URSULA VON DER LEYEN, CALZATO L'ELMETTO, HA PRESO PER LA COLLOTTOLA GIORGIA MELONI - A MARGINE DEL…
Letizia Tortello e Davide Lessi per “la Stampa”
In Costa d' Avorio Yacouba, 24 anni, faceva l'imbianchino. Il 21enne Alin, senegalese, parla tre lingue: francese, arabo e ora italiano. Il suo connazionale Souleymane non è mai riuscito a finire gli studi universitari. Dall' Africa sono scappati in Italia, sbarcando tra il 2013 e il 2014. Nell'attesa di vedersi riconosciuta la protezione umanitaria, i tre hanno frequentato corsi professionali. Oggi, lavorano tutti: sono aiuto-carpentieri nei cantieri navali di Marghera. E non sono gli unici.
«Una quarantina di migranti hanno un contratto grazie a questo progetto». Nicola Montanaro, 67 anni, è persona pratica: ex direttore personale di Finmeccanica, quando è andato in pensione ha deciso di mettere a disposizione le sue competenze. «Tutto parte da un protocollo d' intesa firmato un anno fa», racconta. Intorno al tavolo si trovano in cinque (Comune di Settimo Torinese, associazione Cnos-Fap Regione Piemonte, Croce rossa italiana, Fondazione Comunità Solidale Onlus e Quanta Spa).
MIGRANTI A LAVORO NEI CANTIERI
L'idea, condivisa da tutti, era una: «Creare opportunità per l'inserimento di personale qualificato nella cantieristica meccanica, nella lavorazione del legno e in quello agroalimentare». I corsi-pilota partono al centro di accoglienza di Settimo, altri alla comunità salesiana di San Benigno Canavese, sempre nel Torinese. «I ragazzi, dopo aver frequentato tutte le lezioni e superato le prove, hanno ricevuto i patentini con la qualifica di saldatori».
Il passaggio dalla sfera dell'accoglienza a quella del lavoro è gestito da Quanta Spa, una multinazionale attiva nella selezione del personale che cerca di rispondere alle necessità delle imprese: «La Fincantieri - spiega Montanaro - cercava personale, ma gli italiani non volevano fare quei lavori. Così abbiamo offerto loro i nostri ragazzi già formati».
Il progetto fa leva sulle peculiarità già individuate dai dati Inps pubblicati ieri su La Stampa: gli immigrati accettano professioni umili, sono flessibili e non rubano il posto a nessuno.
Occupano, va detto, il gradino più basso nella scala della distribuzione dei salari, «e da lì è difficile che si muovano per tutta la vita», spiega Alessandra Venturini, esperta di migrazioni.
MIGRANTI A LAVORO NEI CANTIERI
Lei, che è anche vicedirettrice del Migration Policy Centre, sta lavorando con diverse associazioni del privato sociale e con le confederazioni aziendali nazionali, per riorganizzare la macchina dell' accoglienza e farla ragionare secondo le regole e la cultura dell' impresa. «Il modello italiano dell' integrazione dei rifugiati non funziona - spiega -, perché non si basa sulla reale domanda di lavoro da parte dalle aziende.
Le associazioni del volontariato si prendono cura di un numero enorme di persone, ma non riescono a traghettarle nel mondo del lavoro». Perché? «Nonostante gli sforzi - spiega la docente - c'è una gestione troppo casuale e non organizzata dei contatti con il mercato. L'offerta di lavoro per i rifugiati deve partire dalla domanda delle aziende, non viceversa». Modello Germania.
MIGRANTI A LAVORO NEI CANTIERI
Ma resta un problema burocratico che coinvolge, in particolare, i richiedenti asilo. «Per legge - spiega la professoressa - prima di avere lo status di rifugiato non possono ottenere un contratto: vengono tenuti in un limbo troppo a lungo». Eppure, il lavoro è l' unica porta per inserirsi nel nuovo Paese. Come è successo a Yacouba e agli altri: storie di un' integrazione possibile.
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