TE LO DO IO IL 2024! - CARLO FRECCERO: “NELL’EPOCA DELLA NOTIZIA TAROCCATA, IL GOSSIP RAPPRESENTA…
Michele Smargiassi per La Repubblica
Si tagliano i capelli come Elvis, si vestono con giubbotti di pelle e jeans con il risvolto, girano con Cadillac anni Cinquanta importate dagli Usa Da Napoli al Nordest, vita da rockabilly nostrano Una fuga nella fantasia da questi tempi senza stile
Per Ricky, napoletano, che in America ha vissuto la sua giovinezza, i Cinquanta sono un' esperienza del cuore, un ricordo dolce. Ma per Fausto e soprattutto per suo figlio Nicola, nella loro bella casa sul lago d' Iseo con le sedie di formica e i poster di Elvis, cosa possono essere? Forse un sogno esotico, un pianeta felice in cui immaginare di vivere. I rockabilly italiani sono una comunità, forse perfino una religione, inoffensiva e simpatica.
Certo tutt' altro che una setta segreta, perché non si può non notarli quando vanno in giro sulle loro Cadillac con le fiamme sulle portiere, le camicie a strisce e le gonne a ruota, sparando a tutto volume Buddy Holly dalle autoradio con le manopole.
Sono poche centinaia, si conoscono, si incontrano per feste private che risuonano di Rock' n'Roll, Swing, Rockabilly, Jive e Boogie, poco pubblicizzate: non vogliono finire nella spirale commerciale degli eventi sponsorizzati, dei Summer Jamboree, delle catene di ristoranti in stile.
Non è una moda, dicono. È la nostra vita. Graziano Panfili li ha scoperti per caso.
Quattro anni fa lavorava a un reportage fotografico sul burlesque, glieli fece conoscere Laura Distefano, stilista romana che lavora sulle mode del passato. «Andare ai loro party è stato fantastico. Io, unico alieno vestito da terzo millennio, proiettato nel secolo scorso».
Ritorno al futuro: il film di Zemeckis incubava già il virus di questa strana malattia a decorso felice. Perché è una forma di felicità che cercano questi italiani vintage quando arredano le loro case atomic style e scelgono il loro guardaroba quotidiano in assoluto rigoroso stile Marilyn--Marlon. La felicità che dà la fuga dal presente all' utopia.
Riempire l' armadio di jeans col risvolto e giubbotti di pelle nera, la casa di sedie Tulip e gli scaffali di vinili di Johnny Burnette, la brillantina sulla mensola del bagno, in garage una Chevrolet Bel Air importata a cifre folli dagli Usa, chiedere al barbiere sconcertato la sfumatura alta a macchinetta e il ciuffo a banana, tutte queste cose non sono mascherate, sono scelte di vita. A loro modo coraggiose.
Perché se alcuni di loro fanno mestieri compatibili con la stravaganza, stilisti, musicisti, deejay, tatuatori o meccanici di macchine storiche, altri sono avvocati, parrucchieri, chirurghi, è una comunità intergenerazionale e interclassista. Esteti, sicuramente. L' esteta è un collezionista che vive dentro l' oggetto della sua passione. Un po' come i cosplayer, quelli che si vestono come i personaggi dei fumetti manga giapponesi.
Ma scegliere un' epoca storica come immaginario e viverlo ogni giorno, be', è diverso. E perché proprio gli anni Cinquanta? La giostra del revival ha recuperato nostalgie via via più vicine, pare sia già il turno degli anni Novanta, stiamo velocemente esaurendo le nostre scorte di passato. Ma i Cinquanta erano happy days, no? Gli anni del Lego e della Vespa, il decennio postbellico e preconsumista che si era asciugato le lacrime delle macerie e annusava l' eccitante odore della plastica, che allora era nuova scintillante, non triviale.
Decennio di rivolgimenti e di rivoluzioni, di contraddizioni e contrapposizioni, di guerra fredda dove A qualcuno piace caldo, decennio iniziato col maccartismo e terminato con Che Guevara. È lì che pensano davvero di vivere i rockabilly italiani, in una sceneggiatura quotidiana di La La Land? Ma no, certo che no. La nostalgia praticata da chi non ha mai vissuto l' originale non riguarda veramente il passato.
Scrive Emiliano Morreale, che ai revival di quegli anni ha dedicato un libro: «La scelta delle epoche da portare in vita ha sempre meno a che fare con l' esperienza reale da parte di una generazione. È una nostalgia senza oggetto, una nostalgia del presente». Non si vive mai davvero col retrovisore. Dai parabrezza delle loro Buick, gli italiani vintage guardano e giudicano l' Italia senza stile di oggi.
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