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OSPEDALE PIOMBINO FAUSTA BONINO
Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera”
Succedeva qui dentro. La porta dell’Unità di Anestesia e Rianimazione è spalancata. Dalle ore 13 alle ore 13,30 è consentito l’ingresso ai parenti. Ma può entrare chiunque. Nessuno chiede chi sei, chi cerchi, dove stai andando.
Una signora arriva con un bustone pieno di carciofi, lo posa sul pavimento e si china su un uomo anziano, intubato.
Il carrello con i farmaci, incustodito, è a metà del corto corridoio. Cinque stanze, nove posti letto. Un reparto piccolo con un panorama grandioso. Le finestre affacciano sull’Isola d’Elba, gabbiani in picchiata dentro un mare color cenere.
Medico nervoso. «Un posto vale l’altro se devi morire. La cosa importante è che noi, in queste stanze, si cerca di dare la vita».
Non sempre, raccontano i carabinieri. Tra il 2014 e il 2015, tredici decessi provocati da inspiegabili, rapide e irreversibili emorragie: e, di turno, sempre la stessa infermiera.
Lei. Fausta Bonino di anni 55. Il primario del reparto, Michele Casalis, inizia a singhiozzare, si toglie gli occhiali, tira su con il naso. Poi la descrive così.
«È l’infermiera che qualunque paziente vorrebbe avere. Diligente, premurosa, esperta. Mai saputo che bevesse. Mai saputo della sua depressione. Quasi mai assente, capace anzi di arrivare anche con un’ora di anticipo. La migliore infermiera del mio reparto? Ho diciotto infermieri e dieci medici. Ma lei, sì, posso dirlo: è un’infermiera speciale».
Ecco, appunto: adesso bisogna immaginarsela mentre prende una dose di «eparina», prende la siringa e con calma toglie l’aria dall’ago e si avvicina al paziente che non sa, non capisce, non si accorge perché è già sedato. Una iniezione. Una bomba che esplode nelle arterie. L’«eparina» è uno dei più potenti anticoagulanti del sangue. Nel volgere di pochi minuti, il monitor di controllo cui è collegato il paziente segnala valori alterati, nel corridoio si sente il tragico «bip bip», il paziente sta velocemente andando via per sempre.
E allora lei ricompare come se fosse tragica routine: il paziente sta male, ha una crisi, lo stiamo perdendo, presto, bisogna fare presto, chiama anche gli altri, avverti il primario.
Per mesi tutti danno la colpa al destino, frequentatore abituale del reparto. E invece è lei che agisce nella penombra. Con passi felpati. Con naturalezza. Con dolcezza. Solo una volta, un errore. Finisce diritta sotto lo sguardo attento di un figlio che veglia, di nascosto, la madre.
Perché va così: non possono farti stare sempre lì e allora ti metti un po’ distante, dietro la porta socchiusa, e te la guardi, la tua mamma, e le stai vicino con gli occhi.
Francesco Valli vede l’infermiera Fausta avvicinarsi al letto e prendere il braccio di sua madre, Marcella Ferri. «No, scusi: a che serve quell’iniezione?». E lei, imperturbabile: «Almeno così dorme».
Marcella Ferri si addormentò poi per sempre e se è possibile fissare un punto sul calendario della morte di questo reparto, era il 9 agosto del 2015: c’erano già stati undici decessi e un altro ci sarebbe stato il 29 settembre. Fausta Bonino viene fermata dalla direzione sanitaria solo il 10 ottobre. È pazzesco che ciò sia accaduto.
Sì, certo: può essere sia servito del tempo agli investigatori per ascoltare le varie intercettazioni ambientali e incrociare poi cartelle cliniche e turni di presenza, dati di laboratorio e testimonianze. Ma in ospedale tutti sapevano.
Fuori dal bar, una collega della Bonino.
«Io, di Fausta, sapevo da mesi».
Da quando?
«Da quando i carabinieri dei Nas hanno cominciato a girare nel suo reparto e a fare domande... Saranno stati i primi giorni del 2015. Il nome della Fausta era sulla bocca di tutti».
E lei, la Bonino?
«Per un po’ l’ho osservata, cercando di capire qualcosa dal suo atteggiamento: ma lei niente, gentile, sorridente come sempre. Poi... Beh, poi un po’ è cambiata...».
I pazienti continuano a morire.
INFERMIERA INIEZIONI DI EPARINA
Quando tocca a Bruno Carletti, Fausta Bonino si mette al telefono con una sua collega. «Io non me lo ricordo, Paola... Ma il prelievo gliel’ho fatto io... o te... o la Sandra?». E la collega, dura: «No, Fausta: tu gliel’hai fatto».
Le colleghe sospettano, temono, intuiscono. Una mattina la Bonino va dalla caposala e inizia ad essere incalzante, preoccupata: «Oh, no, dai, tu a me lo puoi dire: t’hanno fatto domande su di me, i carabinieri? T’hanno mica chiesto che infermiera sono?».
Un’altra volta la butta sul ridere: «Oh, Paola... Una cosa... Se avete da fa morì qualcuno, fatelo prima che io rientri, perché se l’unico giorno che sono rientrata ne sono morti tre...».
Poi ha un cedimento: «Ora voglio tornare a Roma e farmi un’elettroencefalogramma... Ieri ho detto a Paola: avrò avuto l’epilessia. Dei momenti... Ho cominciato a dubitare di me stessa».
Appunto: i dubbi ora tormentano il direttore generale della Usl-Nord Ovest della Toscana, Maria Teresa De Laurentis. «È chiaro che saremo costretti a controllare anche tutti i decessi avvenuti prima del 2014».
Sono più di tredici i decessi sospetti?
«È nostro dovere controllare».
Forse era vostro dovere anche essere meno superficiali.
«Appena avuto qualche dubbio importante, abbiamo avvertito subito la Procura».
La vostra lettera è datata 13 maggio 2015: c’erano già stati dieci decessi sospetti.
«Ripeto: non abbiamo perso tempo».
Adesso dovrete anche avvertire i familiari delle vittime.
«Non ci abbiamo ancora pensato. Però, sì, certo, sarà compito nostro comunicargli che...».
Un’ultima domanda: il primario, prima, in lacrime, e anche lei, però, che spesso, ricostruendo la figura di Fausta Bonino, usa il condizionale, quasi dubbiosa su quanto accertato dai carabinieri...
«Deve tenere presente l’aspetto umano della vicenda. E comunque, se è questo che vuol sapere, io mi auguro che sia colpevole. Così, almeno, finisce l’incubo di quel reparto».
Poco fa, la signora con il bustone di carciofi è andata via.
Un’infermiera, stancamente, ha detto: «Chiudo la porta. Troppi giornalisti, oggi» .
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