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DOPO LA CARNE "COLTIVATA", LOLLOBRIGIDA METTE NEL MIRINO IL VINO ANALCOLICO – IL MINISTRO, AL VINITALY, SI SCAGLIA CONTRO LA BEVANDA "DEALCOLATA": "SE NASCE DALL’UVA E SI TRASFORMA GRAZIE ALLA FERMENTAZIONE ALCOLICA LA CHIAMEREMO VINO, SE NON HA L’ALCOL CHIAMIAMOLA BEVANDA A BASE DI UVA, MA NON VINO" – ANCHE I VITICOLTORI ATTACCANO: "CONTINUARE A PRODURRE TROPPA UVA E PENSARE DI SMALTIRE GLI ESUBERI COSÌ E' ASSURDO" - IL MERCATO DEL VINO ANALCOLICO VALE 320 MILIONI

Estratto dell’articolo di Luca Ferrua per “La Repubblica”

 

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA AL VINITALY

In un Vinitaly sold out con numeri da record forti di oltre 4.000 cantine presenti c’è anche stavolta un ospite scomodo. E se lo scorso anno a fare parlare di se erano le etichette con la scritta “nuoce gravemente alla salute” che una parte d’Europa vuole imporre, in questa edizione tocca ai vini dealcolati.

 

Sono ancora un mercato di nicchia che vale — secondo i dati di uno studio Areté per conto della Commissione Agricoltura Ue — circa 320 milioni di euro su un totale del fatturato globale del dealcolato di 7,5 miliardi. Il vino no alcol però cresce con grande forza.

 

INAUGURAZIONE DEL VINITALY 2024 -

Una volta era un mercato destinato agli astemi e a chi per motivi di religione o salute non poteva avere a che fare con gli alcolici, oggi sta diventando una moda e, come ogni tendenza, chi vende la deve tenere in considerazione. Per l’Italia vorrebbe dire snaturare una storia, abbandonare un elemento chiave di quel convivio che fa parte della nostra cultura e così le istituzioni fanno quadrato, stringendosi intorno alle parole del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: «Non chiamiamolo vino».

 

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA AL VINITALY

Però aggirandosi tra gli stand del Vinitaly ci si accorge di come la paura di una contrazione del mercato, abbastanza reale, rischi di spingere la moda dei dealcolati. Crescono infatti le aziende a cui fa gola questa fascia di clienti in crescita e poco importa se i processi di dealcolazione rendono il vino un prodotto molto lontano dalla sua origine.

 

Anche nel sapore i “dealcolati” sono davvero un pallido ricordo di quello che era il vino da cui provengono e forse soltanto la parte olfattiva ci lascia sensazioni originarie, ma comunque un ectoplasma del prodotto di cui, in qualche caso portano il nome.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA ADOLFO URSO AL VINITALY

 

Quindi se si guarda il mondo dalla parte degli appassionati e anche, per ora, della maggioranza dei produttori, si fatica a non essere d’accordo con il ministro Lollobrigida: «Se una bevanda nasce dall’uva e si trasforma grazie alla fermentazione alcolica la chiameremo vino, se non ha l’alcol chiamiamola bevanda a base di uva, ma non vino perché magari può aprire fette di mercato però rischia di chiuderne altre che sono alla base della storia del nostro Paese».

 

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA GIORGIA MELONI AL VINITALY

[…] Sergio Zingarelli presidente di una cantina storica come Rocca delle Macie si appella proprio alla tradizione: «Rincorrere le mode per snaturare un pezzo della nostra identità è totalmente sbagliato. Se non c’è alcol non c’è vino». […] Il suo presidente Lorenzo Cesconi spiega: «Dietro la moda dei dealcolati c’è un ragionamento sbagliato. Continuare a produrre troppa uva e pensare di smaltire gli esuberi con un processo tecnologico invasivo ed energivoro è una via assurda».

 

Di fronte a tutte queste opinioni contrarie la strada sembra però tracciata e questa volta — ci fu un’ondata già alcuni anni fa — la moda dei dealcolati sembra destinata ad attecchire almeno per un periodo. Troppo ghiotte le opportunità di mercato — pensiamo al mondo arabo — per fermarsi in un momento in cui l’incertezza internazionale fa tremare i produttori dopo due anni di numeri da record. […]

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