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Rosaria Amato per “la Repubblica”
Si parte di nuovo, ma sempre meno dal Sud. La crisi ha ribaltato le statistiche dell’emigrazione italiana: le partenze dal Mezzogiorno e dalle Isole tra il 2008 e il 2013, gli anni della recessione, scendono, anche in misura consistente, mentre quelle dal Nord-Est e dal Centro salgono, e quelle dal Nord-Ovest quasi raddoppiano rispetto al periodo precedente. Il dato emerge dal “Rapporto sulla popolazione. L’Italia nella crisi economica”, edito dal Mulino.
Tra il 2008 e il 2013 dal Nord sono emigrati in media ogni anno quasi 30.000 italiani, contro i poco più di 17.000 del periodo 2002-2007. «Si tratta di un’area dove il tasso di disoccupazione si era mantenuto a lungo a livelli molto bassi. Di colpo s’è innalzato a partire dal 2008, e le persone hanno cominciato a muoversi.
Anzi è proprio nelle aree più dinamiche del Paese che la reazione alla crisi da parte dei residenti è stata più forte», osserva Salvatore Strozza, docente di Demografia presso l’Università Federico II di Napoli e coordinatore insieme ad Alessandra De Rose del rapporto, che viene pubblicato ogni due anni dall’Associazione Italiana per gli studi di popolazione (Aisp)e si avvale della collaborazione di numerosi ricercatori universitari e dell’Istat.
I numeri sono consistenti (anche se sottostimati, precisano i ricercatori, considerando che si utilizzano dati Istat e sulle cancellazioni anagrafiche per l’estero, ma molti emigranti non si preoccupano di trasferire la residenza): tra il 2002 e il 2007 hanno fatto le valigie in media ogni anno 9.980 italiani residenti nel Nord-Ovest, mentre tra il 2008 e il 2013 la media annua è salita a 17.209. Al contrario, al Sud si è passati da una media annua di 14.411 a quella di 11.412, e una diminuzione un po’ meno corposa si riscontra anche nelle Isole. Cosa è successo, nel Mezzogiorno è prevalsa la rassegnazione?
Mentre il Nord-Ovest, abituato a livelli migliori di vita e di reddito, non si è arreso alla crisi, e ha deciso di cercare di meglio oltreconfine? In effetti la situazione è un po’ più complessa: il Sud si è svuotato negli anni della crisi, tra il 2008 e il 2012 si sono perduti oltre 250.000 residenti (al netto dei nuovi iscritti per trasferimento provenienti dal Centro-Nord), che si sono trasferiti nelle altre aree del Paese, soprattutto al Nord.
Negli ultimi vent’anni la media è stata di 120.000 residenti persi l’anno: tra il 1995-2012 sono 2,2 milioni coloro che hanno lasciato il Mezzogiorno per trasferirsi al Centro-Nord. «Dal Sud si va al Nord, dal Nord non si può che andare all’estero, un estero che in fondo non è così straniero, spesso è relativamente vicino, Germania, Austria, Francia, Svizzera. — commenta Strozza — Chissà anzi che la crisi non abbia accelerato un processo naturale, un fenomeno di spostamento interno tra i Paesi dell’Unione Europea».
In effetti Germania, Svizzera e Regno Unito sono le mete principali degli emigranti italiani, ma la crisi incide anche rispetto a queste scelte, per cui nei sei anni della recessione cresce la capacità di attrazione di Regno Unito (più 45% rispetto al 2002-2007), Francia (più 53%) e Spagna (più 77%).
A fare la differenza sono le prospettive: negli anni della crisi partono molti più laureati di prima, se nel 2005 erano appena il 15%, tra il 2011 e il 2012 hanno superato il 22%. Non partono necessariamente i giovani: si va via anche tra nella fascia d’età 35-44 anni, e in questo caso la percentuale di laureati supera il 32%.
Persone qualificate in cerca di sbocchi adeguati alle loro ambizioni, e infatti per questo nel quinquennio della crisi si riduce il richiamo della Germania, che assorbe pochi laureati, mentre aumenta quella di Paesi come gli Stati Uniti, il Brasile o anche il Belgio, dove circa un quarto degli emigrati possiede la laurea.
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