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Grazia Longo per “la Stampa”
«Ho vinto un concorso statale, sono arrivato decimo su mille, eppure sono costretto a rinunciare alla cattedra. La mia coscienza è a posto: come supplente ho lavorato dieci anni, ma non ho la serenità per usufruire di un mio diritto».
Giovanni Scattone, che ha scontato 5 anni e 4 mesi per l’omicidio colposo della studentessa della Sapienza Marta Russo, si censura ancora una volta. Solo che due anni fa si dimise dalla supplenza nel liceo Cavour, frequentato proprio dalla ragazza uccisa da un colpo di pistola il 9 maggio 1997 mentre passeggiava nei cortili dell’università.
Oggi, a 50 anni e con una moglie insegnante precaria, dice addio al posto fisso all’Istituto professionale Luigi Einaudi dove avrebbe dovuto insegnare anche psicologia. «Mi spiace per i tanti ex alunni che in questi giorni mi sono stati vicini: il loro sostegno è stata l’unica luce di questi momenti davvero bui». La sensazione tuttavia è che più di un addio si tratti di un arrivederci. Non solo perché non è ancora arrivata la rinuncia ufficiale all’Ufficio scolastico regionale, ma anche per la speranza dell’arrivo di un segnale positivo dalla «parte sana dello Stato».
L’APPELLO
«Mi auguro che qualcuno intervenga - prosegue, sostenuto dal suo difensore, l’avvocato Giancarlo Ghiglione - Uno stato civile non può tollerare una simile ingiustizia. Le sentenze vanno accettate in toto e dunque se si prende per buona la pena inflitta al professor Scattone, si deve accettare anche il fatto che non sia stato interdetto dall’insegnamento. Questo deve concedere uno stato di diritto come il nostro. Io, invece, sono stato privato del diritto al lavoro. Che cosa farò a 50 anni? Per ora sono un disoccupato».
SALVATORE FERRARO E GIOVANNI SCATTONE
Dal ministero dell’Istruzione, poco prima dell’annuncio di Scattone, è arrivato un comunicato a doppio registro. Da un lato, il ministro Stefania Giannini sostiene il professore: «Ha già insegnato come supplente, da madre mi sentirei tranquilla, perché una persona nella vita può commettere cose enormi, può anche non superarle ma può anche arrivare a una piena espiazione e riabilitazione interiore».
Ma dall’altro, il ministro definisce la scelta di accettare un posto di ruolo «un atto volontario: lascio Scattone alla sua coscienza di condannato che ha espiato la sua pena, che non conteneva l’interdizione dai pubblici servizi».
Lui pero non ci sta a vedere tirata in ballo la propria coscienza. «In virtù di essa ho lavorato con gli studenti per dieci anni. La mia innocenza, sempre gridata è pari al rispetto nei confronti del dolore della famiglia Russo. Ho rispettato, pur non condividendola, la sentenza di condanna che mi consentiva tuttavia di insegnare».
E il suo legale incalza: «È un uomo distrutto, non merita tanta sofferenza. Spero davvero che ci ripensi. Mi auguro che alle parole positive espresse dal ministro dell’Istruzione seguano quelle di altri e che a questa vicenda si possa trovare una soluzione». A favore del professore si schierano il senatore Luigi Manconi, «Stop ai forcaioli giustizialisti e manettari: Scattone ha il pieno diritto di insegnare», e don Antonio Mazzi che ribadisce «l’importanza del riscatto sociale dopo aver regolato i conti con la giustizia».
I GENITORI DI MARTA RUSSO AL PROCESSO
I GENITORI
Tirano invece un sospiro di sollievo i genitori di Marta, Aureliana e Donato Russo: «Avevamo auspicato che prevalesse il buon senso e così è stato. Scattone ha diritto di lavorare ma non può fare l’educatore. Non lo diciamo per soddisfare una sete di vendetta ma per il bene degli studenti che hanno diritto ad avere un modello positivo e non un assassino. Non è sereno? Pensi un po’ come possiamo esserlo noi da 18 anni senza una figlia ammazzata a 22 anni».
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