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Dagotraduzione da IndieWire
Paolo Sorrentino sul set de La Mano di Dio
L’anno scorso Paolo Sorrentino ha compiuto 50 anni e si è reso conto di essere pronto ad affrontare la più grande tragedia della sua vita.
Nel 1987, Sorrentino realizza il suo sogno più grande: assistere a una partita di calcio del Napoli per vedere in azione Maradona. Così, il futuro regista se ne va in Toscana a seguire il match, mentre i suoi genitori restano a casa. Quella notte, una perdita di monossido di carbonio li uccide entrambi, lasciandolo orfano un mese prima del suo diciassettesimo compleanno.
«È doloroso parlarne» ha detto Sorrentino questo mese. «Ed è stato molto doloroso fare un film su questo».
Eppure «È stata la mano di Dio», il film Netflix che sarà presentato al Festival di Venezia la prossima settimana, non parla solo dell’incidente. La storia ruota intorno agli sforzi del protagonista Fabietto (Filippo Scotti) di sopravvivere alle conseguenze della sua improvvisa perdita sullo sfondo maestoso di Napoli, e la catarsi nello scoprire la sua vocazione al cinema e alla regia.
Come molte opere di Sorrentino, “È stata la mano di Dio” è ricco delle storie di vita italiana di più generazioni. La numerosa famiglia di Fabietto è riunita in una sontuosa casa al mare e il giovane si muove tra i contorni netti e ombrosi dell’architettura napoletana, che spesso sembra riflettere gli enigmi della sua esistenza.
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Con “È stata la mano di Dio”, Sorrentino ha dovuto mettere da parte lo stile da “Grande Bellezza”, in cui guardava all’Italia moderna con ironica distanza.
«Quando perfezioni troppo il tuo stile, tendi a diventare un po' superficiale», ha detto. «Ho optato per uno stile più semplicistico che prima non mi piaceva, ma ho pensato che fosse il momento giusto. È un film basato sulla percezione del dolore e della gioia di un ragazzo, ed è narrato attraverso gli occhi dell'uomo adulto che è diventato, vale a dire io».
“È stata la mano di Dio” vede Fabietto vivere una serie di vivide esperienze, inizialmente con il sostegno della vasta famiglia, tra cui il fratello maggiore e una zia mentalmente instabile (Luisa Ranieri) che diventerà il suo primo amore.
Mentre il giovane sopporta il dolore, un risveglio sessuale e infine la sua vena creativa, il film si evolve in una specie di giustificazione biografica per quanto realizzato nella sua carriera: Sorrentino in genere crea storie dense e visivamente audaci su uomini potenti che esercitano l’autorità e oscurano il loro lato più gentile, dai ministri de “Il Divo” alla frenetica figura papale impersonificata da Jude Law. Il lavoro di Sorrentino è carico di esibizioni edonistiche, con protagonisti che preferiscono accelerare nella vita piuttosto che crogiolarsi nell’autoriflessione.
“È stata la mano di Dio” spiega come il cinema sia servito da salvezza per Sorrentino, e, finora, da scudo. «Non credo che farò un altro film intimo come questo» ha detto. «È stato così difficile. Mi ci sono voluti 20 anni, e ci ho pensato per tutto il tempo. Ma questo film mi ha dato una chiave stilistica che ho intenzione di esplorare per il futuro».
Sorrentino ha consegnato per la prima volta la sceneggiatura al produttore Lorenzo Mieli la scorsa estate, quando la prima ondata della pandemia ha bloccato l'Italia e gran parte del mondo. «Ha solo detto che c'era un film che avrebbe sempre voluto scrivere e che quest'estate avrebbe cercato di realizzarlo», ha raccontato Mieli. «Dopo un paio di settimane, mi ha dato la sceneggiatura e sono rimasto scioccato dal fatto che fosse così personale. Per lui è stata una svolta».
"La grande bellezza" ha aumentato la reputazione internazionale di Sorrentino, ma lo ha anche trasformato in una figura divisiva nel suo paese natale, dove alcuni spettatori si sono lamentati del fatto che le sue indulgenze felliniane e la fissazione su ambientazioni storiche, oltre le sue origini, che possono risultare ingenue o riduttrici. "È stata la mano di Dio" è una risposta esplicita a quel contraccolpo. «Forse, per la prima volta nella mia carriera, posso evitare critiche che ho spesso affrontato, di chi dice che non so di cosa sto parlando», ha detto. «In questo caso, lo so fin troppo bene».
La chiave di Sorrentino per sbloccare la sua storia con “È stata la mano di Dio” è arrivata dal provino di Filippo Scotti, un esordiente che ha partecipato a un casting virtuale e che Sorrentino ha scelto dopo aver ascoltato oltre 100 attori. Anche se l'attore irradia la sensibilità di Timothée Chalamet di "Chiamami col tuo nome", Sorrentino voleva un'aspirante star e non una già affermata. «Non volevo che qualcuno mi interpretasse come un personaggio di un altro film», ha detto Sorrentino in inglese, e ha riso, il che è stata una sorpresa. Il 51enne dai capelli scompigliati tende a parlare con un tono secco e scontroso attraverso un traduttore, e mentre fuma a manetta davanti al suo computer, con un poster di "8 1/2" posizionato quasi troppo perfettamente dietro la sua spalla sinistra, cerca di mantenere quella veste.
