DAGOREPORT - A CHE PUNTO È LA NOTTE DI CECILIA SALA? BUIO FITTO, PURTROPPO. I TEMPI PER LA…
Antonello Piroso per “la Verità”
Giovanni Vernia, nato a Genova nel 1973, si laurea in ingegneria elettronica e poi si trasferisce a Milano in cerca di lavoro. Trova il mitico posto fisso, ma lo molla per la sua vera vocazione: diventare uno showman completo, capace di intrattenere cantando, imitando, improvvisando.
Lo seguo da quando si affacciò in tv, a Zelig, nei panni di uno svalvolato frequentatore delle discoteche di Ibiza, Jonny Groove, per cui perdonerete il «tu».
Ricorda: «Sei stato il primo a invitarmi in tv, ospite a Niente di personale su La7, spiazzandomi perché mi intimasti di venire come Giovanni e non in abito da scena, non l'ho dimenticato».
Il 2008 è stato per te un anno cruciale e di svolta, ma ha rischiato di trasformarsi in una svolta «a U»: lasciare l' azienda di cui eri manager per lo sfavillante mondo dello spettacolo. Proprio nel momento del credit crunch e della recessione economica mondiale.
giovanni vernia imita gianluca vacchi
«Ho condotto a lungo una doppia vita: di giorno country manager di una multinazionale americana, di notte a fare serate con i pantaloni "muccati". Dovevo scegliere, il mio agente dell'epoca si lamentava del fatto che io rifiutassi tante offerte perché tenevo il piede in due scarpe, nei cabaret e in ufficio».
Dove non si erano accorti di nulla?
«Scherzi? Lo sapevano e all' inizio erano rimasti spiazzati. Ricordo una telefonata dagli Usa, era il gran capo in persona: "What are you fucking doing, Giovani?", che diavolo stai combinando, Giovanni?). Hanno poi intuito le potenzialità della situazione: avere cioè una persona che non faticava a trovare clienti, perché quando telefonavo, quelli che prima si negavano adesso correvano a rispondermi: "Ma Vernia chi, quello di Zelig?"».
E ti prendevano sul serio?
«Sì, perché nel mio campo, i programmi per il webmarketing, ero preparato e competente. Alla fine, confortato soprattutto dal giudizio di Marika - non era ancora mia moglie ma mi supportava e sopportava già da un po' - che mi disse: "Se quello che vuoi davvero è calcare un palcoscenico, fallo, perché io credo in te", ho rotto gli indugi e ho attraversato il mio virtuale Rubicone. Ho debuttato a Zelig Off, poi a Zelig, mi sono sposato e mi sono dimesso. Tutto nel 2008».
Ti sei mai pentito del salto nel buio?
«Per nulla. Quando mi dicono: "Hai avuto coraggio a lasciare il certo per l'incerto", io rispondo che oggi la sicurezza non c' è più, purtroppo. Io ho amici ingegneri lasciati a casa a 40 anni. E quando da manager ero io a fare i colloqui di assunzione, ai laureati in ingegneria nucleare con 110 e lode potevo offrire 500 euro al mese, uno stage e, se andava bene, i ticket restaurant. Dopo di che, ho anche compiuto errori di valutazione causa inesperienza».
TI STIMO FRATELLO GIOVANNI VERNIA
Tipo?
«Tipo il film Ti stimo fratello, uno dei tormentoni di Jonny Groove, in poche settimane diventati virali, come diremmo oggi. Gli altri erano: "Noooo: disastro", "Preeeesa", riferito a una presunta conquista femminile regolarmente inesistente, "Quel pezzo spacca", "Sei veramente qualcuno". Il film uscì nel 2012, ma il fenomeno era del 2009, abbiamo aspettato troppo. E lì ho deciso di pensionare Jonny Groove per non rimanere ancorato a una creazione che, tra libri, dischi e ospitate, mi stava fagocitando».
Schiacciamo il tasto rewind. Quando hai scoperto le tue velleità artistiche?
giovanni vernia foto andrea arriga
«Da ragazzino, con le vacanze prima in Puglia, dai parenti di papà, e poi in Sicilia, da quelli di mamma. Imitavo il parentado nei diversi dialetti, e capivo che mi piaceva far ridere. Non so dirti, in sincerità, se avessi intuito che era quello che avrei voluto fare da grande. So che a un certo punto volevo diventare pediatra. Mi piacciono i bambini. Ma chiariamo bene, visti i tempi che corrono: mi delizia la loro compagnia, il loro stupore, la loro innocenza, che è quella dei miei due figli, Matilda 8 anni, e Giulio Louis, 3».
Giulio che?
«Ti spiego. Avevo 17 anni quando mia madre è morta di cancro. Mio padre si è ritrovato a crescere da solo due figli - ho una sorella più piccola - a Genova, dove non avevamo parenti o nonni su cui contare. E ha fatto un lavoro egregio, dandoci la possibilità di studiare. Ma se avessi optato per pediatria avrei cominciato a guadagnare dopo 10 anni, così ripiegai su ingegneria elettronica che offriva uno sbocco professionale immediato. Dopo la laurea salii quindi a Milano, dove alla fine divenni il responsabile per l' Italia di una società di marketing online, per cui implementavo software per la gestione e l' analisi delle dinamiche in rete. Lavorai per circa un anno per Poste italiane all' Eur, qui a Roma, dove ho conosciuto Marika».
