ALTRO CHE “GEOMETRICA POTENZA”, IN VIA FANI NEL COMMANDO DELLE BR CHE RAPI' ALDO MORO CI FU UN FERITO - LA VERSIONE DIFFUSA ATTRAVERSO IL “MEMORIALE”  FIRMATO DA VALERIO MORUCCI E ADRIANA FARANDA È CHE IL 16 MARZO 1978 DURANTE L’ASSALTO NON CI FURONO FERITI TRA I COMPONENTI DEL NUCLEO OPERATIVO DELLE BR - MA SONO TANTE LE TESTIMONIANZE CHE METTONO IN DUBBIO QUESTO RACCONTO – MIRIAM MAFAI SCRISSE CHE "L’AGENTE DI SCORTA RAFFAELE IOZZINO, PRIMA DI CADERE SIA RIUSCITO A COLPIRE UNO DEI TERRORISTI" - TUTTAVIA NESSUNO DEI MEMBRI BR UFFICIALMENTE PRESENTE IN VIA FANI (9 OPERATIVI PIÙ RITA ALGRANATI) HA MAI DICHIARATO DI AVER RIPORTATO FERITE...

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Davide Conti per editorialedomani.it

 

caso moro strage via fani

«Nell’azione di via Fani non ci furono feriti tra i componenti del nucleo operativo». Nel corso del tempo queste parole di Adriana Faranda fissate nel cosiddetto “memoriale Morucci” (il noto dattiloscritto firmato da Valerio Morucci e dalla stessa Faranda sulla storia della colonna romana delle Br e le vicende del sequestro Moro) hanno non solo cristallizzato la dinamica dell’attentato delle Brigate rosse del 16 marzo 1978 ma anche contribuito a fissare nell’immaginario collettivo la nozione di «geometrica potenza» che sarebbe stata messa in campo dalle Br per rapire Aldo Moro, uscito illeso dalla sparatoria, e per uccidere tutti gli uomini della sua scorta.

 

L AGGUATO DI VIA FANI DELLE BRIGATE ROSSE PER RAPIRE ALDO MORO

Il memoriale Morucci venne redatto in carcere a partire dal luglio 1984 nel quadro di una fitta e costante interlocuzione con uomini dei servizi di sicurezza, figure politiche e religiose e direttori di giornali e infine consegnato, nel 1990, al presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ovvero l’ex ministro dell’Interno al tempo del rapimento e uccisione del presidente della Dc.

 

Di lì a poco quel testo sarebbe diventato il perno della struttura del processo Moro-quater assumendo il crisma dell’ufficialità istituzionale «con la documentazione di sicura mano dei noti Morucci Valerio e Faranda Adriana – scrisse il giudice Rosario Priore il 20 agosto 1990 nella sentenza istruttoria – si ricostruisce con completezza ed organicità l’intera vicenda del sequestro e dell’assassinio dell’onorevole Moro».

 

ALDO MORO VIA FANI

Tuttavia, già nelle ore immediatamente successive la strage di via Fani, questo determinato del racconto pubblico era stato messo in discussione da fonti di natura molto diversa (oggi tutte già da tempo disponibili) ovvero da ambienti giornalistici, brigatisti e statali, tutti convergenti nel rappresentare un differente svolgimento della sparatoria che avrebbe compreso il ferimento di un Br nel corso dell’azione.

 

Miriam Mafai fu tra le prime a raggiungere il luogo dell’assalto per recuperare informazioni e testimonianze. Nei suoi appunti dell’epoca, poi pubblicati nel Diario italiano 1976-2006, l’inviata dell’Unità annotò il carattere di conflitto armato (non di sola esecuzione degli uomini della scorta) assunto dagli eventi di via Fani in ragione della reazione dell’unico agente che riuscì a rispondere al fuoco: «Raffaele Iozzino, riesce a balzar fuori dalla macchina, dalla portiera posteriore destra, mettendo mano alla pistola. Pare certo, tuttavia, che prima di cadere sia riuscito a colpire uno dei terroristi. Una traccia che può rivelarsi preziosa nel corso delle indagini».

