L’EMERGENZA SI É FERMATA AD EBOLA: MENO AMMALATI DEL PREVISTO - IL MEDICO ITALIANO É FUORI PERICOLO, FORSE A CASA PER NATALE - STUDIO USA: PER OGNI PAZIENTE NOTO CE NE SONO “SOLO” ALTRI 70 NASCOSTI

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1. LA SFIDA FINALE DEL MEDICO ITALIANO CONTAGIATO DA EBOLA

Mauro Favale e Carlo Picozza per “la Repubblica

 

 EBOLA MEDICO RICOVERATO EBOLA MEDICO RICOVERATO

Il primo vero sorriso dopo settimane di ansie e paure è spuntato quattro giorni fa sotto le maschere protettive e dietro gli occhiali di sicurezza dell’équipe medica dello Spallanzani, 30 tra uomini e donne che dal 25 novembre seguono ininterrottamente le condizioni del “paziente zero” di Ebola in Italia, il volontario di Emergency arrivato qui dalla Sierra Leone.

 

Dopo una settimana di terapia intensiva, il 13 dicembre è stato ritrasferito alla degenza ordinaria, al primo piano dell’ospedale romano per le malattie infettive, nella stanza a pressione negativa (aria che entra ma non esce, rigenerata 12 volte in un’ora) in cui vive separato dal mondo esterno da oltre 20 giorni.

 

In quel momento la task force diretta dall’infettivologo Nicola Petrosillo ha capito che il peggio era davvero passato. Che sia ormai «fuori pericolo», allo Spallanzani lo sanno tutti. «Perché tutto l’ospedale ha partecipato e continua a partecipare con passione e professionalità alle sorti del medico di Emergency», dice Valerio Fabio Alberti, direttore generale dell’istituto. Dalle sue parole, improntate alla massima prudenza, traspare un certo ottimismo: «La vittoria la potremo sancire definitivamente tra qualche giorno», dice. Forse già domani, quando è previsto il prossimo bollettino, la cui frequenza, da giornaliera, si è diradata a bisettimanale.

GINO STRADA GINO STRADA

 

«Il protocollo comunicativo è secco, rigido e stringente», spiega Giuseppe Ippolito, il direttore sanitario, senza aggiungere altro. Ma nell’ambiente medico è convincimento generale che il paziente abbia vinto la sua battaglia contro Ebola. A tal punto che l’obiettivo è dimetterlo per permettergli di trascorrere il Natale a casa.

 

«Me lo auguro, andiamo in quella direzione», si lascia sfuggire Alberti. Di più non dice, nemmeno del trattamento sperimentato sul medico di Emergency, sottoposto a vari tipi di farmaci, almeno 4 o 5, compreso il plasma dei soggetti malati e poi guariti.

 

I “segreti” della cura verranno svelati più in là, in accordo con Ministero della Sanità, Regione Lazio e Oms che hanno seguito passo dopo passo l’evolversi della situazione. Così come tra qualche giorno dovrebbero essere resi noti i particolari di tutte le fasi della malattia che ha attraversato il paziente, dalla comparsa della macchie sul corpo, alla febbre altissima, dall’insufficienza epatica e renale, fino a quella respiratoria che, verso la fine della seconda settimana, ha segnato il momento più acuto e più rischioso.

 

Ora tutto questo, il medico contagiato mentre curava Ebola in Africa, se l’è messo alle spalle. È ancora debilitato, certo, tenuto sotto stretta osservazione per evitare complicazioni, anche se l’ultimo bollettino, due giorni fa, parlava di una «buona autonomia recuperata». Interagisce attraverso tablet e telefono con la famiglia e con i suoi colleghi rimasti a combattere la malattia in trincea, a Lakka, in Sierra Leone, dove Emergency ha il suo centro per la cura del virus.

 

LORENZIN BEATRICELORENZIN BEATRICE

Lì ci sono gli altri Ebola fighters, come li ha definiti la rivista Time che li ha consacrati personaggi dell’anno 2014. Il medico italiano li sente quasi tutti i giorni, per sapere come vanno le cose laggiù (l’organizzazione di Gino Strada sta provando a sperimentare una sua cura) e per dare sue notizie.

 

Le ultimissime, ovviamente, sono le migliori e arrivano nel giorno in cui l’Oms ha aggiornato il bollettino della malattia: 6.841 decessi su 18.464 contagi dall’inizio dell’epidemia, lo scorso febbraio.

 

Una mortalità che in Africa raggiunge picchi del 60 per cento e fuori, invece, si abbassa al 25 per cento proprio grazie all’opportunità di cure migliori. Per dire, la scorsa settimana, proprio lo Spallanzani ha sperimentato un test “veloce” per diagnosticare Ebola in soli 75 minuti. E due giorni fa Nahoko Shindo, responsabile del dipartimento pandemie dell’Oms, ha “promosso” l’istituto romano a centro di eccellenza per combattere il virus. Un riconoscimento «da condividere — spiega il dg Alberti — tra i vari reparti coinvolti nella gestione di questa emergenza ».

 

Ora tutta l’attesa è per il bollettino di domani, forse l’ultimo, che potrebbe sciogliere la prognosi del paziente zero e rimandarlo a casa a festeggiare il Natale. In quegli stessi giorni, la protezione civile dovrebbe consegnare dopo anni le prime due stanze della nuova struttura ad alto isolamento costruita e ancora mai aperta. «La speranza — conclude Alberti — è di non doverne mai avere bisogno. Ma d’altronde, qui siamo di sentinella: sempre pronti a tutto».

 

2. NUOVE STIME SULL’EPIDEMIA: MENO AMMALATI DEL PREVISTO

Da “la Repubblica

 

Il contagio del virus Ebola in Africa è drammatico, ma le previsioni sulla sua espansione sono meno tragiche del previsto secondo un nuovo studio messo a punto dagli scienziati di Yale. Sino a settembre l’idea era che il 250 per cento dei casi non venisse segnalato, secondo gli ultimi studi dell’università americana la realtà sarebbe che per ogni malato ufficiale ce ne sono “solo” altri settanta nascosti, non ancora in cura, contagiati all’interno delle famiglie, negli ospedali, ai funerali.

LOGO EMERGENCY LOGO EMERGENCY

 

Questo implica che l’epidemia, che ha una diffusione ben diversa dall’influenza, difficilmente raggiungerà gli scenari apocalittici di centinaia di migliaia di casi stimati a settembre.

 

Il peggiore dei quali parlava di un milione e quattrocentomila casi alla fine di gennaio, mentre lunedì c’erano 18.464 casi confermati in Liberia, Sierra Leone e Guinea. Guardando ai dati raccolti in Sierra Leone e Liberia, gli scienziati di Yale hanno stimato che il 70 per cento dei casi nell’Africa dell’ovest non sono segnalati, mentre prima si parlava di ben il 250 per cento di malati sconosciuti e quindi fonte di nuovi contagi.

 

Lo studio conclude quindi che l’epidemia potrebbe essere non così difficile da controllare a patto che venga fatto un rapido lavoro di ricerca dei possibili contagiati dal virus e che venga applicata la quarantena.