«So che potrei sembrare infastidito», ha detto. «Ma non è così. Tendo ad essere molto trattenuto perché ho paura di commuovermi mentre parlo di questi fatti della mia vita». Una sensazione che si è estesa al set, dove Sorrentino ha fatto di tutto per mantenere la calma durante i momenti più drammatici delle riprese, compresa la scena della morte dei suoi genitori. Mieli ha detto che tutti potevano sentire l'intensità del momento. «È stata un'esperienza molto strana e unica», ha detto. «C'era una sorta di qualità sacra in quello che stavamo facendo. Lo potevi sentire dal primo giorno».
La produzione è durata otto settimane, e ha segnato la prima opportunità per gran parte della troupe di riunirsi dopo il lockdown. «Dopo mesi trascorsi completamente chiusi nelle nostre case, siamo finalmente riusciti a uscire ed è stato molto felice per noi girare quelle scene in riva al mare», ha detto. «Ricordo che stavo lì nell'acqua di mare. È stata una sensazione così liberatoria da parte mia. Eravamo fuori senza le nostre maschere. Non è durato molto. Ma è stata un'esperienza indimenticabile».
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Se Sorrentino ha un rimpianto per "È stata la mano di Dio", è che la fonte della sua ispirazione, lo stesso Maradona, non potrà apprezzarlo. Per anni, Sorrentino ha indicato Maradona come il suo eroe, e non solo perché il desiderio del regista di vedere Maradona recitare tanti anni fa potrebbe aver salvato la sua vita. Quando Sorrentino ha vinto l'Oscar per il miglior film internazionale con "La grande bellezza" nel 2012, Maradona è stata una delle persone che ha ringraziato. Ma, quando la scorsa estate è circolata la notizia dell'arrivo del film, l'agente di Maradona ha detto alla stampa che l’ex giocatore stava pensando di fare causa alla produzione per l’uso della frase, un riferimento al gol che Maradona segnò nel 1986 durante la partita Argentina-Inghilterra e che fu convalidato solo perché gli arbitri non si accorsero che il calciatore aveva segnato con la mano.
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Maradona è morto un mese dopo le riprese di "È stata la mano di Dio", prima che Sorrentino avesse la possibilità di raggiungere il calciatore e parlargli. «Mi dispiace molto per questo», ha detto Sorrentino. «Uno dei motivi per cui ho realizzato il film è stato quello di potergli mostrare, finalmente, il significato che ha avuto nella mia vita – e per così tante persone a Napoli». Sorrentino ha detto di sospettare che le minacce legali provenissero dalla «cerchia ristretta di Maradona che voleva in qualche modo spaventarci, forse per ottenere un ritorno economico. Non riesco a immaginare che fosse davvero preoccupato per il film».
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L'altro personaggio della vita reale che emerge in “È stata la mano di Dio” gioca ancora un ruolo attivo nella vita di Sorrentino. Mentre Fabietto vaga per Roma e si risveglia grazie ai suoi istinti creativi, incontra il regista Antonio Capuano (Ciro Capano), un uomo appassionato e infiammabile che costringe Fabietto a cercare uno scopo e un'estetica di fondo nelle sue ambizioni cinematografiche. «Era una delle poche persone che credeva in me quando non credevo in me stesso», ha detto Sorrentino, che nel 1988, poco prima di diventare a sua volta regista, ha scritto la sceneggiatura del film dell’amico Capuano "La polvere di Napoli". «Prima di incontrarlo, pensavo che il cinema fosse troppo grande per me. Non ero sicuro di meritare di diventare anch'io un regista. Mi ha insegnato la necessità di affidarmi al mio istinto».
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Mentre “È stata la mano di Dio” aiuta a chiarire l'evoluzione di Sorrentino come regista, spiega anche come sta analizzando la fase successiva della sua carriera. Le notizie suggeriscono una lista carica che lo porterà ben oltre la sua zona di comfort italiana. Al momento, è impegnato a dirigere due progetti con Jennifer Lawrence: “Mob Girl”, la storia di un'informatrice dell'FBI, e un film biografico senza titolo sulla super-agente Sue Mengers. Ci sono anche voci su un'altra stagione di "The New Pope" su HBO. Sorrentino non è pronto a discutere di tutto questo, però. «Per il momento», ha detto, «il mio unico vero progetto è 'La mano di Dio'. Per il resto vedremo».
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Qualunque cosa faccia dopo, Sorrentino ha detto che "È stata la mano di Dio" illustra il motivo per cui non dà per scontate le nuove opportunità. «Solo perché hai avuto una vita difficile e ti sei sentito impotente non significa che sei automaticamente un buon regista», ha detto. «Ma se sei in grado di prendere tutte le difficoltà che hai vissuto nella vita – i sentimenti aspri che ti sono rimasti – e hai l'intelligenza per trasformare tutto questo in uno stile poetico unico, a quel punto – beh, forse puoi essere un buon regista».
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