 

La stessa indicazione fu riportata alle 16.35 dal lancio dell’agenzia stampa Agi: «Si è appreso intanto che Raffaele Iozzino, l’agente rimasto ucciso sull’asfalto nei pressi della macchina di scorta, ha fatto in tempo prima di cadere mortalmente ferito ad esplodere almeno tre colpi [in realtà due] con la sua calibro 9 provocando probabilmente il ferimento di qualcuno dei terroristi. Questi nel salire sulla 132 sulla quale era stato spinto l’on. Moro ha imbrattato di sangue lo sportello posteriore dell’autovettura».

agguato di via fani foto di mario proto

 

Del ferimento di un brigatista nel corso dell’azione avrebbe parlato, la sera stessa del 16 marzo 1978, uno dei protagonisti di Via Fani scomparso il 28 luglio scorso: Raffaele Fiore. A raccontarlo fu Patrizio Peci nel corso della collaborazione con la giustizia iniziata dopo il suo arresto del 20 febbraio 1980. Nel 1978 Fiore era capocolonna delle Br a Torino e Peci (le cui dichiarazioni hanno sempre trovato riscontro) il suo luogotenente.

 

Rientrato nel capoluogo piemontese nel pomeriggio, Fiore incontrò Peci e gli descrisse la dinamica dei fatti del mattino. Il 15 giugno 1982, nel corso del primo processo Moro, Peci riportò in aula la cronaca fattagli da Fiore: «Alle 5 di sera lui era già a Torino. Si mise a raccontare alcune cose. Un po’ le disse subito, un po’ successivamente. (…) Disse che era andato tutto bene e che però c’era solo un problema: che uno era rimasto ferito ad un braccio, uno di noi».

 

Le dichiarazioni non erano inedite e confermarono gli interrogatori condotti dal giudice Francesco Amato. Il 4 aprile 1980 Peci aveva, infatti, affermato «il parlamentare [Moro] non era rimasto ferito nell’azione. Ferito invece era rimasto al braccio, forse, uno dei componenti il nucleo d’assalto. Può anche essere rimasto ferito alla spalla. Trattavasi comunque di una ferita leggera».

 

via fani agguato

Il 5 maggio 1980 Peci riferì di nuovo del colloquio con Fiore: «Il pomeriggio del 16 marzo 1978 Fiore raggiunse Torino con il treno, ci incontrammo e mi riferì sui fatti. Aggiungo che l’impresa [il sequestro Moro] militarmente riuscì perfettamente, ma che uno dei partecipanti rimase ferito. Non sono in grado di indicare chi sia stato ferito. Trattavasi comunque di una ferita non grave, leggera».

 

La terza indicazione del ferimento di un brigatista in via Fani giunse dagli apparati statali. Una nota inviata all’Ucigos il 20 marzo 1978 (conservata in commissione Moro I) redatta da un informatore della Guardia di finanza che la mattina del sequestro si trovava alle 9:25 in via Sorelle Marchisio, una zona non lontana dal luogo della sparatoria. Il militare aveva notato «due persone. Una più magra, di statura 1,70-1,75 circa, con uniforme da pilota civile; l’altra di corporatura robusta, tarchiato, più basso con barba folta. La prima persona sorreggeva la seconda per un braccio, stringendola fortemente al di sopra del gomito. Provenivano entrambi da via Pineta Sacchetti».

 

Una descrizione che indica il ferito non tra i quattro brigatisti (Valerio Morucci, Prospero Gallinari, Franco Bonisoli e Raffaele Fiore) camuffati con le divise da avieri (uno dei quali lo trasporterebbe a braccio) ma in uno in abiti civili. Tuttavia nessuno dei membri Br ufficialmente presente in via Fani (9 operativi più Rita Algranati) ha mai dichiarato di aver riportato ferite.

AGGUATO DI VIA FANI - UNO DEGLI AGENTI DI SCORTA DI ALDO MORO

 

Per esempio nel libro Il prigioniero, Anna Laura Braghetti (proprietaria dell’appartamento di via Montalcini 8 dove Moro venne tenuto sequestrato) racconta dell’arrivo di Moretti e Gallinari «illesi» da via Fani mentre portano il presidente della Dc nella sua prigione. Dunque, il documento della Guardia di finanza sembra chiamare in causa la presenza di un brigatista mai identificato partecipante alla sparatoria e potenzialmente colpito dall’agente Iozzino oppure leso «da una scheggia di vetro o dal meccanismo di sparo dell’arma utilizzata», come riporta la relazione della commissione Moro II del 20 dicembre 2016.

 

via fani archivio alberto coppo

Un’ipotesi considerata anche dal magistrato Gianfranco Donadio che, in una nota inviata alla commissione Moro II (di cui fu consulente) il 3 dicembre 2015, ha scritto di «ritenere sommamente probabile che tra i brigatisti che abbandonarono quel veicolo [la Fiat 132 blu su cui fu trasbordato Moro] ve ne era almeno uno ferito». Ciò in ragione delle macchie di sangue e delle tracce ematiche trovate su tutte le tre auto usate dalle Br per allontanarsi con l’ostaggio da via Fani. (1-continua)

AGGUATO DI VIA FANI

 

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