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Estratto dell’articolo di Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”
Cinque anni, tempo di bilanci: il 31 gennaio 2020 la Gran Bretagna usciva dall’Unione europea, unico Paese a staccarsi dalla Ue. Nel valutare l’esito (provvisorio) del divorzio, sul Continente è prevalsa spesso una narrativa catastrofista, che vede il Regno Unito sprofondato in una crisi autoinflitta senza via di uscita: in realtà, il quadro è piuttosto in chiaroscuro, con diversi piani che si intersecano.
Un punto fermo lo ha messo questa settimana la pubblicazione di The Brexit Files , un voluminoso rapporto redatto dal think tank «Uk in a changing Europe», il più autorevole pensatoio britannico dedicato specificamente ai temi della Brexit e del rapporto con l’Europa.
Il punto di partenza in queste discussioni è la stima fatta dall’Ufficio per la Responsabilità di Bilancio, l’organismo indipendente di sorveglianza sui conti pubblici: secondo l’Istituto, a causa della Brexit «il volume di importazioni ed esportazioni britanniche sarà nel lungo termine più basso del 15% rispetto a quello stimato se il Paese fosse rimasto nella Ue (...) riteniamo che ciò condurrà a una riduzione del 4% della potenziale produttività dell’economia britannica (...) con il pieno effetto avvertito dopo 15 anni». […]
festeggiamenti per la brexit 12
Le stime generali degli economisti quantificano l’impatto negativo della Brexit sul Pil fino a oltre il 5%: e tuttavia «stimare l’impatto generale della Brexit è complesso — si legge nel citato rapporto di Ukice — nel momento in cui ci sono così tanti altri fattori: Covid, prezzi dell’energia e conseguenti spinte inflazionistiche. Sembra probabile che molta della bassa performance […] sia dovuta ad altri fattori e che quelle stime siano pertanto esagerate».
nigel farage contento per la brexit
[…] La storia economica degli anni successivi all’uscita dalla Ue è quella di una divergenza fra servizi e beni materiali: alla fine del 2024, il volume del commercio di beni era calato del 9,4% rispetto al 2019, mentre il valore dell’export dei servizi è cresciuto di un eccezionale 7,5% l’anno.
le scogliere di dover durante la brexit
«Gli economisti erano d’accordo sul fatto che la Brexit avrebbe danneggiato l’economia attraverso tre meccanismi — spiega il professor Jonathan Portes, docente di Economia al King’s College di Londra —: in primo luogo avrebbe ridotto il commercio con l’Europa a causa delle nuove barriere commerciali, poi avrebbe ridotto l’immigrazione a causa della fine della libertà di circolazione e infine avrebbe ridotto gli investimenti domestici ed esteri. Per quanto riguarda il commercio, i servizi hanno avuto invece una performance particolarmente positiva: c’è poca evidenza di un effetto negativo della Brexit e dunque anche se c’è stata una riduzione nel commercio di beni l’impatto negativo della Brexit sul commercio in generale è stato minore delle previsioni».
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La sorpresa più grande è stata sull’immigrazione: quella dai Paesi extra Ue è cresciuta in misura straordinaria, compensando di gran lunga la diminuita immigrazione dall’Europa: «Le previsioni in questo ambito sono state sovvertite — continua il professor Portes — […] Per quanto riguarda gli investimenti, i dati sono opachi ma possiamo concludere che c’è stato un calo significativo: la Brexit ha ridotto sia gli investimenti pubblici che privati».
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In generale, l’economia britannica ha sicuramente performato peggio rispetto agli anni pre-Brexit e pre-pandemia, tuttavia anche le maggiori economie europee hanno fatto lo stesso […] le ultime stime del Fondo monetario internazionale danno la Gran Bretagna in crescita dell’1,5% nel 2025 e dell’1,6% nel 2026, al di sopra dell’Eurozona e meglio di Paesi come Germania, Francia o Italia.
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