DAGOREPORT – CON L'OPERAZIONE GENERALI-NATIXIS, DONNET SFRUTTA UN'OCCASIONE D'ORO PER…
Lorenzo Cremonesi per il “Corriere della Sera”
Terrore, sangue e morte tra i banchi di scuola. Gli studenti, molti sono bambini delle prime classi elementari, raccontano di attentatori che li hanno usati come scudi umani prima di far detonare la cintura esplosiva che avevano alla vita. «Hanno sparato ripetutamente contro chi era già caduto a terra. Ci cercavano nelle classi, miravano nel mucchio», dicono a parenti, giornalisti e soldati accalcati nello «Lady Reading», il più importante ospedale del circondario. Un vero massacro, studiato e pianificato a tavolino.
Mirato a uccidere, trucidare il più alto numero possibile di bambini, vittime che per definizione non sanno difendersi. In serata i portavoce dell’esercito pachistano segnalavano 145 morti, di questi 132 studenti e almeno 120 molto giovani. E il bilancio di lacrime potrebbe crescere, i feriti sono decine. Non a caso Ahmed Rashid, il celebre intellettuale di Lahore da anni studioso dell’estremismo islamico in Asia, parla di «vendetta a sangue freddo».
È accaduto ieri a Peshawar, città violenta per antonomasia, zona di confronto e scontro tra la sovranità del governo di Islamabad e invece i gruppi dell’estremismo islamico legati ai Talebani, che operano quasi indisturbati nelle cosiddette «Zone Tribali», le province di etnia pashtun lungo la frontiera con l’Afghanistan. Secondo i testimoni, l’attacco è cominciato verso le 10 della mattina (ora locale), quando le lezioni erano già cominciate, e si è protratto «quasi otto ore».
Un gruppo di uomini armati (pare fossero un numero compreso tra sei e nove), e vestiti con le uniformi del «Frontier Corp» (l’unità che dai tempi dell’Impero britannico in India ha il compito di vegliare sull’ordine pubblico nelle Zone Tribali), ha fatto irruzione nella scuola locale gestita dai militari. Si tratta di una delle istituzioni educative più prestigiose del Paese. Le uniformi dei suoi oltre mille allievi ricordano quelle dei tradizionali collegi inglesi: camicia chiara e cravatta con giacchetta o maglione verde per i bambini; vestiti lunghi azzurrini per le bambine, anch’esse in maglia verde.
Non a caso questi tipi di scuole si trovano in tutti i centri urbani maggiori e costituiscono il fiore all’occhiello delle attività promosse dall’esercito a sostegno dei civili. Sono frequentate dai figli dei soldati, ma restano anche aperte ai civili. «In un primo tempo abbiamo pensato si trattasse di un gioco tra studenti, o di un avvenimento sportivo», raccontano i vicini ai media pachistani.
Ma l’illusione è durata poco. In una manciata di secondi sono iniziate le esplosioni. Un testimone ha raccontato alla tv Nbc di un insegnante arso vivo davanti agli alunni. I soldati della caserma prospiciente sono caduti nel caos. Fracasso, fumo, urla e le sirene delle prime ambulanze hanno frenato le loro operazioni, si sono trovati a non sapere con precisione chi fossero gli aggressori.
Eppure, mentre ancora la battaglia era in corso, sono stati gli stessi talebani pachistani a rivendicare con forza la paternità dell’azione. «È la nostra risposta alle vostre aggressioni che ammazzano i nostri figli, le nostre donne, distruggono le nostre case. Adesso anche voi proverete un poco del nostro dolore», ha dichiarato ai media locali Muhammar Umar Khorasan, portavoce del «Tehereek-e-Taliban», una delle formazioni più note.
In particolare i Talebani sono impegnati in una dura battaglia contro l’esercito che sta rastrellando le loro roccaforti nel Waziristan. Pare abbiano subito quasi 2 mila perdite da inizio estate. Nulla di nuovo del resto per il Pakistan, uno dei Paesi storicamente più violenti dell’emisfero asiatico, dissanguato da una crudele guerra civile che si consuma a fuoco lento. Assassini e massacri segnano in particolare il suo ultimo ventennio. Attentati simili a quello di ieri sono avvenuti a Islamabad, Lahore, Karachi.
Le operazioni dei droni americani contro la guerriglia locale, instabilità cronica della politica interna, colpi di Stato da parte dei militari, povertà e radicalismo religioso non contribuiscono certo alla normalizzazione. Ieri in serata il presidente Nawaz Sharif, pur se visibilmente scosso, ha promesso che la «guerra al terrorismo continuerà più forte di prima». Condanne sono giunte da tutto il mondo. Federica Mogherini, a nome dell’Unione Europea, ha definito l’eccidio degli studenti «un attacco ai valori universali, al futuro del Pakistan e al nostro futuro».
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