Sì, ma Louis?
«Aspetta. Da Roma vado a Siena, per rendere operative le procedure informatiche del Monte Paschi, il che forse spiega i suoi tracolli successivi (ride). Parallelamente, mentre mi trastullo a imitare i miei capi per il sollazzo dei colleghi, continuo a frequentare scuole teatrali e laboratori comici, tra cui quelli di Zelig on the road, a Verona e Rimini, il mio biglietto della lotteria: nel giugno 2008 entro nel cast di Zelig Off, in onda in seconda serata su Canale 5, e poi in quello di Zelig in prima serata. Sposo Marika - l'incontro con lei mi ha salvato, dandomi equilibrio e serenità - e quando è incinta del secondo figlio decidiamo di chiamarlo Giulio. Solo che un mese prima viene a mancare improvvisamente mio papà, Luigi, che aveva da sempre una passione per la Francia. Così al nome Giulio, cui la sorellina Matilda si era abituata, abbiamo aggiunto Louis in memoria di mio padre e della sua francofilia».
Abbandonato Jonny Groove, la tua prima imitazione è quella di Fabrizio Corona. Poi Jovanotti, Marco Mengoni, Pif, Mika, Manuel Agnelli, Gianluca Vacchi e perfino Gianroberto Casaleggio.
«Preferisco il termine parodia, perché non ho la bravura di Umberto Pantani o di Virginia Raffaele nell' essere un replicante dei miei bersagli. Sono maschere che indosso per puro divertimento: mio, di chi le guarda, e anche dei diretti interessati, di cui segnalo tratti del carattere, esaspero quelle che a me paiono contraddizioni, ma senza cattiverie o atteggiamento di superiorità. Tant' è che nessuno si è inalberato».
Neppure Pif? Lo hai interpretato mentre, solidarizzando con le vittime di estorsioni mafiose, pubblicizza le offerte di un operatore telefonico. Di cui Pif è stato davvero testimonial nella realtà.
«Inventarmi come Pif è stato semplice, perché siamo entrambi magri e brizzolati.
Certo, lo sketch aveva una dose di cattiveria, ma non gratuita. Tanto che lo stesso Pif ha ammesso che "purtroppo, è molto divertente", e l'inciso "purtroppo" è a sua volta intelligentemente comico. La chiave è sempre quella del contrasto. È stato lo stesso con Mika: non mi ha neanche sfiorato l'idea di giocare sulla sua omosessualità o sul suo modo di cantare, sarebbe stato scontato. Invece ho puntato sulla dolcezza dei suoi toni di voce, opposta alla severità del suo ruolo di giudice a X Factor. Jovanotti è venuto ospite da me in radio e si è messo a fare me che imitavo lui, aprendo le vocali e disquisendo di temi surreali quali le api, la natura, il movimento dei pianeti, Saturno e il bassista Saturnino».
Tim ti ha ringraziato per aver fatto un video, #timpallino, in cui abbattevi il ballerino snodato (che eri sempre tu) che imperversava in ogni dove? Hai toccato 4 milioni di visualizzazioni in due giorni.
«Hai detto bene: imperversava. E infatti non se ne poteva più. Così ho fatto quel che andava fatto. Fossi stata l'azienda, avrei cavalcato la presa in giro. Ma pare che per taluni manager sia stato quasi un atto di lesa maestà».
Strano che «casaleggesi» e grillozzi non si siano infiammati per la parodia di Casaleggio senior, per te «Casalecter».
«Girai un video, Il silenzio dei dissidenti, c' erano le tensioni con il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, non a caso poi espulso, ma dal M5s neanche un fiato. Ho avuto più problemi per aver raccontato su Facebook di essere finito con l'auto dentro una buca a Roma, sfondando gli pneumatici. Sono andato per cambiarli e il gommista ha scosso la testa: "'A dotto', ce sta da aspetta' du' mesi", perché sono oberati dalle richieste. Allora ho scritto che nella Capitale c' è una task force del Comune incaricata di togliere murales e disegni in cui compaiono Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ma che in compenso per le voragini il paradiso può attendere. Mi hanno insultato, con gente che mi dava del comunista in quanto comico di professione».
Be', in effetti a sinistra si sono raggiunti insospettabili vertici di comicità, però involontaria. La contestazione ti preoccupa?
«Sono in buona fede e per carattere sono portato a sdrammatizzare. Poi ho un' agenda fitta di impegni. Tre sere fa il teatro Manzoni a Milano era stracolmo, per il mio spettacolo Sotto il vestito, Vernia, che sto portando in giro per l' Italia. Avvertenza per i fan: se vi aspettate di vedermi in costume da Jonny Groove, siete fuori strada Ho un programma quotidiano in radio, a Rds. Dopo averlo testato con i clienti stranieri di alcune navi da crociera, porterò finalmente all' estero Just one night to become italian, che è uno spettacolo in inglese per far conoscere al resto del mondo i nostri tic, modi di fare e manie. Infine, ho appena realizzato un numero zero con la Ballandi arts di Mario Paloschi, socio del grande Bibi, per un format che è in visione presso diverse tv.
Che dire? «Ti stimo, fratello».
«Grazie, ma anche tu "sei veramente qualcuno"».
giovanni vernia imita gianluca vacchigiovanni vernia imita gianluca vacchi
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