DAGOREPORT – NEL NOME DEL FIGLIUOLO: MELONI IMPONE IL GENERALE ALLA VICEDIREZIONE DELL’AISE.…
Filippo Facci per “Libero quotidiano”
C'è il dolore, c' è il mesto conteggio dei morti seguiti all' ingrossamento del torrente Raganello nel parco del Pollino. Ma c' è pure che certo fatalismo calabrese ha veramente rotto le balle. Così pure l' atteggiamento arrendevole di certe "guide" che poi non sono neanche guide alpine, preparate come tali: sono "guide naturalistiche" o "della natura" o più spesso "accompagnatori di media montagna", operatori locali la cui analisi più approfondita, in ogni caso, ieri è stata divisa tra «piove, bisognava stare a casa» e «bisognava stare a casa e basta».
Ma se vai sul sito del Parco del Pollino, di guide ne risultano un'ottantina (per diventarlo devi primariamente compilare un questionario) ma sullo stesso sito, attenzione, si legge anche che Civita e il Canyon del Raganello sono «escursioni da fare anche senza guide e ideali per i principianti». Si cita il famigerato Ponte del Diavolo e il greto del fiume: e perché mai un turista non dovrebbe avventurarsi, spingersi oltre? Chi gli consiglia di non farlo?
Non ci sono cartelli, non ci sono cancelli, non c'è neppure una guardia giurata o un forestale o un custode abusivo: però ecco, magari da qualche parte c' è qualche ordinanza comunale sepolta tra le scartoffie. Ma nel concreto, chi ti avverte? Chi ti dice che quel torrente diventa subito una forra con pareti di roccia alte sino a 400 metri?
E che, all' occorrenza, se ti inoltri, diventa roba da cosiddetto canyoning, con corde, mute e imbragature di cui le guide locali nulla sanno? Chi ti dice che anche il tratto più semplice tra Civita e San Lorenzo Bellenzi, l'altro giorno, può diventare pericoloso? Te lo dicono le guide? Dipende anche dalla guida.
Perché è vero, da un lato, che tra le vittime accertate c' è anche una guida esperta della zona, Antonio De Rasis, che da anni portava turisti alla scoperta del torrente anche se non figurava tra le guide ufficiali del Parco.
Le quali, all'apparenza, ora fanno spallucce e hanno la postura fatalista e illuminante di quell' Emanuele Pisarra che ieri, intervistato da Radio Capital, ha detto che questi turisti «hanno deliberatamente deciso di andare senza guida. Si sono avventurati, ma questa purtroppo è una cosa normale, succede tutti i giorni... Peraltro chi va da solo non ha nulla dell'equipaggiamento necessario, non avevano mute, neanche le scarpe adatte, nulla... io ero in montagna da un'altra parte, non mi sono posto il problema».
Quindi non c' era, anzi, non c' è mai nessuno a segnalare l' eventuale pericolo. «No». Ha confermato il presidente del Parco, Domenico Pappaterra: andare all' avventura, «formalmente, non si può».
COMPETENZA RELATIVA Ma era stata diramata un' allerta meteo, almeno? Sì, questo l' ha confermato anche la Procura: ma non è chiaro chi avrebbe dovuto recepirla.
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«La prima cosa che fa una guida professionista, prima ancora di bere il caffè, è controllare il meteo e rinunciare a escursioni che possono presentare dei pericoli» ha detto ieri Domenico Gioia, coordinatore delle guide ambientali escursionistiche della Calabria e molto attento a segnalare che eventuali guide presenti «non erano riconosciute né dal parco né dall' Aigae».
Anche perché le guide dell' Aigae, nelle gole del Raganello, a quanto pare non ci vanno: «Non ci avventuriamo in queste gole, ai turisti le facciamo vedere dall' alto o solo nella parte iniziale del percorso». Per prudenza? Forse anche per un' altra ragione: non sono così abili, queste guide. Hanno una competenza, soprattutto tecnica, molto relativa.
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LE ALTRE REGIONI Non bisogna confondere le guide naturalistiche ed escursionistiche o di media montagna con le vere e proprie guide alpine (con specializzazione) che in Calabria e in Sicilia sono presenti solo tra i vulcanologi, e neppure con quelle dell' Aigc (Associazione italiana guide canyon) o ancora con quelle dotate del brevetto internazionale rilasciato dalla "Commission international de canyon": gente che i turisti - se in grado - li porta altro che sul Raganello: mica le guide del Pollino che sul Raganello manco ci vanno (che poi non è vero: ci vanno).
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Insomma, tra i fantasmi da scacciare c' è anche l' impressione che delle professionalità limitate ne stiano approfittando per travestirsi da esperti unici e preveggenti: dire che quelle gole «non è il caso di percorrerle mai» fa abbastanza sorridere chiunque abbia dimestichezza con certi ambienti, e fa il paio con la pretesa - avanzata ieri - che sia reso obbligatorio l' accompagnamento solo di "guide" riconosciute dalle associazioni locali.
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Ma un circuito così chiuso e autotutelato, soprattutto in Calabria, correrebbe il rischio di essere chiamato con un brutto appellativo. E per fare paragoni e rapportarsi alla normalità (mancata) non serve scomodare i canyon del Colorado, tappezzati di cartelli monitori: basta sapere che per fare canyoning o torrentismo o roba del genere, in Val d' Aosta o in Piemonte, tu devi telefonare, prenotare, pagare e poi essere accompagnato da una guida alpina con specializzazione in canyoning o da una guida dell' Aigc. Ma è un altro mondo, non è colpa delle guide calabre - tutte di Cosenza e Potenza - se Civita, per certe cose, assomiglia a tutto il resto della Calabria.
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PRECEDENTI INUTILI In ogni caso, i tragici incidenti di Civita e del Raganello riguardavano solo delle mere escursioni a piedi, fatte da gente imprudente a cui nessuno ha impedito di esserlo: salvo ergersi a maestrini del giorno dopo. Tra l' altro è da una settimana che in zona, regolarmente, si scatenava un violento temporale nel primo pomeriggio. Ma la Calabria è terra di indifferenza.
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«Le montagne dimenticate, meraviglia della Calabria» titolava il Corriere della Calabria nel giugno dell' anno scorso. Incuria, sentieri non segnati e invasi, dirupi improvvisi, qualcosa che sa più di abbandono che di selvaggio. Le guide - ambientali - potrebbero ricominciare da questo. Oppure dai sei morti che nel 1996 furono trascinati da un nubifragio che colpi Crotone nelle zone Trafinello e Tufolo.
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Oppure dai 13 morti di Soverato nel settembre 2000, laddove le violente piogge, accompagnate da una scarsa pulizia dell' alveo, provocarono un ingrossamento del torrente Beltrame.
Oppure dai quattro morti del Vibonese, nel 2006, per un nubifragio nella zona marina della città. In Calabria per morire basta che piova.
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