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Stefano Bucci per il “Corriere della Sera”
Scomparso ieri a 91 anni, l'architetto giapponese Arata Isozaki è una delle figure che hanno contribuito a disegnare il paesaggio architettonico dei nostri giorni. Lasciando, tra l'altro, un'impronta significativa nel nostro Paese, dal controverso progetto della Loggia degli Uffizi a Firenze alla Torre Allianz a Milano, 202 metri che svettano sopra il nuovo quartiere di CityLife. «Il suo linguaggio astratto e limpido era in parte ispirato dalla sua profonda conoscenza dell'architettura rinascimentale italiana», ha commentato il direttore del museo fiorentino, Eike Schmidt.
torre allianz di milano arata isozaki
Isozaki poteva contare su un'ispirazione molto versatile: suoi il Museo d'arte contemporanea a Nagi, gli uffici della Disney a Orlando, l'edificio di Potsdamer Platz a Berlino, lo Zendai Art Museum Hotel a Shanghai. E, soprattutto, su una fatale attrazione per l'Italia: in particolare per Brunelleschi e Palladio.
Numerosi i progetti made in Italy (affiancato dall'architetto Andrea Maffei): la nuova stazione ferroviaria di Bologna, il PalaOlimpico di Torino, la Stazione marittima e il Palazzetto dello sport di Salerno, la nuova sede della Provincia di Bergamo, la nuova biblioteca di Maranello (in provincia di Modena), la Torre Allianz a Milano («il Dritto» fra i tre grattacieli di CityLife), per cui aveva scelto come modello la Endless Tower di Constantin Brancusi coniugando però questa ispirazione con l'intera esperienza urbana di Milano, quella della Torre Velasca e del Grattacielo Pirelli.
Nato nella prefettura di Oita (nell'isola di Kyushu) il 23 luglio 1931, Isozaki aveva studiato e si era laureato nell'Università di Tokyo, lavorando poi con Kenzo Tange dal 1954 al 1963, anno in cui aveva aperto il suo studio (Arata Isozaki Atelier).
Anticipata dall'interesse per il tema delle rovine (un'eco delle distruzioni di Hiroshima è l'Electric Labyrinth esposto alla Triennale di Milano del 1968), la sua prima fase di attività è caratterizzata, secondo i critici, da progetti «utopico-programmatici» in linea con le posizioni del gruppo inglese Archigram e con le proposte del gruppo giapponese Metabolism.
loggia progettata per gli uffizi da arata isozaki 1
«Sono cresciuto - aveva detto nel 2008 in un'intervista al "Corriere della Sera" - in un luogo raso al suolo. Era in rovina, e non c'erano architetture, edifici e nemmeno una città. Solo baracche e rifugi. Quindi, la mia prima esperienza di architettura è stata il vuoto dell'architettura, e ho iniziato a considerare come le persone potrebbero ricostruire le loro case e città».
Tra le sue realizzazioni più note: il Centro medico di Oita (1961-66); il Piano di espansione della città macedone di Skopje (1965-66) cui ha lavorato come esponente dello staff di Tange; una serie di sedi della Banca Sogo di Fukuoka (sede centrale, Tokyo, Nagasumi, Saga, Ropponmatsu) eseguite tra il 1968 e il 1973; il Museo d'arte moderna della Prefettura di Gumma (1972-74); il Museo d'arte e la Biblioteca Centrale della città di Kitakyushu (1972-74); il Centro generale per esposizioni del Giappone occidentale (1975-77); il municipio di Kamioka (1976-78); il Centro audiovisivo di Oita (1977-79); l'edificio della Nippon Electric Glass Co.Ltd a Otsu (1977-80); il Museo d'arte contemporanea di Los Angeles (1981-86); il palazzo dello sport Sant Jordi a Barcellona (1984-90); l'Art Tower a Mito-Ibaragi (1986-90); il centro di conferenze di Kitakyushu (1987-90). Aveva sposato la scultrice Aiko Miyawaki, peraltro autrice delle sculture all'ingresso del Palau Sant Jordi, che simboleggiano un giardino di alberi.
A proposito delle archistar (di cui faceva comunque parte), teneva a precisare: «Non mi piace come definizione, piuttosto penso che una certa spettacolarizzazione della figura dell'architetto sia il frutto di quella evoluzione generazionale che ha catapultato il progettista al centro dell'attenzione mediatica».
Drastico il giudizio sullo stato attuale dell'architettura: «Ci siamo allontananti dall'idea più classica, quella della tradizione, e i giovani oggi vogliono occuparsi soprattutto di design, hanno perso quell'idea di progetto classico, alla Brunelleschi che non a caso costruiva i propri edifici guardando alla classicità e direttamente sul cantiere» (in un suo libro aveva stabilito «affinità elettive» tra il Quattrocento italiano e il Giappone).
Quando nel 2019 il premio Pritzker era tornato a celebrare la lezione dei maestri, aveva scelto di conferire il riconoscimento proprio al grande (e schivo) Arata Isozaki. Con una motivazione che aveva apprezzato: «Un progettista capace di superare la struttura dell'architettura per sollevare domande che trascendono le ere e i confini».
loggia progettata per gli uffizi da arata isozaki
E di confrontarsi «con una modernità sempre più complessa». Un architetto che, spiega il collega Andrea Maffei (nel 2005 hanno fondato a Milano l'Arata Isozaki & Andrea Maffei Associati), «ha sempre voluto essere cittadino del mondo».
palaolimpico torino arata isozaki stazione di bologna arata isozaki
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