fuori le economie ricche. La partita è aperta e tutto può ancora cambiare ma, per adesso, l'Occidente non la sta vincendo.
Se ne è avuto conferma negli ultimi giorni, quando l'Iran ha iniziato ad alzare sempre di più il prezzo di un accordo con gli Stati Uniti che porti a un aumento dell'offerta greggio sui mercati mondiali. Con quello arriverebbe anche a un calo del prezzo, del quale Joe Biden ha bisogno: in autunno dovrà affrontare difficili elezioni di mid-term al Congresso e il prezzo del carburante - ormai ai massimi da decenni - minaccia di facilitare un trionfo dei repubblicani.
I rincari del petrolio innescati dalla guerra di Putin rischiano di fare del presidente americano un'anatra zoppa. Per questo Biden non ha esitato ad accelerare nei colloqui con l'Iran sul cosiddetto "Joint Comprehensive Plan of Action": un accordo con le cinque potenze del Consiglio di sicurezza dell'Onu (incluse Russia e Cina), più Germania e Unione europea, che dovrebbe portare a nuovi limiti al programma nucleare di Teheran e la fine delle sanzioni.
Quell'accordo può valere quasi mezzo milione di barili di greggio in più al giorno dalla seconda metà dell'anno, perché l'Iran è il quarto Paese al mondo per la dimensione oceanica delle sue riserve. Oggi però è anche il grande produttore che in proporzione esporta di meno, a causa delle sanzioni legate al suo programma nucleare.
Da almeno una settimana i negoziatori europei e americani fanno capire che un accordo è vicino o un annuncio è atteso a giorni. Ma il regime degli Ayatollah ha rapidamente fiutato la disperazione degli occidentali di arrivare alla firma e alza il prezzo: ultima richiesta, togliere la Guardia rivoluzionaria islamica - una forza armata di Stato - dalla lista delle organizzazioni terroristiche dove l'aveva messa Donald Trump nel 2019.
Ora Biden esita, perché qualunque concessione finirebbe sotto attacco in America. Si spiega anche così, con il ritardo dell'accordo sull'Iran, che la Casa Bianca abbia appena deciso di rilasciare una quantità senza precedenti di riserve strategiche di greggio per calmierare i prezzi.
Infatti anche il cartello formato dall'Opec più la Russia si sta guardando bene dall'aiutare l'Occidente di fronte ai rincari dell'energia: in settimana, i grandi produttori si sono attenuti a un piano di aumenti marginali della produzione di molto meno di mezzo milione di barili al giorno (contro un consumo mondiale di quasi cento milioni). Una situazione del genere obbliga la Casa Bianca a esplorare tutte le strade della diplomazia del petrolio.
Il 6 marzo tre emissari di Biden erano a Caracas per sondare Nicolás Maduro. Il dittatore venezuelano ne avrebbe da guadagnare la fine del suo isolamento, l'America l'accesso alle prime riserve petrolifere mondiali oggi di fatto congelate.
Ma la fuga di notizie sul vertice di Caracas ha portato a un'ondata di proteste al Congresso di Washington e, anche qui, allo stallo. Funziona meglio invece la diplomazia fra Paesi emergenti con meno scrupoli. Giovedì scorso il ministro degli esteri di Mosca Sergei Lavrov era a Nuova Delhi: un accordo per vendere all'India il petrolio russo a forte sconto sui prezzi mondiali sembra ormai concluso.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
FLASH! – MARIA ROSARIA BOCCIA CONTRO TUTTI: L’EX AMANTE DI GENNY-DELON QUERELA SANGIULIANO (GIÀ…
DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…