FLASH! - RUMORS ALLA FIAMMA (GIALLA): IL COMANDANTE GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA, ANDREA DE…
Monica Serra per "www.lastampa.it"
Silvia, mamma single, ha due bimbe di 3 e mezzo e 5 anni. Otto ore al giorno di lavoro in smart-working «che così ha ben poco di smart», i genitori anziani lontani, barricati in casa per paura del virus e nessun compagno con cui dividere il peso di queste giornate. Marco è un manager in carriera.
Dal suo ufficio, in cui trascorreva 12 ore al giorno, ha sempre amato moglie e figlia. Ma ora che è costretto a condividere con loro tutto, si sente oppresso e si chiude in macchina per evitare di ascoltarle, «perché urlano e parlano, parlano troppo». Luca, giovane avvocato, divide la sua casa a Milano con due coinquilini. Uno ha la febbre alta da giorni ma non vuole chiamare il 112 e lui è arrabbiato, ha paura e minaccia di denunciarlo.
sette minuti in doccia unico momento di solitudine
L’allarme
L’altra faccia del coronavirus è questa: la “convivenza coatta” in case spesso troppo piccole per rispondere alle esigenze di tutti, una condizione straordinaria a cui nessuno era pronto. «È una condanna agli arresti domiciliari e abbiamo appena iniziato a scontare la pena», riflette il professor Fabio Sbattella, ordinario di Psicologia delle emergenze all’università Cattolica di Milano. «Tra le molte difese dell’essere umano c’è l’evitarsi.
Allontanarsi per tornare vicini. La costrizione negli stessi spazi, un bilocale, un trilocale, può essere un modo per guardarsi in faccia e affrontare i problemi che sono ordinari in ogni famiglia, ma fa saltare le difese e molte situazioni rischiano di esplodere».
Tant’è – spiega il docente che coordina l’associazione Esprì, Emergenze sociali e psicologiche di ricerca e intervento – che le ricerche fatte sulle famiglie post-terremoto, in Italia e in Albania, e sulle coabitazioni di blocco «dimostrano che dopo situazioni di questo tipo si registra un aumento di divorzi. E, a distanza di uno, tre anni un aumento di suicidi o atti di autolesionismo».
Questo anche perché «ci sono tante famiglie che vivono già situazioni di disagio, di dipendenze da alcol o droga, di maltrattamenti, che questa condizione non può che aggravare. Cosa può significare per una ragazza che soffre di anoressia essere costretta a sedersi a tavola due volte al giorno con tutta la famiglia?».
I deboli
La convivenza coatta mette in crisi soprattutto le persone più fragili: chi è solo, i tossicodipendenti. «Ma i sintomi si manifestano anche in chi non ha un disturbo e si trova costretto a risolvere problemi legati alla sospensione della normalità», sottolinea Armando Toscano, psicologo e manager del terzo settore che in questi giorni di emergenza coordina due sportelli: uno di ascolto gratuito e l’altro di lezioni quotidiane di yoga.
La situazione straordinaria che stiamo vivendo «genera un rapporto anomalo tra genitori e figli, tante preoccupazioni per gli anziani che non vivono in famiglia che si sentono isolati. E, non riuscendo a soccombere all’esigenza di socialità con Skype o Facebook come fanno i più giovani, finiscono per uscire più spesso e mettere a repentaglio la loro vita». Poi ci sono le preoccupazioni lavorative di tanti precari che devono barcamenarsi come meglio possono. E la questione della percezione e della gestione del tempo che si è dilatato.
È un momento di prova importante per le coppie, di rivoluzione delle abitudini quotidiane. «L’invito a tutti è quello alla tolleranza e alla disponibilità», consiglia lo psicologo. «Bisogna cercare di creare una nuova struttura per la gestione del tempo: darsi degli appuntamenti quotidiani e onorarli per creare movimenti relazionali: momenti in cui si è insieme e momenti in cui si ha una propria intimità». E come si fa quando si condivide un piccolo bilocale? «Bisogna organizzarsi, tenere i ritmi». L’importante è darsi degli appuntamenti e rispettarli. «Il segreto è dedicarsi ai propri interessi chiedendo di non essere disturbato»
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